PAUL GILLON, ADIEU!

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L’annata è pessima, che altro si può aggiungere?

Qualche tempo fa, qualcuno postò in questo blog il funesto elenco dei fumettisti (esteri, specie statunitensi) scomparsi nell’arco del 2010 e c’era da mettersi le mani nei capelli, possedendone.

Il 2011 sembra voler gareggiare con il predecessore.

Paul Gillon FOTO2 Oppure sarà che la generazione degli ottantenni è comunque a rischio (e ovviamente è così). Paul Gillon, di anni ne aveva compiuti 85 da poco (l’11 maggio scorso). Sarebbe scomparso sabato 21. La notizia è stata dalla stampa ieri.

A destra lo si vede in una vecchia foto dove ne avrà avuti più o meno cinquantacinque, mentre compie un gesto già sperimentato da Gino Bramieri un un antico Carosello della Movil e, in un contesto più insidioso, anche dal ministro semplificatore Calderoli.

In Italia, Gillon era venuto assai raramente, e non era nemmeno troppo celebrato, quando ci veniva, in mezzo a una delegazione di francesi, quasi sempre messa insieme da Claude Moliterni, che ne soffocava la visibilità. A una celebrata Expocartoon (manifestazione organizzata dall’associazione culturale Immagine con Rinaldo Traini come patron) alla vecchia Fiera di Roma, era approdato a metà anni Novanta con altri Maestri, del calibro di Fred, Philippe Druillet, Roland Topor.

E, com’è logico, la sua venuta era passata in second’ordine, benché la sua arte sia (e sia sempre stata) eccellente. La superstar Topor aveva ottenuto il massimo dell’attenzione, Fred altrettanto grazie a una bellissima mostra personale, scenografica, che ad alcuni aveva fatto riaffiorare i ricordi di storie lette nell’infanzia, per esempio su tascabili semidimenticati di una Mondadori in cerca di nuovi orizzonti fumettisti in chiusura del decennio Sessanta. Pochissimo note e pubblicate le cose di Fred (al secolo Fredéric Othon Theodore Aristidès).

Mannaggia.

D’altronde, in quegli anni stava rampollando, nelle fiere, un fenomeno ancor oggi parzialmente incompreso, analizzato svogliatamente e in modo superficiale. Gli spazi delle mostre mercato iniziavano a essere invasi da pubblico “generalista”, famigliare, poco interessato al Fumetto in sé e quindi ai suoi protagonisti e Maestri.

Solo “proteggendo” e presidiando certe aree specifiche da queste orde di pur benaccolti e importanti visitatori curiosi, la cultura fumettistica può vivere, è ormai chiaro. Benché ci sia tantissimo da lavorare, in ogni manifestazione che si rispetti e che abbia a cuore il nostro amato medium.

Lo stesso Jean Giraud, alias Moebius, passò quasi inosservato un paio di edizioni più tardi; vidi un ragazzetto munito di Calippo chiedergli con foga accumulatrice un Paperino (!), dopo averne appena ottenuto un altro da Giovan Battista Carpi. E il buon Gir, senza battere ciglio, zen com’è, glielo fece con flemma.

Gillon-Moebius-Nov-05-3

Eccoli qua, tutti e due insieme, in uno scatto del 2005, tratti da una pagina apposita di ActuaBD.

La dida “autentica” li definisce Les deux plus grands dessinateurs réalistes de la bande dessinée française au 20e Siècle.
© Photo Didier Pasamonik (L’Agence BD)

Survivor

Di Gillon, invece, noi italiani abbiamo consumato moltissimo.

Per esempio degli albi brossurati usciti per le Edizioni Nuova Frontiera (per le quali anche il sottoscritto ha lavorato per almeno venticinque anni), o all’interno del mensile “costolettato” della Milano Libri/Rizzoli Alter Alter, poi divenuto solo Alter, acquiosito il punto metallico.

Considerando il fatto che più passeggeri di questo blog leggono l’inglese (in relazione al francese), per tratteggiare i momenti salienti dell’attività del grande fumettista scomparso mi giovo di una rapida descrizione fattane nel 2006, in occasione dell’ottantesimo anniversario di Gillon, da Charley Parker in questo blog: Lines and Colours.

Thanks.

Ultimatum

Gillon’s career was largely as a newspaper strip artist. For thirteen years he drew the daily strip 13, rue d l’Espoir (13 Hope Street), a soap opera comic, written by Jacques and François Gall and drawn by Gillon in a sophisticated realistic style in the tradition of Alex Raymond’s Rip Kirby.

Gillon is best known, however, for his landmark science fiction story Les Naufragés du Temps (Castaways in Time, sometimes translated as Lost in Time, I naufraghi del tempo). Gillon co-created Les Naufragés du Temps with Jean-Claude Forest, who also created Barbarella, among other characters.

The series, like much of Gillon’s science fiction/adventure work, has an erotic edge. (It’s a common paradigm in European comics to combine elements of eroticism with adventure, mystery and science fiction stories, since the French and Italians, in particular, don’t share America’s prudery.)

The Les Naufragés du Temps series moved to Métal Hurlant in 1977, at which point Gillon took over writing as well as drawing the strip.

He also did other sci-fi stories, including La Survivante (The Survivor) a post-apocalyptic story in which we have an erotic encounter between a woman and a robot, and mystery/adventure stories like Les Léviathans (The Leviathans, I Leviatani).

Survivante-page

Gillon also illustrated editions of Melville’s Moby Dick and Victor Hugo’s Notre Dame de Paris, as well as Jehanne, an erotic interpretation of Joan of Arc.

Gillon-cathédrale

Il festival del Fumetto d’Amiens, che gli aveva dedicato una mostra panoramica nel 1997, gli renderà omaggio il prossimo le week-end.

Nel blog del Courrier picard (Bulles Picardes) pubblica in memoriam un disegno originale (quello sopra) che Gillon aveva realizzato nel 2000 in occasione della celèbre exposition Notre Dame d’Amiens aux couleurs du monde, alla quale avevano partecipato, fra gli altri, anche Milo Manara, François Boucq e Max Cabanes.

Gillon2

Il © della foto sopra è di Fred Haslin.

Paulgillonrip

  • Marco Dossetto |

    i naufraghi: opera immane, immantinente, immensa e immarcescibile: lascia le nostre viscere atterrate in un balsamo d’ambrosia e di gentilezza apocalittica e fa della rivincita dei prodi una gioia eterna! il segno di gillon espleta le mie memorie del poi!!!!!!!!!!!!!!! grande.
    ciao mon amì! mon frere!

  • Luca Boschi |

    Ciao a tutti!
    Grazie a Nestore del Boccio (non ci vediamo da un bel po’, eh?) e a Max, cartoonist anche lui se ho ben capito (sotto i nicknames non è facile capire chi si nasconda).
    Secondo me la discussione impostata attraverso questi commenti meriterebbe un approfondimento.
    Mi sembra davvero assurdo che i lettori (e soprattutto i redattori, gli addetti ai lavori) della nouvelle vague francese snobbassero disegnatori “veristi” di taglio classico, come Cuvelier e Gillon, peraltro persone disponibili anche a disegnare storie di taglio tutt’altro che relegato nei limiti del politicamente corretto imperanti negli anni Cinquanta e Sessanta, quando offrivano il meglio della loro arte.
    Poi, Gillon, a mio avviso, avrebbe fatto di meglio proprio per gli Humanoides, ma il punto è un altro.
    C’è stato un momento, nella storia del Fumetto europeo (e non solo) durante il quale questo equivoco sul “disegnare bene” e “disegnare moderno” si è insinuato e ha preso corpo.
    La sto buttando là in modo superficiale, come superficiali e ideologizzate in modo stupido erano anche le valutazioni di quel periodo.
    Spero che adesso questi paraocchi siano stati gettati in pattumiera, anche se non ne sarei del tutto certo.
    Se negli anni Settanta fossi stato direttore di una rivista d’avanguardia (per così dire) di fumetto vicino ai metallari o agli amanti dell’underground, avrei per esempio arruolato Mario Uggeri o Erio Nicolò, offrendo loro una possibilità per farsi notare dalla critica dal naso arricciato, quella che snobbava gli Intrepidi e gli altri fumetti popolari, osannando (i pur geniali) Crepax, Druillet, Siò, persino Beppe Madaudo e così via. E che al massimo tollerava, non amandoli, Jacovitti e Buzzelli.
    E’ sabato, i banbini sono sulla spiaggia, i minori sono in sala giochi a spappolarsi il cervello. Sarebbe il momento giusto per mostrare in un altro post l’arte di Paul Cuvelier a chi ignora di cosa stiamo parlando. Lo faccio, in questo quarto d’ora che mi resta, prima di andare a Cinecittà.

  • max |

    Non è un caso che venisse apprezzato da una casa editrice quale “Les humanoïdes Associés”, forse l’unica dove chi sta al vertice è un disegnatore e ha fatto il lavoro del fumetto. E’ veramente molto triste dover essere emarginati perché troppo bravi, l’estetismo di Gillon era funzionale al racconto non puramente esornativo. Può essere che non sia mai sbocciato il feeling con i lettori, ma a questo punto dobbiamo allora parlare di lettori di fascia molto bassa, come mi pare dicesse Dionnet, di lettori francesi che comprano senza capire e senza poi leggere solo per riporre sul proprio scaffale. Mentre lodava la produzione italiana -bonelliana- ritenendola viva e interessante viste le decine di migliaia di copie vendute in edicola. Personalmente ebbi anch’io lo stesso “gelo in sala” anni fa lodando Paul Cuvelier e scoprendo -con raccapriccio- che molti lettori amavano – e forse infantilmente capivano meglio – il tratto tondo, chiuso e “coccoloso” del Gordon rifatto da Jacobs rispetto all’originale raymondiano.

  • nestore del boccio |

    Ricordo in una mostra sul fumetto a Longwy nel 1995(chiusa da tempo per la morte dell’organizzatore),dove fui invitato;alla domanda chi fosse il disegnatore francese che mi piaceva,risposi: “Gillon”. Tutti restarono muti o sorpresi!Avvertii un preconcetto nei nostri confronti che trovo’ conferma in seguito; e cioè che noi italiani siamo degli accademici e via dicendo.Certo, Gillon aveva ben eredidato la lezione raymondiana, attraverso un’inchiostrazione alla Prentice;ma era rimasto in un limbo creativo, la cui estetica, giocata in raffinati chiaroscuri,che lo bloccava in un edonismo estetico formale, quasi aristocratico,da restarne “imbrigliato”!E questa potrebbe essere la chiave o “una”,di una empatia mai esplosa con un certo tipo di pubblico. Fino a pochi giorni fa,vedevo i suoi libri tra i “bouquiniste”a quattro soldi!Forse ora…

  • Anto Lisei |

    Gillon è stato un grandissimo e, come si dice anche in qualche intervento precedente, non del tutto ben valutato.
    E’ una tristezza. Vedendo le sue tavole sembra di avere davanti il lavoro di un disegnatore nordamericano, appunto un emulo di Raymond, ma più moderno.

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