Che ne è di Renata Rizzo, la vedova di Guido Martina, alla quale a suo tempo venivano attribuite molte storie del grande sceneggiatore di Carmagnola?
Non era vero, ma così risultava dal punto di vista amministrativo, in Mondadori, per ragioni sulle quali è meglio soprassedere.
Quelle storie (per esempio Paperin Fracassa) erano invece proprio di Martina, nessun dubbio.
Si sa che talvolta in questo blog si scoprono identità, si compiono inusitati collegamenti, si riscopre la Storia del Fumetto, insomma.
Questa volta voglio evidenziare i commenti di due membri della famiglia Martina-Rizzo, arrivati in quest’oasi del web nel corso dell’ultimo anno, ma ai quali non c’è stata replica alcuna.
Eccoli.
Vittorio
Sono uno dei tanti parenti di Martina tramite Renata Rizzo. Martina non era un pessimista ma un genio. Ricordo che prima di morire stesse lavorando ad una enciclopedia. Uomo colto e di poche parole facevano di lui un grande ascoltatore. Questa la sue vera arma: interpretare il presente perchè lo ascoltava.
Monica
@Vittorio
Anch’io sono una parente di Renata Rizzo, di cui ho perso le tracce,cercando di rintracciarla ho letto il tuo commento,quindi forse siamo parenti… 😉
Spero di poter ricevere tue e magari sue notizie, chiedo scusa di essermi inserita nella discussione a scopo personale…
Ma…approfitto del potere della rete 🙂
Be’, se ne sapessimo qualcosa di più, approfittando appunto delle facoltà webbiche, saremmo felici per esserci sentiti utili.
Qualche parente di Monica e Vittorio aggiunge qualcosa?
Se sì, lo faccia direttamente nei commenti sotto.
Leggiamo tutti gli indirizzi privati di mail e possiamo mettere in contatto i loro possessori senza che la cosa sia pubblica.
I Nani delle quattro vignette di apertura, su testi di Martina, sono disegnati da Luciano Bottaro.
Il post che ha fatto uscire allo scoperto i parenti di Renata Rizzo è il seguente:
Quali misteriosi legami strigono ad abbinare il ben noto Topolino in panni danteschi e il misterioso protagonista centrale della foto d’archivio riprodotta sotto, riportata alla luce dal ricercatore Paolo Benevelli (grazie!)?
Se avrete la pazienza di leggere quanto segue, lo scoprirete, visitors curiosi!
Come teaser possiamo (quasi) affermare, pur non potendo esibire prove documentali, che l’autore dell’opera a fumetti e di quella teatrale con il Sommo Poeta circondato da ubriachi siano la stessa persona.
Avete già indovinato chi.
Se anche così non fosse, è certo che entrambe le parodie provengono dallo stesso ceppo goliardico piemontese, respirano la stessa aria.
Quando abbiamo pensato di suddividere il discorso su Guido Martina e i piccoli scooooooops che lo riguardano in due sole parti, l’operazione appariva già piuttosto azzardata.
Non c’era da sperare che in poche tappe si potesse descrivere la complessa e corposa attività creativa di uno dei massimi sceneggiatori italiani, come Martina ha dimostrato di essere sin dagli esordi, sia lavorando su Pecos Bill che su una delle più importanti storie Disney made in Italy: L’Inferno di Topolino (vignettona di apertura; © Disney).
Quando, poi, la prima parte del servizio è comparsa, più di un ricercatore e studioso si è fatto avanti per aggiungere notizie e dettagli, seguendo un trend che in questo blog è diventato consuetudine.
E’ il caso di Franco Ressa (foto a destra, scattata alla Fiera del Libro di Torino), sceneggiatore per Nives Manara di più di un fumetto (ne parleremo quanto prima), scrittore.
Da lui apprendiamo che il giovanissimo Martina, nel 1928 aveva partecipato e vinto un concorso, a Torino, indetto dal GUF (Gruppi Universitari Fascisti, articolazione universitaria del Partito Nazionale Fascista) per produrre una rivista teatrale goliardica, poi effettivamente messa in scena nel 1928.
Capocomico della compagnia era l’attore antifascista (dalla personalità molto particolare) Ovidio Borgondo, detto “Cavur“, molto noto a Torino in quel tempo, così soprannominato addirittura da da Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo.
Come già è stato ampiamente scritto, il futuro creatore di Oklahoma! si era trasferìto a sedici anni a Torino, per laurearsi in lettere e filosofia proprio nella città sabauda; il contatto con queste figure di letterati e comunque uomini di cultura un po’ strambi e sopra le righe era addirittura “logico”.
Su Ovidio Borgondo e Marinetti, Franco Ressa parla diffusamente nel suo La Goliardia, edito per i tipi di Chiaramonte Editore.
Eccone un estratto.
Era il mese di ottobre 1921, per tutta l’estate mi ero lasciato crescere la barba, ma questo non bastava, dovevo creare un personaggio. Passai in rassegna tutti i personaggi barbuti che conoscevo, alla fine decisi che il più originale (…) era Camillo Cavour. Col rasoio a lama lavorai perciò a foggiarmi una barba a collare, poi inforcai un paio di occhialini di mia madre, tagliai all’ottocentesca un colletto inamidato di mio padre, e con un pezzo di fodera di seta nera mi
annodai al collo una cravatta a sbuffo che era chiamata plastron. (…).
Anche se disapprovate e contestabili, le serate futuristiche attiravano sempre un buon pubblico. Quella poi era un occasione speciale, veniva presentato un nuovo tipo di teatro futurista definito “teatro della sorpresa” e il Maffei era gremito ancor più per l’avvenimento. Ecco perciò mio fratello Mondino che prima dell’inizio della serata si aggira tra gli spettatori e annuncia con voce
stentorea: «Fra poco arriverà Cavour! Questa sera avremo qui Cavour! Cavour sarà qui a momenti!» Alla fine mi affaccio alla galleria di fronte, salutando con gesti di sussiego come un vero politico.
«Ecco Cavour!» grida Mondino.
«Viva Cavour, viva il ministro!»
Appena si fa silenzio attacco con foga: «Fetentissimi passatisti, luridi come le cloache di Milano durante il colera dei Promessi Sposi!»
Risata generale.
«Noi futuristi vogliamo svegliarvi dal vostromillenario letargo di marmotte imbalsamate, scuotetevi dal vostro torpore catalettico di mummie imputridite e iniettatevi il dinamismo epilettico della nostra elettricità futurista. Noi vogliamo seppellirvi sotto una valanga di otto miliardi di metri cubi di letame galvanoplastica, sprofondarvi nella melma ipecacuanica delle spazzature idrofobe e immergervi in una soluzione di acidoprussico e precipitato di stronzio al mille per cento. Noi futuristi vi sputiamo in faccia a tutti… ptuum!»
Comicità e “prolissità” quasi martiniana.
La sua origine ha queste radici, a quanto pare.
A Torino, il ventiduenne Martina, prima di aver a che fare con il coetaneo Riccardo Morbelli (nato un anno dopo di lui) per il programma radiofonico I quattro moschettieri, trasmesso dall’EIAR dal 1934 al 1937, pare che avesse avuto con lui qualche contatto di collaborazione proprio in questa circostanza.
Ma la notizia più sorprendente è che a scrivere con Martina il testo teatrale sarebbe intervenuto (buona la comunicazione di Ressa, fortunato possessore del canovaccio teatrale) nientemeno che Norberto Bobbio (Torino, 18 ottobre 1909 – Torino, 9 gennaio 2004), importantissimo filosofo, storico e politologo. A destra una sua foto – © aventi diritto).
Proprio nell’anno di uscita della rivista teatrale sulle scene, mentre Mickey Mouse fischiettava in Steamboat Willie, come molti giovani dell’epoca, Bobbio si iscriveva al Partito Nazionale Fascista.
Bobbio e Martina avrebbero vinto “a pari merito” il denaro messo in palio dal GUF, assegnando alla rivista teatrale (probabilmente provvista di musiche e scritta con tono allegro e parodistico, “goliardico”) due possibili, diversi titoli. Fra gonne e colonne sarebbe stato quello ideato da Bobbio, ma alla fine avrebbe avuto la meglio quello di Martina, ispirato forse dal Gobbo di Notre Dame di Victor Hugo: La corte dei miracoli. Il debutto dovrebbe essere avvenuto al teatro Odeon di Torino.
La curiosità di leggere il contenuto del testo, naturalmente, non è poca.
Dopo questa esperienza teatrale, e forse anche altre che al momento ci sono ignote, per un breve periodo Martina fu giornalista per la Gazzetta del Popolo, poi girò alcuni documentari per una casa cinematografica italiana e, dopo averne realizzato uno a Parigi sul tema della Legione Straniera, si stabilì nella capitale francese per alcuni anni.
Sotto, tre colleghi di Martina. Da sinistra Riccardo Morbelli, Angelo Nizza e Angelo Bioletto.
Sotto, un ritaglio di giornale che parla della “prodezze goliardiche di “Cavur” (qui chiamato “Cavour”), ricavato da un numero speciale di Torinosette, supplemento a La Stampa del 26 settembre 1987.
Ma torniamo a Martina, che, lasciatio alle spalle i lazzi goliardici, dopo altre incursioni satiriche delle quali diremo in seguito, diviene ufficiale di cavalleria durante la seconda guerra mondiale. Quindi viene fatto prigioniero dagli inglesi e più tardi deportato dai tedeschi in Austria.
Poi, la guerra finisce; dopodiché, ha inizio il rapporto, ben noto, con Arnoldo Mondadori, che porterà a indimenticabili lavori fumettistici.
Nello scorso post dedicato a Guido Martina eravamo rimasti più o meno a questo punto, quando nell’anno di grazia 1949 stava per uscire sul neonato Topolino in formato libretto la Grande Parodia L’Inferno di Topolino. Una Grande Parodia che ancora non sapeva di essere tale, né di aprire un ciclo virtuosissimo di storie che sarebbe stato uno dei fiori all’occhiello della Scuola Disney italiana.
La prima vera Grande Parodia, secondo alcuni, non sarebbe stata questa, bensì quella comparsa sul misconosciuto Albo d’Oro n. 131 del 13 novembre 1948, intitolato Diario degli amici di Topolino.
Il divertissement disneyano, scritto da Martina, è The Promised Spouses, liberissimo adattamento del romanzone di Alessandro Manzoni I promessi sposi.
All’interno della collana Gli Anni d’Oro di Topolino, Alberto Becattini l’ha riproposta nell’estate dello scorso anno (2010).
Courtesy of Matteo Sonz, che ha fornito il raro pezzo da collezione.
Giunti a questo punto, proviano a ricordare qualche altra piccola sezione della vita professionale del Nostro, anche saltando di palo in frasca in base alle suggestioni e richieste dei lettori.
Va detto che, andando a cercare qua e là testimonianze sul protagonista di questi articoletti, scopriamo anche versioni dei fatti contrastanti con quanto avevamo sempre creduto e a quanto ci era stato detto.
Per esempio, un’intervista pubblicata nel 1986 sul quotidiano La Stampa di Torino, a firma di Alberto Gedda, propone una versione del tutto alternativa rispetto a quella ufficiale sulla nascita di Paperinik.
Nel ritaglio di stampa che riproduco sotto (assai malamente, lo so) non si fa menzione Nè di Elisa Penna né di Dorellik rispettivamente come ideatrice e ispiratore del personaggio disneyano.
Qui si cita addirittura un ipotetico “Topolinik”, che per fortuna non avrebbe mai visto la luce.
Possibile che Elisa Penna abbia suggerito a Mario Gentilini (il direttore di Topolino in carica nel 1969) l’idea di un “diabolico vendicatore” disneyano?
Be’, perché no. Potrebbe essere. Ma come si vede sotto, nell’intervista questo passaggio viene omesso.
Stop anche per questa volta. La terza (e ultima?) parte si occuperà di qualcosa che fu contenuto nel giornale la cui copertina si vede sopra: Avventuroso Film.
(fine della seconda parte)
LINK CORRELATI (fra gli altri):
GUIDO MARTINA SCONOSCIUTO (un omaggio in due tempi – versione aggiornata)
SE N’E’ ANDATA ELISA PENNA, IDEATRICE DI PAPERINIK