Come annunciato, anche il nostro costante contributor Nestore Del Boccio commenta per noi dal suo punto di vista, con sincerità emotiva, l’opera molto apprezzata dal titolo Koma, di Frederick Peeters e Pierre Wazem.
A Nestore la parola!
Una bambina dagli occhi neri, angoscianti con un viso nero di fuliggine che esprime dolore e frustrazione guarda sovente, da altezze vertiginose, abbarbicata sul bordo di una canna fumaria, un’umanità assente.
Confesso: dai tempi di Pasolini non vedevo né leggevo la drammatica angoscia esistenziale degli umili e dei giovani espressa per immagini. Se nell’etica pasoliniana la realtà tragica dei diseredati delle borgate, sconfinava, attraverso il cinema, nella dilaniante sofferenza della carne e dello spirito in una religiosità laica, con una concezione caravaggesca e neorealistica in contraltare alla gerarchia ecclesiastica, e nonchè monito agli egoismi dell’uomo, gli autori di Koma, realizzano un’opera il cui epos, un’avventura cruda e brutale dell’esistenza, non è altro che un viaggio dantesco moderno che scava negli abissi della coscienza, ove l’azione psichica dell’inconscio, trova gli archetipi del mito e della favolistica, creando un processo riproiettivo cui sarà luogo di una catarsi delle proprie angosce che porteranno la piccola “ramoneur”, Addidas, attraverso i suoi svenimenti comatosi, in un excursus di allegorie e simboli, ad un rapporto ossimorico tra realtà e fantasia. Una realtà il cui coma, esito patologico di un duro lavoro ove il solo respiro è la fuliggine, sarà lo specchio e luogo di più mondi possibili.
Un processo psicoanalitico che trasformerà, attraverso varie conflittualità, la stessa condizione infantile, in una crescita più consapevole, ma che allo stesso tempo maturerà una percezione di grande sfiducia e d’amarezza verso l’umanità.
Il racconto si dualizza, entro un mondo intermedio immaginale e la drammaticità della vita sociale la cui sintesi trova la sua verità con il fantastico del mondo immateriale.
Un mondo le cui allucinazioni, si agganciano al processo creativo che è alla base dell’esistenza umana: un destino parallelo guidato da avatar immaginifici strettamente connessi alla nostra esistenza.
Ovunque una macchina come simbolo di una concezione razionale: sia nella distribuzione pianificatrice di una società industriale, ma anche come sistema generativo che appartenga alla sfera del divino. La sua morte è la nostra! Ovvero, quando la macchina che regola la nostra vita giunge al termine finisce la nostra esistenza.
L’opera, che si connota per un linguaggio la cui poetica affonda le sue radici nell’espressionismo tedesco, con agganci alla stessa visionarietà del Romantik, non lascia nulla al piacere edonistico dell’estetica.
Il tratto selvaggio ed essenziale il cui nero adombra un pennello intriso di nerofumo, con l’esasperazione della figurazione ne determina l’area culturale. Appunto: gli spasmodici, corrosivi e stravolgenti artisti dell’espressionismo tedesco!
Come nei paesaggi, si avverte una consonanza con la drammatica e “pazzesca” solitudine della società urbana che trasudano le opere di Sironi! Addidas, una bambina spazzacamino, orfana di madre, cui una società meccanizzata gli cambia persino il nome, da Aire in Eme, per esigenze burocratiche, al seguito di un padre ubriaco e malato, vive la durezza della sua vita sociale avvolta nei fantasmi esistenziali, all’interno delle canne fumarie. Tunnel delle angosce e di nuovi mondi, nonché della disperazione e di nuovi trasfert. Tunnel che diventano cuniculi, strettoie, quali metafore dell’incoscio e delle sue derivazioni fobiche in un paesaggio di ragnatele neuronali.
Ed è lì che trova il suo angelo custode sottoforma di omone nero che l’aiuterà come guida morale e a combattere le ingiustizie della polizia metropolitana; che a sua volta, pagherà la propria violenza e durezza con l’inevitabile legge del contrappasso. Con gli occhi del suo inconscio, colloquia con i fantasmi della sua innocenza sofferente. L’opera, di un realismo bruciante, disvela la drammaticità esistenziale degli ultimi della classe sociale e della terribilità dell’esistenza.
Un urlo d’angoscia che sfonda le pagine del libro ed arriva come un fendente nell’anima di noi lettori ammonendoci di quanta violenza è capace l’umanità con i suoi simili: cinica e spietata persino con i bambini! L’opera è anche una dicotomia serrata tra dialoghi e diverse figure simboliche ed allegoriche tra evoluzionismo e creazionismo.
Ma in ottica sociale e umana, per certi versi, come in Ladri di biciclette di De Sica, il piccolo Bruno riporta il padre nella giusta via, facendosi attore del suo riscatto morale, salvandolo dall’umiliazione, in Koma, gli autori svizzeri, Wazem e Peeters, fanno di Addidas, attrice morale della salvezza del padre accompagnandolo nel luogo dove si ricongiungerà con la sua sposa, trovando una agognata serenità paradisiaca! E il padre, nella sua ingenuità, non si renderà conto di aver incontrato (Gesù) “colui che costruisce le macchine” secondo i bambini, e a cui dirà: “…de dire des conneries” dopo aver ricevuto un monito sul rispetto dei cavalli. Una pagina poetica di grande intensità.
Addidas non accetta le voci di chi la vuole accanto ai genitori, preferisce ritrovare la sua dimensione terrena. E a colui che tutto crea “a sua immagine e somiglianza”, che la considera un incidente di percorso nel processo creativo e che quindi è solo un virus da distruggere, lei rivendica la sua autonomia.
“On n’est plus dans votre rêve, on est dans le mien!…ce n’est plus votre histoire, c’est la mienne!” controbatte Addidas. E quando l’essere informe gli dice “tu…tu ne peux pas me faire disparaitre…” la piccola “ramoneur” risponde con un rimando alla legge fisica del Lavoisier “Non…mais je vais te transformer…”!
Combatterà contro gli incubi della sua infanzia e si ritroverà nella tanto agognata campagna che altro non è che il luogo primigenio dell’umanità: l’Eden!
Ma qui, una bambina mangerà la “mela” che si rivelerà bacata da un verme; e da cui, epistemologicamente, la storia si ripete riproponendo la visione bibblica del peccato.
Addidas si ritoverà nel mondo terreno guardando, come nel passato, l’umanità dall’alto. Con la differenza che se prima era seduta sull’orlo di una canna fumaria, ora si ritrova sull’estremità di un grattacielo. L’occhio non è più della bambina povera e disgraziata ma di chi osserva, con occhio critico, una società malata fatta di macchine, di solitudini e di nevrosi.
Gli volterà le spalle rifugiandosi nei suoi sogni. Una coazione a replicarsi come un ciclo irripetibile della vita umana e del mondo!
LINK CORRELABILI:
ANALISI DI “KOMA” (parte prima), di Tomaso Prospero Turchi
PAUL CUVELIER, CORENTIN E L’EROS (prima parte)
PAUL CUVELIER, CORENTIN E L’EROS (seconda parte)
UN RARO CORENTIN «ITALIANO», di Renato Pallavicini
IL RITORNO DEI CLASSICI: BUCK DANNY, FINALMENTE INTEGRALE
DANIEL PENNAC, LUCKY LUKE, MICHEL VAILLANT E LA NONA ARTE
PRAVDA E FRANÇOISE HARDY, DI GUY PEELLAERT
L’INTEGRALE DI MICHEL VAILLANT, di Andrea Sani
L’INTEGRALE N. 6 DELLE AVVENTURE DI MICHEL VAILLANT, di Andrea Sani
CLAUDE MOLITERNI SE N’È ANDATO
QUANDO GEORGES PICHARD NON ERA ANCORA GEORGES PICHARD