Sergio Nazzaro, che ringrazio, chiede di far girare questo suo fumetto di stretta attualità, disegnato dal “Premio Satira Politica Forte dei Marmi 2008” Mauro Biani.
Il quale commenta, nel suo blog:
Chi si ricorda di Jerry Masslo, ucciso a Villa Literno 20 anni fa? E di Enzo Baldoni?
Qualcuno in più, forse. Un fumetto può farli incontrare, mediati da un vero marinaio, prima ancora che guardia costiera.
– Maroni non è un mare?- -No Jerry, è una pianura e lì ognuno tira il carro senza voltarsi-.
Per non dimenticare, riprendo un commento, con citazioni, scritto un anno fa preciso da Riccardo Orioles.
Quanto tempo è passato dai tempi di Baldoni? Sembrano pochi anni, ma sono molti di più. Un secolo, è passato, fra l’Italia civile e pacifica che trottava sugli scarponi di Enzo e l’agglomerato impaurito e feroce che vediamo ora.
Di Enzo, rimane la buona e incuriosita scrittura da “dilettante” da “viaggiatore” (parole profondissime, antiche nella cultura italiana: ora spazzate via, coi corrispondenti concetti, dall’assoluta non-traducibilità in italish); il sorriso mite e serio, da italiano che ha viaggiato; e quel coraggio autoironico, da Don Camillo o Peppone, alla “io-ci-provo” (non fu mica facile ammazzarlo: ci si dovettero mettere in più d’uno, contro l’omone bonario che si difendeva la vita).
Lo scrivo su un vecchio computer, un Mac primo tipo “caramella”. Ci tengo a usare questo, perché è quello che mi donò lui, quando seppe che io ero senza. Un buon vecchio Mac da grafico, di quelli da farci del buon lavoro col vecchio Photoshop o Illustrator 3. Perché lui era anche – o soprattutto – un artigiano, un grafico pubblicitario del duemila esattamente come avrebbe potuto essere un buon pittore di bandiere e madonne nel Quattrocento. Con la stessa intimità col mestiere, l’umiltà, l’ironia. E la passione profonda, “da bottega”.
Era spinto a insegnare, a tramandare il mestiere. Per questo, non solo per bontà innata, aveva le sue lezioni gratuite, settimanali. Il mondo allora andava avanti così, coi mestieri ben fatti e trasmessi a chi vien dopo. È una parola antichissima, quel “fondata sul lavoro”. Una parola italiana – di quando l’Italia c’era.
Italiana: cioè emiliana – il nonno di Enzo, fiabesco nelle sue lettere – e poi umbra cuore-d’Italia e milanese, il Milàn-gran-Milàn che ferveva allora; e anche, un po’, siciliana. Siciliana, anagraficamente, per la moglie girgentina; ma poi per l’interesse, il dolore, la passione civile con cui seguiva le robe nostre di quaggiù, le nostre lotte (“zonker” è stato uno dei primi cento lettori della Catena, dal 2000). Sarebbe sceso quaggiù, forse, in quel settembre; lo speravo. E invece è morto laggiù, in quel paese “selvaggio” al quale culturalmente sempre più assomigliamo.
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(27 agosto 2004.)
Non c’era pacifista più pacifista di Enzo Baldoni, con la sua bandiera della croce rossa sventolata fisicamente fra i due fuochi. Non c’era giornalista più giornalista, col suo “dilettantismo” sofisticatissimo, figlio di internet, una generazione più in là della carta stampata. Non c’era sessantottino più coerente, a cinquantasette anni, morto così. Qualcuno ha pensato che il primo video fosse fasullo perché il viso “non rivela contrazioni inevitabili per chi si trovi sull’orlo dell’abisso”. Infatti. Cosa doveva fare, tremare, supplicare, gridare viva l’Italia? No. Un mezzo sorriso autoironico, tranquillo, quello dei personaggi di Doonesbury, senza nemmeno bisogno di fumetto. E’ morto un grande, un grande piccolo uomo, uno di noi tutti. Del resto ne parleremo dopo, quando ci sarà la mente più tranquilla.)
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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”