Segnalato da Gianfranco Goria, il mio antico sodàle dell’Urbe Stefano Disegni, da oltre un anno anche compagno di blog solleonato, ne produce una buffa sul suo (appunto) blog, che sta qua.
Pacatamente, candidamente, il sito di Stefano è indicato sotto.
Del fumetto riporto appena un trancio-condensato, così andate a leggervelo da lui nella versione integrale.
Qua sotto, invece, quello sull’“atticismo militante”, che Stefano aveva inviato un po’ a tutti noi di Nòva intorno a metà maggio, cercando di individuare, a freddo (a freschetto, suvvi), almeno una ragione della disfatta elettorale del centrosinistra.
Sommessamente, flebilmente (dire persino fiocamente) trascorsi due mesi circa, riprendo un po’ delle considerazioni fatte allora, anche per una verifica post Piazza Navona, hai visto mai?
Così aveva iniziato la riflessione Marco Minghetti:
Cari amici,
dopo il grande entusiasmo pre-elettorale, mi sembra che non abbiamo più avuto occasioni di confronto. Personalmente mi sono preso una pausa di riflessione e poi ho provato a riprendere la discussione sul mio blog prima con la geniale vignetta inviata da Stefano Disegni sull’”atticismo militante” (http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2008/05/atticisti.html) e quindi con una intervista a Ferruccio Cappelli (http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2008/05/sinistra-light.html#more).
Invito quindi chi lo desidera a riprendere il confronto pubblicamente, magari postando un commento all’intervista con Cappelli.
Proseguiva il dibattito Francesco Morace.
Caro Marco,
cari amici, sono d’accordo che dopo aver elaborato la sconfitta, sia necessaria avviare una nuova riflessione, che ho provato a proporre in alcuni post sul mio blog.
Io credo che il vero problema sia andare alla radice stessa di una generazione (per semplificare diciamo quella del 68) e di un modo di pensare. C’è chi vive dalla parte dei problemi, c’è chi vive dalla parte delle soluzioni. E’ questo un modo di pensare, di reagire, di interpretare la propria esistenza. La principale difficoltà “storica” della sinistra (ma non dei suoi valori), risiede nel fatto che è nata, si è sviluppata, si è diffusa, sempre, solo e comunque in sintonia con i problemi, affinando una straordinaria intelligenza critica che solo raramente è però riuscita ad elaborare soluzioni sostenibili. Soffriamo di eccesso di intelligenza critica. Già dai tempi di Marx e Lenin. E poi con Lenin e Trotzkij. E su su fino ai giorni nostri, fino a Sansonetti e alla Rossanda (ben altra consistenza).
Per semplificare brutalmente: il pensiero di sinistra non ha mai elaborato soluzioni credibili, corrette, sostenibili. La rivoluzione non è mai stata una soluzione. Né in Russia, né in Cina, né a Cuba. E neanche nelle nostre vite. Il socialismo riformista può invece affrontare il tema, come hanno fatto Blair o Zapatero: ma deve spostarsi dalla parte delle soluzioni. In Italia Berlusconi può vantare una esperienza dalla parte delle soluzioni. In modo discutibile quanto vogliamo, ma ha sempre dimostrato di essere risolutivo: con le sue aziende, con i suoi guai giudiziari, con la sua leadership tante volte messa in discussione e sempre vincente, perfino con il Milan. Il campione delle soluzioni: e per questo gli italiani continuano a dargli credito. Fino a quando il centro-sinistra non avrà dimostrato una capacità risolutiva altrettanto credibile – e questo dipende da tutti noi, non potrà aspirare a ricoprire un ruolo che per cultura ed esperienza meriterebbe.
E anche per valori ideali (la giustizia sociale,la solidarietà, la libertà di pensiero, i diritti civili) che quando non ricadono nell’ideologia, continuano a dimostrarsi i migliori per cui valga la pena combattere. Non dimentichiamocelo e ricominciamo da oggi. A partire dai comportamenti.
Faccio un esempio. Nel momento della sconfitta macro, politico-istituzionale, bisogna dimostrare di saper vincere nella dimensione micro, cioè in quella quotidiana dei comportamenti. Nel momento della vittoria apparentemente definitiva di Berlusconi bisogna saper dimostrare la sconfitta definitiva del berlusconismo nella sua dimensione antropologica: la fine dell’arroganza ignorante, del machismo strisciante, del furbismo cialtrone, del barzellettismo volgare. L’argine a questi comportamenti può essere quotidianamente rafforzato da ognuno di noi, in qualsiasi momento, da persone per bene che evitino il perbenismo ma anche la compiacenza rassegnata. Non avendo più la faticosa responsabilità del governo, possiamo e dobbiamo tenere alta la guardia su quegli elementi micro-sociali e di cultura diffusa che sono poi quelli che vanno ad incidere nel corpo sociale italiano, per evitare il bullismo potenziale dei nostri figli o l’approssimazione professionale che va spesso a minare la competenza virtuosa di cui oggi l’Italia ha invece estremo bisogno. Non funziona più l’educare all’obbedienza, bisogna abituarsi all’auto-regolamentazione. E questo è più facile se si creano punti di riferimento credibili, nuovi maestri.
Ciascuno è protagonista nel trovare il punto di equilibrio in un mondo berlusconiano che non venga più riconosciuto come produttore di modelli socioculturali a cui conformarsi. Bisogna proporre il proprio modo di vivere eticamente, secondo una propria visione che Levinas definiva l’ottica come forma etica: lo sguardo sul mondo che ho, il punto di vista che coincide con il modo di vita. E che nel caso dell’Italia non corrisponde a quello dei vincitori. Questa capacità di resistere nel comportamento, oltre che nei valori, può dimostrarsi assai più vincente dell’attitudine al lamento e allo sconfittismo depressivo. E da qui che tra qualche anno potremo ripartire con slancio rinnovato.
Grazie a tutti,
Francesco Morace
E grazie anche da parte mia!