Come già in passato per questo film, da Madrid Lucia Vannucchi (sotto nella foto) ci invia un reportage su una pellicola difficile da vedere della quale ha accennato una decina di giorni fa sulle pagine de Il manifesto. Si tratta di El laberinto marroquì, film non ancora tradotto in italiano (se mai lo sarà). Per l’ccasione, Lucia ne ha intervistato il regista Julio Sanchez Veiga. A lei la parola.
La tensione di Madrid con Rabat, causata dall’ultima visita della famiglia Reale agli enclavi spagnoli nel nord del Marocco, mette chiaramente in evidenza che le attuali relazioni fra Spagna e Marocco sono state e continuano ad essere problematiche. Ricostruire la memoria di eventi che hanno segnato la storia spagnola, e che continuano a estendere la loro ombra sul presente, è ciò che si propone il giovane regista Julio Sanchez Veiga con El laberinto marroquì, un documentario che si inserisce nel circuito del cinema non commerciale europeo.
Tema centrale di questo lungometraggio di produzione andalusa è il colonialismo spagnolo in Marocco agli inizi del secolo XX e la posteriore partecipazione delle truppe marocchine nella Guerra Civile spagnola.
Con l’aiuto d’immagini d’archivio, il regista presenta in forma critica e attenta la catastrofe causata dalla guerra coloniale con il Marocco (1909-1921), che provocò la morte di migliaia di soldati e divise la società spagnola di allora.
Il film poggia anche sulle testimonianze emotive di ex-legionari marocchini che riferiscono come l’esercito d’Africa divenne nel 1936, in maniera spietata e cruenta, un deciso alleato della parte franchista contro gli spagnoli rimasti fedeli alle istituzioni repubblicane.
In evidenza viene posta l’assurdità e la crudeltà del fatto che le truppe marocchine divennero protagoniste di una guerra proprio dalla parte di coloro che erano stati prima i loro grandi nemici e impiegarono le loro stesse atrocità e tecniche di “pulizia etnica” di cui erano state vittima in precedenza.
Partecipano alla pellicola anche alcuni storici (un britannico, un nordamericano, una francese, cuattro spagnoli) e un antropologo catalano, che uniscono ed interpretano le testimonianze degli intervistati. Il loro punto di vista occidentale sul processo di appropriazione coloniale e le relazioni fra Spagna e Marocco, ci fa sentire la mancanza di un punto di vista più locale, che dia al tema una prospettiva meno parziale ed impedisca di cadere in un certo paternalismo di sinistra. Forse è in questo che si trova la parte debole del documentario, che comunque è di un indiscutibile interesse storico-sociale.
PARLA JULIO SANCHEZ VEIGA
Che importanza ha, per te, il tema della memoria?
Il film tratta di un argomento di cui poco si parla: si è reso omaggio ai nostri caduti, ai sacerdoti che morirono nella Guerra Civile, ai Repubblicani. Però non si sono mai menzionati né i nostri bisnonni che furono costretti ad andare in Marocco e a partecipare in una guerra che fu la gestazione della Guerra Civile, né i marocchini, assoluti “paria”, che vennero in Spagna a combattere per l’esercito franchista.
Il documentario si propone di recuperare la nostra e la loro memoria collettiva e di riscoprire quella che fu la loro storia.
Come sei arrivato alla scelta di questo tema?
Avevamo girato un documentario sui prigionieri durante il Franchismo, dove veniva fuori chiaramente come anche i marocchini fossero vittime di quel conflitto. Mi resi conto che era limitativo parlare solo dei marocchini che parteciparono alla Guerra Civile, era necessario anche raccontare la storia del colonialismo spagnolo in Marocco.
Andando avanti nelle ricerche, ho visto che occorreva girare un documentario che abbracciasse un periodo di tempo più ampio, dall’inizio del colonialismo spagnolo fino alla guerra civile.
E’ una storia “circolare”: poveri che vanno a uccidere altri poveri. Prima gli spagnoli contro i marocchini, poi i marocchini contro la popolazione spagnola. Questi ultimi assunsero un ruolo terribile, erano assassini. E questo non si tace nel documentario, si spiega con la logica della guerra, che non prevede né pietà né perdono.
Era gente miserabile, che considerava la guerra come un lavoro, un mezzo di sussistenza, perché i pochi “fortunati” che erano nell’esercito potevano vivere bene.
Durante la guerra civile, Franco cominciò a pagare tutti i marocchini che si arruolavano nell’esercito. Per molti fu l’unica opportunità per avere una vita migliore.
Credi che ci sia altro da dire sull’argomento?
Il tema del recupero della memoria è estremamente interessante e significativo.
E’ importante conoscere quello che è successo per evitare che si ripeta. Ed è necessario recuperare la memoria storica, soprattutto in un paese come la Spagna, che ha sempre sofferto di amnesia rispetto al suo recente passato.
Nel materiale d’archivio presente, ci sono molti estratti del Romancero Marroqui, un documentario del periodo franchista.
Volutamente ho inserito anche il Romancero Marroqui, in quanto documento franchista, mettendolo in relazione con il tema del film. C’è un contrasto enorme fra il linguaggio franchista utilizzato per presentare i soldati marocchini che vanno alla guerra “per mandato divino”e i testimoni reali che raccontano come furono ingannati dal regime.
In realtà, furono loro le principali vittime e soprattutto gli unici che, una volta vinta la guerra, sperimentarono la sconfitta e furono abbandonati alla loro sorte.