Quasi a distanza di un anno dall’annuncio che ne avevamo fatto in questo blog, esce finalmente in libreria il saggio di Pier Luigi Gaspa dedicato alla rappresentazione nei fumetti del rapporto tra nazifascismo e cittadini italiani, resistenti, conniventi, partigiani o fiancheggiatori. Un lavoro importantissimo, perché apre le porte a una serie di riflessioni che vanno oltre al nostro palese interesse per il medium e coinvolgono la società italiana e la sua cultura.
Il libro, che si basa sulla straordinaria collezione di Luciano Niccolai (socio ANAFI e massimo raccoglitore in Italia di materiali fumettistico-illustrativi sul tema), è pubblicato da Settegiorni Editore ed è stato presentato in anteprima lo scorso 24 aprile nelle sale della Biblioteca San Giorgio.
Il suo titolo è Per la libertà – La Resistenza nel fumetto, si avvale di due brevi saggi introduttivi firmati da Giulio Giorello e da Luca Boschi (io stesso) e della collaborazione del Museo Italiano del Fumetto di Lucca, diretto da Angelo Nencetti (che sta preparando una serie di importanti iniziative a partire dalla prossima settimana).
Per commentare l’uscita, ripropongo alcuni post e scritti comparsi nel blog un anno fa, certo che “brilleranno di luce nuova” ora che sono collegati alla disponbilità effettiva del libro, diffuso in libreria, ma richiedibile comunque alla redazione di Settegiorni, gestita dal giornalista Nilo Benedetti e dai suoi pards.
Se il senso dell’attività divulgativa mia e altrui consiste in buona parte nel porre all’attenzione dei contemporanei disegni, storie e episodi della nostra storia nazionale, diciamo pure che i post dei giorni scorsi, e i commenti che hanno suscitato, hanno svolto il loro dovere.
Uno di questi commenti, troppo ampio e illustre per essere relegato in coda a qualcos’altro, lo “promuovo sul campo” qui, in virtù della sua rilevanza. Lo ha scritto Pier Luigi Gaspa, autore della ricerca a tutto campo sui fumetti che hanno raccontato gli anni dolenti e tragici del nazifascismo, con personaggi che vanno da Sciuscià a Kolosso, da Provolino (eh, già) a qualche character di Hugo Pratt che (se ben ricordo) non fa una gran bella figura…
Si tratta della nostra storia, un momento paragonabile (con le dovute differenze del caso) alla Guerra di Secessione per gli americani, agli orrori di Robespierre per i francesi, e così via. Per commentare le parole di Pier Luigi, posto un po’ di vignette di quel genio creativo che fu Benito Jacovitti, tratte dal più volte citato, ma semisconosciuto episodio Battista l’ingenuo fascista. Paradigma del pressappochismo e voltagabbanismo tutto italiano che… fa male quando qualcuno ha il coraggio di metterlo su carta, trasformandolo in uno specchio deformante che non tutti sono disposti a digerire.
Jac non lo manda a dire, e si rivolge direttamente al lettore italiano quando ne fustiga l’ipocrisia apostrofandolo in modo solenne e tragico: “Guarda bene tra la folla acclamante, ti riconoscerai! Tu mi dirai che sì, ci sei stato, ma capirai… La cartolina rossa… Ero costretto. … Ma come?! 45 milioni di italiani costretti? (…)”
La parola a Pier Luigi, che parla della sua ricerca (ormai praticamente completata e di futura pubblicazione).
Grazie per la citazione.
Si tratta di un lavoro anche interessante, ma che sembra avere tutti i crismi del bello di famiglia: tutti lo vogliono e nessuno se lo piglia! Mi sembrava interessante in questa sede, a proposito del generale – e limitativo, of course – riconoscimento del 25 aprile come festa partigiana eminentemente di sinistra, segnalare una curiosità legata al fumetto. Ovvero, si va controcorrente!
Fin dalle prime storie con protagonisti partigiani, infatti il fumetto proprio i partigiani di sinistra sembra aver trascurato.
Nelle poche storie dedicate al tema infatti i partigiani non hanno colore politico, se non in due casi, almeno stando a quanto abbiamo reperito con Niccolai.
Il primo risale a pochi mesi dopo la fine del conflitto e si tratta della breve serie dedicata a Pam il partigiano, alfiere di una brigata garibaldina (comunista, per l’appunto) che vive brevi avventure ispirate a vere azioni partigiane, con tanto di bollettini di guerra che riportano i risultati delle operazioni.
Disegnata da un tal Camus, è anche straordinariamente attuale per tecnica e stile, per non parlare del montaggio e del testo, quasi del tutto privo di quella retorica spicciola che permea gran parte delle storie resistenziali di ogni tempo. Per dirne un’altra, il montaggio sembra quello di una tavola bonelliana! Ah, per meglio far capire la matrice di quelle storie, in copertina campeggia bel bello un garibaldi versione Eroe dei Due Mondi con poncho e barba di ordinanza.
In com-
penso, non me ne vogliano, abbon-
dano nelle storie coeve i sacerdoti protago-
nisti di storie partigiane. Vittime o collabora-
tori della Resisten-
za, come nella realtà molti meritoria-
mente furono. Sia detto col massimo e meritato rispetto, naturalmente, ma è un fatto. E qualcosa vorrà pur dire.
Per arrivare a una nuova comparsa di partigiani comunisti bisogna arrivare infatti al Cuore Garibaldino di Hugo Pratt, quello apparso nel volume per il centenario socialista, prima del patatrac di Mani pulite.
Cuore Garibaldino ci svela anche il controverso e conflittuale rapporto con gli Alleati che stanno risalendo la penisola. Protagonisti della storia sono infatti due giovanotti, un inglese e il garibaldino, per l’appunto. Alcuni passi, che cito a memoria, sono a questo proposito illuminanti.
Infatti, il comandante inglese, che del partigiano comunista non si fida, a un certo punto prende da parte il suo uomo e gli dice paro paro: “Quello è un pericoloso bolscevico. Lo usi e poi lo elimini. Soprattutto se crea grane.” D’altro canto, anche il partigiano ha le idee chiare: “Prima buttiamo fuori tedeschi e fascisti, e poi vedremo”. In nuce c’è già la guerra fredda, la contrapposizione ideologica, Peppone e Don Camillo ecc. ecc.
Non parliamo poi della vexata quaestio circa le vittime di quella vera e propria guerra civile che insanguinò l’Italia dall’armistizio in poi.
Oggi si discute animatamente per dare loro eguale commemorazione e, chissà, forse è giusto così. L’umana pietà e il rispetto per i morti si deve a tutti, e su questo credo che non ci siano dubbi. A mio avviso deve rimanere però sempre e comunque la consapevolezza che ciascuno deve assumersi la responsabilità storica e personale delle proprie azioni. E che si debba distinguere fra chi ha combattuto per un regime dittatoriale e chi ha preso le armi solo in seguito alle catastrofiche conseguenze di una guerra alla quale, ricordiamolo, si partecipò perché serviva qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace.
Terrei anche a rammentare, inoltre, che tanti hanno fatto Resistenza senza impugnare armi, anche solo ospitando, a rischio della vita, partigiani, ebrei e dissidenti, giusto per fare un solo esempio.
Per la cronaca, anche questi, mi risulta, venivano fucilati, se scoperti.
Credo che tutto ciò vada ricordato, pur nella ricerca di una “pacificazione” che ci porti oltre come nazione e come popolo, ma senza riscritture o peggio oblio. E senza nemmeno dimenticare quanto avvenne dopo la fine della guerra, nel cosiddetto triangolo rosso emiliano (e non solo lì), teatro di uccisioni e vendette deprecabili e condannabili senza indugio. Ripeto: ciascuno deve assumersi la responsabilità personale e storica delle proprie azioni, siano esse portate con le armi o solo di copertura e insabbiamento.
Poi potremmo guardare avanti senza agitare continuamente spettri del passato. Anche perché prima o poi dovremo pur farlo, no?
Sarà infine anche questo un caso, ma anche a fumetti il conflitto fra italiani di quel periodo sembra completamente obnubilato. Gli avversari – cinici e spietati – dei partigiani e delle popolazioni nelle storie a quadretti sono sempre immancabilmente nazisti, meglio ancora se SS; e anche quando, vedi quello straordinario fumetto neorealista che è stato Sciuscià, certe descrizioni sono consone alla realtà dell’epoca, nelle future ristampe sparisce più di un momento significativo.
Per vedere un soldato della Repubblica Sociale in azione contro esponenti della Resisteza dobbiamo infatti risalire fino al 1972, quando sul Corriere dei ragazzi compare una breve ma significativa storia, dal titolo Quest’uomo deve morire. Si tratta del racconto dell’assassinio di Duccio Galimberti, catturato dai repubblichini e assassinato a sangue freddo di notte in una strada di campagna.
Ucciso da un altro italiano, che lottava per un ideale diverso. Un ideale che personalmente non condivido affatto, e che in ogni caso non giustifica le sue azioni. Sarà un caso che la comparsa della storia, se non erro, suscitò non poche polemiche?
I fascisti di Salò compaiono all’epoca della storia su Galimberti per la prima volta, ma ovviamente non è l’unica, anche se credo tutti gli altri esempi risalgano a tempi più recenti.
Uno, forse il più eclatante, è quello raccontato da Sergio Staino in Montemaggio una storia partigiana, bel volume dedicato alla strage di Colle Val d’Elsa. Voluta, organizzata e portata a termine da fascisti italiani.
Il libro è bellissimo e racconta anche ansie, timori, aspirazioni e speranze di un gruppo di giovani contadini che solo la situazione contingente aveva costretto ad armarsi. Altro che ideologie, di quasiasi genere.
Facevano quasi tenerezza, con i loro sogni di un futuro migliore, senza padroni, proprietari di terre che per anni avevano coltivato senza possederle, ingrassando i grandi latifondisti. Se ciò vuol dire essere comunisti, allora certo lo erano. Ma erano soprattutto persone che aspiravano a un mondo più equo.
Detto per completezza di informazione. Certo, ci sono voluti decenni per anche solo affrontare il tema..
Basta così, ho sproloquiato troppo. Chiedo scusa per la prolissità