Cominciamo subito col dire che la vignetta di Jacovitti qui a lato, apparentemente non c’entra nulla col testo.
È tratta dall’episodio del 1959 “Cocco Bill contro Cocco Bill”. Eppure, qualcuno fra i più acuti consultatori del blog (e lettori delle testate di cui si parla qui) può ricavarci qualche interessante connessione…
Invece, le meravigliose immagini di Joy Ang sono solo prese in prestito per abbellire questo post tuttopiombo. E fanno il loro effetto. Il suo sito, ripeto, è http://www.joyang.ca/
Venendo al dunque, grazie a tutti i lettori che mi hanno fatto i complimenti per la “ricreazione” dei dialoghi nella storia “Zio Paperone e il segreto della palandrana”, ideata nel 1984 da Romano Scarpa, e attualmente in edicola.
Tentando di ricostruire una storia “monca”, come in questo caso, nell’assenza di appigli sfruttabili appropriatamente si può solo tentare di calarsi nei procedimenti mentali vissuti dall’autore, per ricrearli. Un compito che può anche sfiorare la paranoia, e che non garantisce nemmeno dei risultati efficaci.
Così, un ragionamento piuttosto complesso, certo non immediatamente chiaro, mi ha fatto formulare nel “Segreto della palandrana” un’affermazione che in apparenza potrebbe sembrare una svista, Si trova nella terza vignetta dell’ultima pagina.
Per capire cosa intendo nelle righe di questo post è necessario leggere la storia in questione. Mi scuso coi lettori del blog che non l’hanno fatto e che forse potrano capire solo una parte di quanto affermo.
La ragione, non spiegabile in modo estensivo nelle singole vignette, per la quale ho fatto giungere un carico di cimeli (costumi) dal Perù e non dal Messico, può forse essere opinabile, ma risponde a una logica. Guardando le vignette di Scarpa, avevo trovato la scritta “Aztec Museum”, scritta dall’autore a lapis, già presente sull’involucro trasparente che conteneva da oltre dieci anni gli abiti antichi. Chi li aveva intercettati (il complice del sarto brutopiano) doveva essere evidentemente un contrabbandiere o qualcosa di simile, in grado di accaparrarsi il contenuto di una nave diretta da un Paese all’altro.
Mi è sembrato “salutare” inserire un terzo Paese tra Calisota (luogo di arrivo del carico) e Messico (luogo di origine della civiltà), pensando che dei beni antichi facenti parte integrante della storia di un Paese (il Messico) non sono affatto alienabili o spostabili in modo indisturbato. Se vengono ritrovati nel territorio del Paese a cui si riferiscono, ne sono sua proprietà, non sono gestibili (acquistabili, cedibili ad un altro museo etc.).
Come avrebbero potuto essere “dati” al Museo Azteco di Paperopoli direttamente dalle autorità del Messico? Non sarebbero invece stati esposti per sempre, e in modo più logico, in un Museo del Messico? Questo era un punto della storia piuttosto controverso, e doveva essere spiegato.
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Riepilogando, i vestiti aztechi che compaiono nell’ultima tavola fanno parte di un carico che era stato “alienato” *ufficialmente* al Museo Azteco di Paperopoli (non mi risultava che ce ne fosse uno, ma si sa, nelle singole storie sono concesse delle inedite iinvenzioni, se funzionali alla trama).
A mio avviso, sarebbe stato possibile compiere l’operazione di “alienazione” (vendita, cessione, dono?) solo se questi beni storico-archeologici appartenessero da tempo (secoli?) al patrimonio di un secondo Paese, che forse avrebbe potuto compiere attività di scambio anche culturale con altri Paesi, senza avere vincoli con locali Soprintendenza, Demanio, Ministero della Cultura e così via.
In sostanza: se io, Perù, ho un possesso incontestato di cimeli messicani (cosa non impossible, data la vicinanza delle due terre; il passaggio potrebbe essere avvenuto vari secoli fa) e intavolo uno scambio culturale con il Calisota, posso più facilmente alienare per ragioni varie questi beni archeologici, dato che il mio Governo non è direttamente interessato e non ha con essi vincoli troppo stretti.
Come ha fatto l’Italia a suo tempo nei confronti dell’Egitto, se non sbaglio, posso anche evitare di ottemperare a una richiesta eventuale dei messicani per averli indietro per sé, nello stesso modo in cui, per esempio (ipotizzo), fra il Museo Egizio di Torino e il Louvre forse potrebbero esserci anche degli scambi di beni… Ma uno scambio di oggetti antichi d’arte egizia fra un museo storico con sede al Cairo e un altro Paese… mi pare ben difficile, dato l’obbligo di conservare il proprio patrimonio storico-culturale, che risponde ormai a un criterio di etica culturale universale… Mi spiego?
Nella storia scarpiana, Paperone prospetta l’idea di ricevere sacchi di dollari come ricompensa da un Museo Azteco (che immagino abbia sede a Paperopoli, o in qualche parte non lontano da Marina del Bey, dove il carico *forse* è arrivato, e *sicuramente* è stato nascosto). Evidentemente, dieci anni prima, la sparizione aveva fatto notizia; altrimenti Paperone non avrebbe mai saputo e in parte memorizzato un fatto così lontano dalla sua routine: uno fra i tanti che si leggono sui giornali.
Quindi, la notizia del giornale letto da Paperone avrebbe potuto essere enunciata circa così: “Scomparso prezioso carico di antichi costumi in via di acquisizione dal Museo Azteco (Vedi scritta di Scarpa su involucro) del Calisota”. E ancora, nell’articolo, Paperone avrebbe potuto leggere qualcosa come: “Il carico proveniva bla bla bla da museo (per esempio) peruviano bla bla bla; lauta ricompensa per chi bla bla bla”.