“I GRAPHIC NOVEL SONO FUMETTI CON UN’AMBIZIONE”

Maus

Questo ha detto art spiegelman alla conferenza stampa di fine mattinata a Torino, al Circolo dei lettori. E questo ci ha riferito (più o meno twittando) Loris Cantarelli che redigerà su questo importante incontro un ampio servizio su Fumo di China, paragonabile a quello che si trova nel n. 200 adesso in edicola (ancora Cartoonist Globale non l’ha visto e onestamente è alquanto arduo trovarlo, in edicola) su John Lasseter.

Maus_g

Su questa definizione, citata nel titolo, si può riprendere, volendo, la discussione. E’ una chiave di lettura da tenere in considerazione, benché non esaurisca l’argomento, non ptendosi identificare nella (necesssariamente) sintetica definizione del “genere” (se di genere si stratta, da queste parti serpeggiano dei dubbi).

Nell’articolo odierno I topi che non fanno ridere, Guido Tiberga scrive, su La Stampa.it:

Per amare Spiegelman bisogna prima conoscere il fumetto, bisogna sapere che senza il suo «Maus» niente sarebbe mai stato così come è stato. «Maus» è la partenza di una nuova era, tanto che l’intera carriera di Spiegelman è rimasta legata al suo capolavoro, i cui primi capitoli sono usciti ormai 25 anni fa.

E ce n’è anche per Roberto Benigni, che ha fatto un’operazione diversa:

Spiegelman_Mirrorg-Evil_v3La mancanza di sintonia tra forma e contenuto è sfrontata, e proprio per questo esaspera la drammaticità della situazione. Non a caso, quando un’altra grande lettura anomala dell’Olocausto sbancò i premi Oscar, Spiegelman storse la bocca: «Benigni ha ripreso la realtà per trasformarla in fantasia. Ha usato la metafora per dire che Auschwitz non è Auschwitz, ma solo il sinonimo di un brutto periodo. Anche Maus usa la metafora, ma per aiutare a capire…».

Come promemoria:

Nato a Stoccolma nel 1948, codirettore della rivista di fumetti e grafica Raw, spiegelman ha vinto nel 1992 il premio Pulitzer con il suo capolavoro sull’Olocausto Maus e nel 2011 il Grand Prix al Festival di Angoulême. L’intervista pubblica che si può leggere in questa pagina de La Stampa on line si è tenuta al 92nd Street Y di New York ai primi di ottobre del 2011, in occasione dell’uscita di MetaMaus. L’intervistatrice, Hillary Chute, che è anche curatrice del volume, è una docente di letteratura inglese, specializzata in comics e graphic novel, che ha aiutato spiegelman a raccogliere, elaborare e selezionare il materiale.

Spiegelman-a-new-york-nello studio

Krazy

  • nestore del boccio |

    Vedo che il problema di una differenziazione di genere è sempre in auge. Come già espresso in altri post, la connotazione Fumetto la trovo di una bellezza e originalità strordinaria!…nonchè di grande fascino poetico. Quando provo a spiegarne il significato ai francesi ne restono affascinati.
    Caro Marcello, ballon in inglese, anche se si riferisce al comic non ha lo stesso significato di fumetto ma “pallone” o “palloncino” che non è proprio la stessa cosa del “nostro” che significa ” nuvola di fumo”: un immaginario più evocativo e poetico, non solo “abitudinario”. Per me Graphic novel, resta solo una bella provocazione a fare meglio.
    L’importante, come dici tu, è il prodotto.
    Aggiungo su quanto detto dai molti che mi hanno preceduto. Oltre agli autori già citati come Pratt, Battaglia, Buzzelli, aggiungerei Crepax, il primo autore con una grafica psichedelica ed allegorica di impianto psicoanalitico. Oppure, la saga di Gordon Flash di Raymond o la storia della serie Rip Kirby sempre di Raymond “Le due madri” del 1948( una famiglia ricca che per sopperire all’assenza di un figlio si affidano a degli sciacalli che lo rubano ad un’altra madre ); oppure Terry e i pirati e Steve Canyon di Canniff o tutta l’avventura di Johnny Hazard realizzata da Frank Robbins, senza parlare di tutta l’epica di Prince Valiant di Hal Foster..storie che hanno influenzato persino il cinema di Hollywood, come le consideriamo? Senza considerare l’alto livello qualitativo del disegno che ha influenzato tutto il mondo: italiani, belgi, francesi, spagnoli, inglesi….potrei citare tanti esempi di stile e personaggi che sono quasi dei copi-incolla. Attenzione: non ho citato una scuola grandissima che è quella sudamericana e soprattutto argentina che ha “insanguato” di molto il fumetto europeo. Un’opera come Mort Cinder, di Breccia come la definiamo? Non è una grande opera a fumetti che potremmo definire “opera di letteratura disegnata”? Anche una nuova storia, puo’ essere “letteratura disegnata” non solo quella che fa riferimento a romanzi già noti. Evitiamo le distinzioni di gerarchia tra avventura, fantasy, poltico-sociale etc…Altrimenti dovremmo anche minimizzare pietre miliari della letteratura poemica antica: L’Iliade, L’Odissea, L’Eneide, opere fatte di eroi, guerre, miti, leggende…Il problema è che il Fumetto, gode ancora di un pregiudizio negativo post-fascista e di delegittimazione che ne fece a suo tempo la chiesa. Anche se poi, ne ha fatto una impresa editoriale. Cambiare dicitura, è come quei partiti che cambiano sigla o stemma per rendersi diversi; quando poi, le “teste” son sempre quelle!
    Su quanto detto da Spiegelman, non vorrei che avesse sposato, sul film di Benigni, la condanna che una parte ebraica espresse a suo tempo. Benigni non minimizza l’orrore: semmai, costruisce un’opera poetica di grande sensibilità in un contesto tragico!

  • DanieleTomasi |

    Oltre a concordare con AndreaCara io aggiungerei un altro elemento: un Texone è un “graphic novel” in quanto presenta personaggi reali in situazioni credibili e possibili in un racconto completo. Una storia di Tex che si concluda in un albo singolo della serie regolare (un centinaio di pagine) non vedo in cosa si differenzi. Supponiamo che il problema sia che una storia di Tex non ha uno spessore da “letteratura alta” come una storia di CortoMaltese (chiarisco che questo non è il mio pensiero, io non distinguo tra letteratura alta e bassa, ipotizzo solo un eventuale pensiero altrui) allora ci metto KenParker: esiste in albi seriali ma leggibili singolarmente, esiste in storie lunghe, esiste in storie brevi, non credo che cambi il suo valore al cambiare del formato editoriale. Ma comunque mi chiedo perché, volendo accettare la definizione di “letteratura alta”, perché non possa rientrare in “letteratura disegnata alta” qualcosa come “Il marchio giallo” o “Il Puffissimo” o “Paperino e il Natale su Monte Orso”. “Pogo” è stato realizzato prima in storie brevi in albi, e poi in strisce, ma voglio vedere chi mi dice che non è “Fumetto con un’ambizione” ^_^ Oppure “Gasoline Alley”!!!

  • Andrea Cara |

    @Verbena.
    Non so se essere d’accordo. Perchè non poliziesche? Forse che le avventure poliziesche non sono reali?
    Perche non fantastiche?
    Forse cha la fantasy di Tolkien o la fantascienza di Bradbury non è letteratura?
    Vero è che Pratt ha dato una svolta. Ma mentre io me ne accorgo, e con difficoltà penso di poterne dare una spiegazione, mi aspetto che un critico del fumetto, come per il cinema un critico del cinema, sia in grado di fornirmene la ragione.
    Altrimenti il fumetto è tutto fumetto, ed è inutile diversificarlo a seconda di stilemi narrativi più o meno inventati per potere meglio vendere un prodotto.
    Aspetto sempre lumi.
    Saluti!!

  • Verbena |

    Ciao, non ci sentiamo da qualche anno, ma seguo quasi sempre!
    Carlo Scaringi fa una bella ipotesi oggi, su AFNews:
    http://www.afnews.info/wordpress/2012/01/le-amare-profezie-di-guido-buzzelli/
    “si potrebbe dire che la graphic novel è nata con Guido Buzzelli e Hugo Pratt. Se il secondo ha definito “letteratura disegnata” la sua Ballata del Mare Salato e le storie successive, non c’è dubbio che Buzzelli con la Rivolta dei Racchi – disegnata nel 1966 e apparsa sull’Almanacco del Salone di Lucca – ha creato un nuovo modo di fare fumetti.
    “Non più (o meglio non solo) storie a puntate, avventurose, poliziesche, fantastiche, ma racconti completi, con personaggi il più possibile reali, verosimili e con situazioni magari al limite del credibile ma possibili. Tutte le storie scritte e disegnate da Guido Buzzelli sono vere graphic novel, ma allora nessuno lo sapeva.
    “Uscivano a puntate ogni mese, prima in Francia poi in Italia, per lo più su Alterlinus, prima di assumere la dimensione giusta, quella del libro, che permette una lettura completa, perché le sue storie – arricchite da un disegno realistico, talora cupo per l’assenza del colore, inquietante per le figure dei protagonisti e l’ambientazione – hanno sempre lo spessore di un romanzo, forse breve, ma proprio per questo più incisivo.”

  • mario |

    Concordo con Daniele, anche la disamina di Marcello è corretta, comunque. La cosa più importante è che il prodotto che acquistiamo e leggiamo sia davvero bello, scritto e disegnato bene, tradotto bene (per i fumetti non italiani) e di buona qualità. Poi chiamatelo e chiamiamolo come vogliamo. 🙂

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