Strippy era una effimera ma a suo modo importante testata a fumetti lanciata dagli uomini di Arnoldo Mondadori negli anni della contestazione giovanile (o giù di lì). Una bella testata che si affiancava nel formato e per target a Superman, a Batman, a Dyno, a Nic Cometa, Zorro, Davy Crockett…
Erano gli anni nei quali la gloriosa Mondadori si interessava sempre più ai fumetti, nasceva il mensile Il Mago (con Mafalda, Blondie, Jacovitti, Momma, Arcibaldo e Petronilla, sotto la direzione più o meno effettiva di Fruttero e Lucentini). Gli Oscar a fumetti andavano alla grande.
Cosa resta oggi, di quel periodo felice, di quella stagione piena di promesse (non sempre mantenute, a dirla tutta, ma c’era chi ci aveva provato, meritando il rispetto e la riconoscenza degli appassionati)?
La discussione sui fatti, che potremmo definire loschi, oscuri, usando un un eufemismo circa il passaggio di proprietà della casa editrice, sono affiancati in quest’ultima settimana dalle prese dei posizione e dai dubbi di uomini di cultura dalla coscienza ancora attiva che hanno pubblicato con quella casa editrice.
Giorni fa, Massimo Giannini ha intitolato un suo articolo su La Repubblica così: Mondadori salvata dal Fisco – scandalo “ad aziendam” per il Cavaliere
Prima del “vivo” del pezzo, si legge una sintesi del suo contenuto, sotto il titolo: La somma dovuta dall’azienda editoriale: 173 milioni, più imposte, interessi, indennità di mora e sanzioni. Una norma che si somma ai 36 provvedimenti “ad personam” fatti licenziare alle Camere dal premier. Segrate è difesa al meglio: i suoi interessi li cura lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel ’91 non ancora ministro. Marina Berlusconi mette da parte 8,6 milioni, in attesa delle integrazioni al decreto. Che puntualmente arrivano.
Il testo dell’articolo è molto istruttivo. Non essendoci state repliche o contestazioni si suppone che sia tutto vero. Dopo una serie di peripezie funamboliche per tentare di evitare di pagare (inizialmente) 200 miliardi di lire di imposte, Segrate ha la meglio (alla faccia di noi contribuenti). E Giannini conclude: “il gioco è fatto. Il colosso editoriale di proprietà del presidente del Consiglio è sostanzialmente salvo.” Come il contenzioso con il Fisco si sia articolato non sto a trascriverlo; il pezzo di Giannini chiarisce tutto.
Posso però sottoporre alle attenzioni dei visitors di questo sito qualche valutazione del Giannini stesso.
Stavolta Berlusconi non può dire “non mi occupo degli affari delle mie aziende”: non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come riportato testualmente dalle intercettazioni dell’inchiesta di Trani) nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge “ad aziendam” dice al telefono al commissario dell’Agcom Giancarlo Innocenzi “è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900 milioni… De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi chiede 90 miliardi delle vecchie lire all’anno… sono messo bene, no?”. Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo “quattro sfigati in pensione”: non è forse vero che nelle 15 mila pagine dell’inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola “Mondadori” ricorre 430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola “Cesare”) e che nella frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati nell’interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente dell’Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via libera a quel “dirottamento”?).
Eugenio Scalfari replica con un circostanziato articolo leggibile per intero in uno dei link correlati posti in coda a questo post.
Eccone un passaggio decisivo:
Il conflitto di interessi di Berlusconi è un’anomalia che – in queste proporzioni – esiste soltanto in Italia. Si combatte eliminando l’anomalia, cioè si combatte politicamente. Lo sciopero degli autori, degli operatori televisivi e, perché no, quello dei lettori o dei telespettatori non sono armi facilmente realizzabili. Si possono determinare casi personali come quello di Roberto Saviano, insultato da Berlusconi e da sua figlia Marina con giudizi offensivi sul suo libro “Gomorra” ancorché pubblicato dalla Mondadori.
Ma si tratta di casi personali che l’interessato risolve come ritiene più opportuno.
Sotto, il pensiero di Don Gallo, che risponde anche a Scalfari. Don Gallo è stato evocato anche in questo blog in qualche commento ai post precedentoi, quelli sugli “Stati generali del Fumetto Italico”.
Aggiungo ancora un commento di Giannini:
È tutto agli atti. Una sola domanda: di fronte a un simile sfregio delle norme del diritto, un simile spregio dei principi del mercato e un simile spreco di denaro pubblico, ci si chiede come possano tacere le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione. Possibile che “ad personam”, o “ad aziendam”, sia ormai diventata un’intera nazione?
La seconda parte del titolo di questo post accenna all’indifferenza degli scrittori, dei giornalisti, degli attori, degli insegnanti (eccetera) italiani davanti a fatti di questa gravità.
Reazioni eclatanti, a parte di dubbi dell’onestissimo Mancuso, non mi sembra che se ne siano viste, o ascoltate.
Il post è finito, ci sono repliche?
LINK MERITEVOLI DI PERLUSTRAZIONE
MONDADORI: HA RAGIONE VITO MANCUSO, di Gad Lerner
GLI SCRITTORI, I LIBRI E IL CONFLITTO D’INTERESSE, di Eugenio Scalfari
LODO MONDADORI: IL TRIBUNALE CHIEDE 749.955.611,93 EURO
QUELLI CHE A SEGRATE NON RINUNCEREBBERO MAI MA NON VOGLIONO DIRLO, di Alessandro Gnocchi