Sopra, tre opere dell’artista Colin Christian, molto apprezzato quanto sinora inedito per Cartoonist Globale (come una marea di altri; poco alla volta, se avrete la bontà di seguirci, li ammirerete o li sputacchierete). Matthew Bone ha scritto un post su questo creativo nelle pagine di Nerdist.
A queste belle immagini abbino un articolo speditomi da Francesco Palmieri di Neurocomix, che racconta tutt’altro. Uno dei disastri (colposi) economici del nostro tristo Paese.
Il finanziamento pubblico in teoria è stato abolito. Ma tra rimborsi, contributi e trucchi vari, le segreterie hanno incassato lo stesso. Incluse quelle che non esistono più, ma continuano a prendere soldi.
Tre miliardi di euro. Una cifra stratosferica, equivalente a quasi seimila miliardi delle vecchie lire. Sono i soldi pubblici che i partiti italiani hanno incassato in sedici anni: il tesoro nascosto della Seconda Repubblica.
Una cascata di denaro prelevato dalle tasche dei cittadini e trasferito nei forzieri che sostengono la macchina politica del nostro paese. E stiamo parlando soltanto dei fondi elargiti dallo Stato a partire dal fatidico 1994, anno di svolta dopo la tempesta di Tangentopoli, segnato dall’introduzione del sistema maggioritario.
“L’espresso” ha ricostruito i mille rivoli di questo fiume di denaro, che si è modificato secondo gli assetti della politica e delle maggioranze, con formazioni che scompaiono e coalizioni in continua metamorfosi.
In questo inseguirsi di sigle e simboli, dalla contabilità bizantina, resta però un punto fermo, che ha il sapore di una truffa ai danni della cittadinanza. Perché nell’aprile 1993 il referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti era stato approvato con una maggioranza bulgara. L’iniziativa promossa dai Radicali di Marco Pannella aveva ottenuto il 90,3 dei consensi e avrebbe dovuto decretare la fine delle trasfusioni a vantaggio dei segretari amministrativi di movimenti grandi e piccoli.
Invece no: nonostante quel voto, i cittadini hanno continuato a pagare per sovvenzionare la politica. Nel disprezzo della volontà popolare espressa da referendum, la corsa all’oro di Stato è proseguita ed addirittura aumentata.
Sommando al denaro per gli organigrammi di partito quello per i loro organi:
fondi a go-go erogati a favore dei cosiddetti giornali organi di partito, come la cara vecchia “Unità” del Pci-Pds-Ds (ora, però, non è più organo di alcunché, va specificato, ma prima…), il “Campanile nuovo” dell’Udeur di Clemente Mastella, la “Padania” di Umberto Bossi, il “Foglio” di Giuliano Ferrara e le altre decine di testate di partiti e movimenti spesso fantasma o appositamente creati che, nello stesso periodo, da soli, secondo una stima de “L’espresso”, in quella torta di tre miliardi valgono circa 600 milioni di euro. Davvero un bel bottino.
Caccia al tesoro: è quella scatenata dai partiti per mettere le mani sul tesoretto pubblico dei rimborsi. Sono en 2 miliardi 254 milioni di euro, stando al calcolo fatto dalla Corte dei conti fino alle elezioni politiche del 2008, cui vanno però aggiunti un altro centinaio di milioni maturati nel 2009 grazie alle ultime europee.
Come è stato possibile trasferire tanto denaro nonostante il plebiscito del referendum?
Aggirando il veto al finanziamento pubblico con una nuova formula: il meccanismo dei rimborsi elettorali.
Sempre pubblici, sempre pingui ma formalmente giustificati dalla volontà di tutelare la competizione democratica.
Sulla carta, però, il risarcimento a carico della collettività avrebbe dovuto coprire soltanto i costi sostenuti nella campagna. Ma i furbetti del partitino hanno subito inserito un primo trucco: come per magia, i rimborsi volano lontano dalle regole dell’economia e si plasmano su quelle della politica, per dilatarsi e lievitare.
Non si calcolano sulla base dei soldi effettivamente investiti e spesi per spot, comizi e manifesti, ma in proporzione ai voti ricevuti.
Quanto per l’esattezza? Una cifra che si è gonfiata senza sosta e senza vergogna, in un’autentica corsa al rialzo.
Nelle politiche del 1994, le prime dopo il referendum blocca finanziamenti che segnarono la discesa nel campo di Cesare Berlusconi, il fondo a disposizione è stato alimentato con una formula magica: 1.600 lire per ogni cittadino, non tantissimo perché all’epoca un quotidiano costava 1.300 lire ma che fatti i calcoli produce una cifra monstre.
In totale, per Camera e Senato, il contributo toccò la cifra di 90 miliardi 845 milioni di lire.
Ma, si sa, l’appetito vien mangiando, ed ecco negli anni successivi gli alchimisti parlamentari scendere in aiuto dei tesorieri di partito. I maestri del ritocchino si danno da fare e nel 1999 il contributo triplica e passa a 4 mila lire per abitante. E come è accaduto in tutte le botteghe, nel 2002 l’euro ha offerto un’occasione ghiotta per scatenare aumenti selvaggi e poco chiari.
Si prevede un 1 euro per ciascun anno di legislatura: in pratica 5 euro per ogni cittadino italiano. Certo, parallelamente si cancella quel 4 per mille che dal 1997 per due anni ha dato ai cittadini la possibilità di destinare ai partiti questa percentuale
dell’imposta sul reddito fino a un totale massimo di 56 milioni 810 mila euro.
E poi si era ridotto il fattore di moltiplicazione: non più il totale dei cittadini ma solo il numero degli iscritti nelle liste elettorali della Camera.
Anche le modalità di pagamento degli agognati rimborsi subiscono modifiche: non più tutti e subito ma rateizzati nei cinque anni di durata della legislatura. Con una fondamentale postilla: il blocco in caso di scioglimento anticipato. Niente più parlamento, niente più quattrini.
Una misura ispirata dalla frequenza delle elezioni nostrane, che viene però considerata troppo severa dalle segreterie di partito.
E difatti nel 2002 aboliscono l’interruttore: il finanziamento si incassa anche se i
parlamentari decadono prima. Una farcitura a doppio strato: consente alle rate dei vecchi rimborsi milionari di sovrapporsi a quelle altrettanto ricche portate in dote dalla nuova legislatura.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti, con effetti paradossali. Come bene dimostrano i rimborsi della quindicesima legislatura aperta nel 2006 e finita nel 2008 che continueranno ad essere incassati dai partiti fino al 2011 e si sommeranno a quelli della sedicesima che dovrebbe durare fino al 2013. Ci sono partiti, come i Verdi, Rifondazione, i Comunisti italiani, che non sono più in Parlamento ma vengono ancora sovvenzionati dagli italiani.
Di astuzia in cavillo, le coalizioni hanno divorato oltre 2 miliardi 300 milioni di euro, frutto non solo dei rimborsi per le elezioni di Camera, Senato e Parlamento europeo, ma anche per quelle regionali.
Il testo è un po’ “pesantuccio e va diviso in due post. Il primo finisce qui. Il secondo segue a ruota.
Questo spira con il commento sopra annunciato che riguarda Colin Christian, nostro ammirato artista:
A hopeful idealist, the women of Colin’s armada are the amalgams of the many beautiful icons that he grew up worshiping, sanded and painted to a shiny perfection to match the streamlined clothing and provocative space gear that adorn his ladies. Though one could dismiss the work as being too sexy or kitschy, these sculptures embody what it’s like to be a child, to see the world as a beautiful shiny egg to crack, one where sexuality, cooperation, and advancement are not hindered by closed mindedness or cynicism; basking in the embryonic glow of cinema and television has allowed Colin to create a 3-dimensional manifestation of how he sees, or hopes to see where technology, art, and science can take us.
“As a species we must embrace technology in the right way, and leave this planet… When we leave our genitals will come with us, eventually spacesuits will get sexier.”
Continuate la lettura nel prossimo post!