Willi l’ha già anticipato in un suo commento alla cronologica di Floyd Gottfredson…
Dopo anni di attesa, è finalmente uscito un volumone gigante sull’opera poco nota, e inedita in varie parti del mondo (fra cui l’Italia) di Milt Gross. Oltre 350 pagine a colori, acquistabile anche su Amazon.
Il libro ha una speciale introduzione dell’illustratore e vignettista di Mad Al Jaffee e un affettuoso saggio di Herb Gross, il figlio del grandissimo Milt (sotto in una bella foto davanti al tavolo da lavoro), che se fosse ancora fra noi, lo scorso 4 marzo avrebbe compiuto da 115 anni.
La cura del sontuoso tomo è dell’amico Craig Yoe.
Jitterbug Follies (1939) Milt Gross
Caricato da klangley
Di questo colosso dell’umorismo, che una volta mi fu segnalato da Luciano Bottaro per una rivista (alla fine mai nata) alla quale anche il Maestro di Rapallo avrebbe dovuto partecipare (Il Coyote della Sera), non esistono antologie in volume, ristampe anastatiche sistematiche, comic books vintage o altro.
Solo ritagli di giornale, qualche comic book in via di sbriciolamento e un paio di eclatanti cortometraggi animati. Non se ne trova traccia in terre anglofone, figuriamoci in Italia!
Da noi, di Milt Gross, mi risulta l’uscita di appena un pugno di albi a striscia, pubblicati alla fine degli anni Quaranta da un decaduto editore Mario Nerbini, fra un Pinocchio riscaldato di Scudellari e una delle tante traduzioni di Bibì e Bibò di Knerr.
Chi non lo conoscesse, può vederlo anche in questa seconda antica foto, al lavoro sul suo tavolo da disegno, dove schizzava personaggi buffi con una rapidità impressionante, usando pochi effimeri tratti a matita, niente gomma e tanto impeto con le chine.
Gli anglofoni (quasi tutti, cioè, penso), possono aggiornarsi sulla sua intensa, ma purtroppo rapida carriera qui:
Born in 1895 in the Bronx, Milt Gross began his first comic strip, Phool Phan Phables, at the age of 20. It was for the New York Journal and featured a rabid sports fan named George Phan.
Milt had been hanging around newspaper in search of cartooning gigs for a few years. He was actually working for Tad Dorgan, a major sports cartoonist of the day, when he landed his inaugural strip. It was to be the first of a series of non-memorable false starts.
Animation, WWI and more short-lived strips served as his training ground for his first major success, “Gross Exaggerations“.
Tra le serie di Gross spiccano Count Screwlooose of Tooloose, Dave’s Delicatessen, Babbling Brooks, Otto and Blotto, That’s My Pop!…
… E Banana Oil, una strip comica lanciata nel remoto dicembre 1921.
Banana Oil non è un personaggio, bensì un’espressione, resa famosa da questa strana striscia, spesso costituita da una sola vignetta, ideata da questo iperproduttivo autore di libri e soggetti cinematografici (lavora anche con Charlie Chaplin, e scusate se è poco), che sa anche curare rubriche di arte e di prosa con taglio umoristico ed è anche l’unico, oltre a Walt Disney, ad avere il proprio nome indicato sulla testata di un comic book.
Nel 1921, Gross inventa l’espressione intraducibile che dà il titolo alla strip, destinata a diventare di uso comune negli anni Venti come beffardo, rituale contrappunto alla situazione impossibile raffigurata.
Pronunciata da personaggi diversi, “banana oil” equivale in sostanza a un “mandare a quel paese”, e nel contempo a rivelare che qualcuno la sta sparando grossa. La sua traduzione letterale, “olio di banana” suggerisce perfettamente l’idea di un paradosso.
Gross pubblica Banana Oil sul quotidiano New York World, che nel 1926 correda la striscia con una omonima tavola domenicale, interrotta quattro anni più tardi quando l’autore passa al King Features Syndicate, in seguito alla chiusura del giornale.
Di Milt Gross ripropongo ai visitors italici un piccolo capolavoro: uno dei suoi due soli film animati diretti per la Metro Goldwyn Mayer. Uno strampalato showetto in bianco e nero incentrato su una sorta di Corrida americana, un’Ora del dilettante che in quegli stessi anni è anche oggetto di interesse per gli stessi Disney e Tex Avery, che ne trattano in due loro celebri cortometraggi.
Ecco come si cercava di darsi un’identità alla MGM prima dell’avvento di Hanna e Barbera (e di Tom & Jerry), prima del genio fracassonemente creativo di Tex Avery.
Sulla follia di questo corto (del 1939), non mi dilungo. La mano di Gross è evidente anche dal punto grafico, sia nel personaggio principale, ricavato dalla serie a fumetti Count Screwlooose of Tooloose, che in qualche comprimario. Si nota un po’ meno in alcuni personaggi secondari, gestiti dallo stesso staff (con in testa Emery Hawkins) che in quel periodo si occupava (alla grande) anche dell’animazione dei cortometraggi dei Katzenjammer Kids, appunto Bibì e Bibò.
Chissà come avrà storto il naso Fred Quimby, responsabile per la MGM del settore animazione e notoriamente privo di senso dell’umorismo.
Che dire di più, per il momento, se non: “Godetevi questa quasi rarità“?!
NOTA:
Andrea Ippoliti precisa che Fred Quimby si arrabbiò davvero! Addirittura, si rifiutò inizialmente di distribuire il cartoon poiché riteneva ledesse la dignità della MGM (Avery doveva ancora giungere)!! Ecco perché Gross rimase così poco allo Studio e si ebbe solo un altro suo corto.
Il © di Banana Oil è del N. Y. Evening World.
Tutti i fumetti di questo post sono © Milt Gross Estate.
Il corto della MGM è in pubblico dominio. L’animatore americano Kevin Langley lo ha postato (grazie assai) non su You Tube, bensì su Daily Motion..
Sotto, in chiusura, un’altra curiosità…
Sembra Milt Gross, ma non lo è!
Trattasi di Dan Gordon, che in parte mina (nell’anno di grazia 1947, uno prima dello scatto della foto grande di questo post) lo stile di Gross per pubblicizzarne il comic book, Milt Gross Funnies, nell’interno di copertina di Giggle Comics, il delizioso mensile della Creston.