Eccoci giunti d’un balzo agli sgoccioli della collana di allegati a fumetti più eclettica del 2009, partita una quarantina di settimane fa con Corto Maltese. Restano tre volumi, due dei quali, come ci ha anticipato Cesare Milella in questo post, dedicati a fumetti di ambientazione storica scritti da Luciano Secchi – Max Bunker: Fouché, un uomo nella rivoluzione, disegnato da un grande Paolo Piffarerio, e Robespierre, del dimenticato Beppe Madaudo: quarantunesimo e ultimo titolo. Nel corso del post, le loro copertine.
Alla fine, il sospirato volume su Love & Rockets dei talentuosi Hernandez Bros., che avrebbe proposto i suggestivi cantori delle Locas al grande pubblico è (ahimè) saltato.
Questa settimana, in edicola con Panorama e Il Sole 24 Ore per la collana Maestri del Fumetto curata da Magic Press sono di scena i Freak Brothers di Gilbert Shelton, con un volume dal titolo Senza l’ego è impossibile raggiungere la fama… Da acquistare!
Nella foto sopra, sono con Gilbert Shelton (e Claudio Curcio, non inquadrato da Stefano Folegati, che con Paolo Bardelli ha recensito l’evento qui e che ringrazio) il 17 luglio scorso.
Giornata vieppiù ventosa, come si vede dalla tovaglia del tavolo sul palco, a Livorno, in occasione del festival Italia Wave. I pregiati comic books con opere di Gilbert, disposti sul tavolo, rischiavano di volare via insieme a tutto quanto e le loro pagine e copertine di staccarsi, facendo perdere centinaia di dollari per il depauperamento al collezionista che li aveva forniti (io stesso).
Tornando al libro della Magic-Mondadori, con Freak Brothers continua la riscoperta dell’epoca d’oro della scena fumettistica americana degli anni Settanta.
I tre fratelli Freak, Fat Freddy Freekowtski, Freewheelin’ Franklin e Phineas T. Freakears (nomi ben pronunciabili solo dai docenti di Inglese di Cambridge, tipo Frank Stajano) sono gli straordinari protagonisti di un giro intorno al mondo, una carambola di colpi di scena indimenticati.
A mezza via tra la demenzialità e la satira sociale, le avventure dei Freak Brothers raccontate da Gilbert Shelton hanno fatto la storia dell’underground.
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Niente supereroi, semmai parodia dei supereroi.
Niente avventura o poliziesco, ma parodia dell’uno e dell’altro.
L’underground deve prima di tutto dissacrare, mostrare l’aspetto ridicolo dei valori che dominano nell’industria culturale americana.
Mentre in Europa i movimenti giovanili si rapportano a una sinistra che sa di avere una certa forza politica, negli Stati Uniti i giovani contestatori sono consapevoli di appartenere a una minoranza, culturalmente significativa, ma politicamente troppo debole.
Ed è quindi proprio la satira lo strumento più potente che hanno a disposizione, il registro narrativo attorno a cui ci si può riconoscere, mettendo alla berlina tutto, compresi i giovani stessi.
Certo, l’obiettivo principale di questa satira resta quello che possiamo chiamare the american way of life, con i suoi significativi risvolti politici; però gli autori dell’underground prendono in giro, magari più benevolmente, anche il proprio stesso mondo. E i loro lettori sono ben contenti di riconoscersi in questo mondo pieno di difetti, ma anche significativamente altro da quello dominante.
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Satira mitica: quando Shelton arriva alla sua seconda grande (e più nota) creazione, siamo già nel 1968, e The Fabulous Furry Freak Brothers nasce in un contesto piuttosto differente da Wonder Wart-Hog (sotto un’illustrazione del verro supereroico, la copertina dell’albo datato inverno 1967 e qui la cronologia completa delle sue storie).
Il movimento giovanile è infatti cresciuto, diventando una sorta di grande comunità sparsa nel paese, che ha le sue regole e i suoi miti, ovviamente alternativi a quelli dell’establishment, ma a loro volta non privi di eccessi e difetti.
Così, Shelton sa di avere dei lettori che sono anche suoi simili. Per questo, anche se il bersaglio principale della sua satira non cambia, cambiano invece i protagonisti dei suoi fumetti, che appartengono ora allo stesso mondo dell’autore e dei suoi lettori. Non più un supereroe tracotante, ma tre fricchettoni scoppiati, che vivono la vita di tutti i giorni, salvo piombare di quando in quando in deliranti avventure in giro per il mondo.
Con i Freak Brothers, Shelton prende infatti in giro il proprio stesso ambiente: si tratta di una burla benevola, specie se comparata con quella feroce che le medesime pagine propongono intanto nei confronti dell’America ufficiale; ma è comunque una burla, una caricatura, uno sguardo sugli eccessi di quella stessa alternativa giovanile dentro cui Shelton vive.
Al centro del mondo dei Freak Brothers, proprio come del suo, c’è ovviamente the dope. Dope è, per i nostri eroi, sostanzialmente l’universo degli allucinogeni, e quindi marijuana, hashish ed LSD.
La cocaina non viene disdegnata, ma nemmeno particolarmente cercata.
L’eroina è invece del tutto fuori gioco: c’è, per esempio, un episodio in cui Fat Freddy esce per cercare dello zucchero e, facendosi imbrogliare come sempre, torna a casa con un sacchetto di eroina brown sugar; il commento sarcastico di Franklin è che quella roba non è nemmeno buona per addolcire il tè!
Siamo dunque del tutto all’interno di quella concezione dello sballo come allargamento dell’area della coscienza che viene pubblicizzata in quegli anni dalla vulgata dei libri di Carlos Castaneda. E non a caso una delle storie di maggior successo dei Freak Brothers li vede in viaggio proprio verso il Messico, alla ricerca dei mitici cactus del peyote.
L’illuminazione sciamanica che i giovani americani di quegli anni sono convinti di perseguire è infatti uno dei bersagli preferiti della satira di Shelton, che non ha pietà nel dipingere gli eccessi e le miserie dei tre (peraltro simpaticissimi e umanissimi) personaggi. […]
Tutto ciò dall’introduzione di Daniele Barbieri
Autore Gilbert Shelton / Pagine 192 / Formato 21×27, Cartonato, B&N / materiale inedito!!! Appositamente tradotto.
Sotto, una storiella a fumetti dei Freak Brothers leggibile in un video e un estratto del lungometraggio basato sui personaggi di Shelton che… sarebbe in produzione se solo (ci ha detto lui stesso) ci fossero i fondi per portarlo avanti.
Chissà se mai lo vedremo.