ENRICO FACCINI RIDES AGAIN (INTERVISTA ESCLUSIVISSIMA)

Tedoforo

Dopo molti mesi, ecco qua: il bravissimo Enrico Faccini, del quale son uscite sui numeri di Topolino pubblicati in luglio 2009 delle divertenti e originalissime storie prive di parole, rides again.

E risponde, come nei post dello scorso anno i cui link sono riportati in chiusura di post, alla lunga serie di domande rivoltegli dai visitatori di Cartoonist Globale, in particolare gli immarcescibili SuperSgriz e Doctor Einmug.

BLOG: Caro Enrico, partiamo da una domanda “generalista” che ti avranno fatto più volte, date le tue qualità di soggettista-sceneggiatore di storie disegnate da altri, alternativamente disegnatore di storie altrui e anche “autore completo” (o “autore unico”, se preferisci). Ti trovi meglio a scrivere o a disegnare?

Vasogreco ENRICO FACCINI: Trovo che scrivere è concettualmente più difficile ma più divertente, quando arriva l’idea giusta. E’ il momento di massima creatività, in cui si dà vita ai personaggi, li si fa agire e parlare.
Ricordo uno scritto di Ejženstein su soggetto e sceneggiatura: quando si apre una “finestra” di creatività, le idee si moltiplicano vertiginosamente, e all’autore sembra di essere un pescatore in mezzo a un branco di pesci: per ogni acciuga che catturi, dieci te ne scappano. E’ una bella immagine, e rende bene l’idea di quanto sia elettrizzante la scrittura, quando è ispirata e libera.
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BLOG: E il disegno?
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ENRICO FACCINI: Il disegno dà un altro genere di soddifazione, quello di visualizzare, si spera efficacemente e con chiarezza, quanto prima affabulato.
L’inchiostrazione è l’aspetto più artigianale e manuale di tutto il processo, richiede molta pazienza ed ha comunque la sua qualità.
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BLOG: Quali sono le tue principali fonti d’ispirazione?
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ENRICO FACCINI: E’ piuttosto difficile spiegare i meccanismi della scrittura di un autore, e la dimostrazione è che ogni autore, anche il meno brillante, ha un suo linguaggio, magari sgangherato, e può essere a suo modo interessante. Quello che posso fare è raccontare il percorso che ho fatto finora.

Fino a quando riesco a risalire con la memoria, ci sono due cose in cui mi sono sentito versato: leggere (e di conseguenza scrivere) e disegnare.
La predisposizione al disegno risale ai miei primissimi ricordi: già alle elementari ero “quello bravo nel disegno”, quindi impiegato per decorazioni sotto le feste eccetera. Ironia della sorte, il mio “pezzo forte” era… Paperino.
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BLOG: Una sorta di imprinting, a quanto pare! Ma anche molti tuoi colleghi hanno disegnato sin da bambini i personaggi Disney. Per esempio Casty, o Stefano Ambrosio (come si vede dagli schizzi pubblicati sull’Annuario 2009 di Fumo di China) e così via.
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ENRICO FACCINI: Personalmente, ricordo di aver addirittura vinto un paio di premi per concorsi di disegno. Uno alle elementari, in cui gli esaminatori non credettero possibile che un bambino avesse potuto dare un’interpretazione stilizzata del passaggio di Mosè nel Mar Rosso, un secondo alle medie in un concorso per la Protezione Animali: mi classificai secondo, solo perché il primo premio venne dato a una ragazza che aveva salvato un cavallo (quindi non per le sue capacità artistiche), superando in classifica studenti dei primi anni del liceo artistico.
Un altro ricordo dell’infanzia: proprio alle elementari, con la “collaborazione” se così vogliamo chiamarla di un compagno di banco, feci una storia a fumetti di Paperino che si applicava a fare delle torte e a mangiarle, una cosa così, su un unico foglio da disegno. Premonizione?
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BLOG: A quanto pare, sì! Si deduce che in giovane età avevi già imparato a leggere le storie a fumetti con questi personaggi, per pensare di produrli in qualche nuova avventura…
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ENRICO FACCINI: Mia madre sostiene che io ho imparato a leggere precocemente, proprio per poter seguire le storie dei fumetti Disney cui mi avevano abbonato. Sono sempre stato un lettore compulsivo e onnivoro, arrivavo addirittura a leggere il foglio di giornale in cui erano avvolte le uova. Tuttora compro molti più libri di quanti riesca a leggerne, infatti nella maggioranza rimangono intatti per mancanza di tempo e non per pigrizia.
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BLOG: Dicci allora quali sono alcuni degli ultimi libri che hai comprato!
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ENRICO FACCINI: L’autobiografia (in inglese) di Slash, il chitarrista dei Guns’N’Roses, e il Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki. Sorprendente, vero?
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BLOG: Alquanto! Anche i tuoi studi si sono orientati in questa direzione creativo-grafica-narrativa?
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ENRICO FACCINI: Dopo un periodo di indecisione (a tredici anni, che volete…) la scelta delle scuole superiori si orientò verso il liceo classico: privilegiai lettura e scrittura, a distanza ormai di decenni posso dire senza rimpianti.
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BLOG: Quando hai iniziato la tua attività da professionista del medium?
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ENRICO FACCINI: Il primo approccio l’ho avuto con lo Staff di If, l’agenzia di Gianni Bono. Al tempo, ero attirato dal fumetto d’autore de L’Eternauta e dai lavori di Dino Battaglia; avevo realizzato come prova di presentazione un adattamento di un racconto di Edgar Allan Poe. Mi fu proposta l’eventualità di collaborare con Sergio Bonelli o con Disney, che poi erano i due canali preferenziali di lavoro dell’agenzia, all’epoca.
Optai per Disney, e mi misi a far prove su prove di disegno e inchiostrazione.
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BLOG: E la “svolta” vera e propria quand’è avvenuta?
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ENRICO FACCINI: Dopo un po’ di tirocinio, ho conosciuto Carlo Chendi, che mi ha presentato a Giovan Battista Carpi: questo ha segnato il mio contatto ufficiale con la Disney.
All’epoca, Carpi era stato incaricato da Gaudenzio Capelli di formare una nuova generazione di disegnatori, di creare quindi una sorta di scuola, ufficializzatasi in seguito e diventata nel corso degli anni Accademia.
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BLOG: Abitando tua a Genova, la stessa città in cui viveva Carpi, avevi dei contatti anche extra-Accademia?
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ENRICO FACCINI: Sì, mi presentavo con cadenza all’incirca settimanale a casa di Carpi, in via Montello, che mi correggeva le tavole. In seguito sono ricorso, tramite Elisa Penna, alle preziose correzioni (che ancora conservo) di Romano Scarpa, cui spedivo via corriere gli originali. Scarpa correggeva su fogli da lucido, e me le rispediva. Seguivano commenti e consigli telefonici.
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BLOG: Anche se l’attività di Scarpa, svolta a domicilio, era un po’ meno “sotto i riflettori” di quella delle prima Scuola Disney, fu lo stesso Capelli a rivelare che a Venezia il papà di Brigitta e di Filo Sganga stava “crescendo” un altro gruppo di giovani e promettenti autori.
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ENRICO FACCINI: Ho cominciato così. E per alcuni anni ho disegnato storie, peraltro in gran parte non particolarmente memorabili, su soggetti di altri.
Nel frattempo, tuttavia, analizzavo numerose storie dal punto di vista del soggetto e della sceneggiatura, cercando di capire i collegamenti interni, i raccordi, cerchiando con un pennarello le vignette in cui “ritornava” in qualche modo un fatto accaduto in precedenza.
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BLOG: Una lettura “destrutturante” fatta con occhio critico! Utilissima, per scoprire i segreti altrui.
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ENRICO FACCINI: Per esempio, leggendo alcune storie di Scarpa (in particolare Paperino e il nipote ideale, quella con Baldo de’ Paperi) ricordo d’aver realizzato l’importanza del tema narrativo che in vari modi influenza le azioni e i comportamenti dei personaggi.
In breve, mi sono fatto una sorta di prontuario di scrittura.

Col passare del tempo, però, ho visto che l’eccessivo tecnicismo nuoce alla spontaneità ed è spesso nemico di un certo tipo di comicità surreale e un po’ folle.
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BLOG: … Che è una delle tue cifre, e anche di autori classici come Dick Kinney, o anche certo Giorgio Pezzin!
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ENRICO FACCINI: In sostanza, penso che sia indispensabile studiare e padroneggiare la tecnica, ma che poi a un certo punto la tecnica va sabotata, inserendo nell’ingranaggio uno o più grani di follia, di imprevedibilità. Da qui discende il primo teorema facciniano…
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BLOG: Quanto conta, secondo te, la capacità di essere spiritosi in un fumetto “alla Faccini”, e quando la trama, l’elemento avventuroso?
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ENRICO FACCINI: Aver la capacità di cogliere il lato surreale, grottesco e divertente della vita è fondamentale. Chi non è naturalmente spiritoso (per dirla brutalmente: non dotato di un giusto grado di cazzeggio goliardico) scriverà storie meccaniche, artificiose e difficilmente divertenti, al più strapperà un sorriso stiracchiato.
Alcuni anni fa mi capitò di seguire un corso di perfezionamento di sceneggiatura Disney tenuto da un autore senior. Corso molto ben fatto, professionale, interessante, documentato, che ha sviscerato tecniche di costruzione della trama con il supporto bibliografico di vari testi (tra cui il famoso Syd Field, di cui tornerò a parlare).
Presentai, tra gli altri, il soggetto di Paperino e Paperoga modelli d’arte, che fu bocciato, in parte a ragione.
Mi resi conto tuttavia di una cosa: le motivazioni della bocciatura non tenevano in considerazione quello che io ritenevo il nocciolo vero della storia: ovvero, sia la satira sul mondo dell’arte moderna di cui ho già detto, sia i tricks più demenziali e distruttivi dei due paperi che giocano a palla nei momenti meno opportuni. Ebbi quindi l’impressione che il giudizio non cogliesse le cose per me più interessanti, concentrandosi esclusivamente sulla costruzione tecnica, i rimandi narrativi, il cosiddetto meccanismo a orologeria formato da conflitto, risvolti, colpi di scena, coerenza, prima parte, seconda parte, risoluzione del conflitto ecc. ecc.
E’ stata un’occasione per riflettere sull’effettivo valore della tecnica “scientifica” di scrittura, e ho l’impressione che questa tecnica valga solo in parte, secondo il mio temperamento.
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BLOG: Le scuole di pensiero, su questo tema sono molteplici.
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ENRICO FACCINI: So di essere in buona compagnia: King nel suo On writing si dichiara nemico del tema e della trama costruita a tavolino, preferendo impostare una situazione e lasciare che i personaggi si sviluppino da soli, a volte senza nemmeno sapere come va a finire il libro.
E’ però possibile che il mio giudizio sia fazioso e in parte sbagliato: la costruzione più coerente della storia potrebbe rafforzarla e non sabotarla. Non ho un’idea precisa, bisognerebbe vedere caso per caso.
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BLOG: Puoi fare degli esempi, per spiegare meglio cosa intendi?
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ENRICO FACCINI: La storia della Metamorfosi Arborea è un disastro dal punto di vista del rigore formale, ma funziona con una follia a suo modo logica (o illogica).
Ricordo una conversazione/discussione, avuta a proposito di questa storia.
Durante una cena con persone completamente estranee al mondo del fumetto, esposi la trama dell’episodio, e una conoscente mi contestò il fatto che non era possibile che Paperoga fosse così stupido da “bersi” una panzana secondo la quale chi inghiotte un seme di ciliegia rischia di trovarsi una pianta che cresce nella pancia.
E’ possibile, ma qui vale il principio della comicità di Laurel e Hardy, o di Fantozzi: il lettore in qualche misura si riconosce nelle situazioni esposte, ma la reazione del personaggio comico è così spropositatamente inferiore a quelle di una persona normale, che un lettore dice: ma questo è proprio scemo, molto più scemo di me.
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BLOG: E’una funzione in qualche modo divertente e consolatoria.
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ENRICO FACCINI: Se avessi dato a Paperoga la reazione scettica di una qualsiasi persona di normale buon senso, avrei perso l’occasione una serie di gag surreali (la sequenza in cui Paperoga immagina sé stesso mentre due pianticelle gli escono dalle orecchie, o mentre gira per la città con le borse della spesa e una chioma vegetale gli nasconde completamente la testa).
La storia avrebbe potuto naturalmente avere altri sviluppi, ad esempio facendo prospettare da un altro personaggio, e non a Paperoga, l’ipotesi di una metamorfosi vegetale, ma forse non avrebbe avuto lo stesso effetto.
Per non parlare del finale, con la “punizione” di Paperino che avverte uscirgli dall’orecchio un virgulto, stavolta sul serio.
Ah, la storia è in parte autobiografica.
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BLOG: A questo punto, devi dirci perché!
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ENRICO FACCINI: Quando avevo cinque o sei anni, mia bisnonna mi ripeteva di non inghiottire i semi di ciliegia altrimenti ecc. ecc. Però poi un seme lo inghiottii veramente. Angosciato, mi misi a letto, la coperta tirata fino al naso. Mia madre mi chiese se mi sentissi male. Raccontai cos’era successo, e lei si fece una bella risata. Il germoglio dall’orecchio non mi è uscito… non ancora.

Al riguardo è interessante la tesi di Vincenzo Cerami (in Consigli a un giovane scrittore), quando descrive il comico come un individuo che tenta in tutti i modi di essere uguale ai normali, ma non ce la fa.
La stessa cosa accade con il personaggio di Peter Sellers in quel film meraviglioso che è Hollywood Party (tra l’altro, una “non-storia”).

D’altro canto, il personaggio smart, cool, che sgama subito o quasi l’inganno, non è comico.
I vincenti non fanno ridere.
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Prosegue nel prossimo post!
Nella foto sopra, Enrico Faccini, con il fumettista-scultore Alessio Coppola e con Luca Boschi nel 2002 all’ingresso del Casinò di Saint-Vincent.

All’interno del post, una foto dell’autore e varie illustrazioni inedite.

La tavola di Paperino (© Disney) è tratta dalla prima storia muta uscita in luglio, Di paperi e di geni, su Topolino n. 2797.
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