Dopo Il Codice da Vinci, un nuovo romanzo ambientato nel mondo dell’arte, a Firenze. Ma questa volta è opera di una scrittrice che, come prima cosa è italiana (anzi, toscana) e che conosce benissimo gli scenari descritti. Parla di un’opera celeberrima del pittore Sandro Botticelli (sotto, riprodotto in un dipinto, da giovane), ma non certo dal punto di vista di una studiosa di discipline artistiche.
Oggi incontriamo la sua autrice, Sura Bizzarri (sotto, in una foto nel suo studio), al debutto narrativo con quest’opera, pubblicata da Giovane Holden e diffusa (e richiedibile) in tutte le librerie.
Chi vuole, può vederla sul piccolo schermo sulla rete televisiva TVL, che l’ha intervistata in diretta venerdì 8 maggio 2009 (la data è scritta per esteso a beneficio di chi leggerà questo post nei secoli a venire). La replica della trasmissione va in onda domenica 10 maggio alle ore 23,10.
Per chi fosse interessato… buona visione!
CG: Perché hai scelto di scrivere un romanzo su questo quadro, peraltro conosciutissimo in tutto il mondo?
Sura Bizzarri: Sono sempre stata affascinata da La primavera del Botticelli, sin da quando ero una bimba. L’idea del romanzo è nata di notte. Avevo appena visto un film, bello, denso, di quelli che non si scordano. E l’idea è nata improvvisa, chiara come se fosse stata lì, in attesa che la cogliessi. Ho cominciato subito a scrivere, perché era un vero e proprio bisogno.
Il lavoro era finito in tre mesi.
CG: Come descriveresti il tuo stile di scrittura?
Sura Bizzarri: Il mio modo di scrivere è abbastanza libero, nel senso che lascia libero il lettore di immaginare. Cerco di non datare la storia, di non descrivere eccessivamente i personaggi, perché da gran lettrice quale sono, so quanto sia importante lasciare spazio all’immaginazione, fare della storia che leggiamo una nostra storia.
CG: In esclusiva per la “nuvola” dei blog del Sole 24 Ore hai messo a disposizione l’inizio del romanzo, che si può leggere in chiusura di post. Grazie.
C’è qualche notazione in più che puoi fornire ai tuoi futuri, possibili lettori?
Sura Bizzarri: Il libro non è un saggio sull’arte del Botticelli, ma pura narrativa. Mi sono documentata sull’opera andando agli Uffizi, ho letto diverse cose sul quadro, ma la storia in sé è completamente inventata.
Parlo di una bimba, che cresce, che invecchia e la sua storia si intreccia con quella del quadro. Si tratta della vita di una persona, felice e infelice, facile e complessa, come quella di tutti noi, forse un po’ di più.
Spero che il lettore possa sentire la passione che ho messo nella scrittura.
CG: Senza svelare ai lettori ciò che non si deve, dacci qualche indicazione in più sul soggetto (che non ha niente a che vedere con Il codice Da Vinci, anche se questo è il primo pensiero che corre alla mente di chi ne legge il titolo)?
Sura Bizzarri: E’ la storia di Tessa, che vive a Firenze, in un’antica casa del centro. Sin da piccola frequenta ogni giorno la sala di Fra Diavolo, una stanza particolare, tiepida, piena di storia e, soprattutto la casa naturale de “La primavera”. Zefiro, la figura al lato del dipinto che soffia e cerca di trattenere Clori, ogni giorno, in presenza di Tessa, prima bimba poi donna, compie il miracolo della materializzazione; nasce dalla tela, strappa la sua carne dalla materia e diventa padre, maestro, amico di Tessa.
In lei ha visto la curiosità che muove il mondo, la capacità di attendere e di assimilare la sua profonda filosofia, la sua concezione dell’attimo insignificante e dell’eterno. Ma Tessa cresce, in seguito alla malattia della nonna conosce Giovanni, un ragazzo timido e “vivo”, che si entusiasma dei successi e soffre delle sue insicurezze.
Tessa sente di essere troppo legata a Zefiro, si rende conto che Zefiro, nella sua brama di vivere l’attimo, quello insignificante, tutto umano, che non ha valore, si sta servendo di lei, pretende di plasmarla come argilla nelle sue mani. Arriva a dirle di essere lei, o viceversa, che Tessa non esiste più, ormai è Zefiro.
La ragazza, ferita nel profondo della sua etica, delle sue emozioni, sfida Zefiro invitando Giovanni, ignaro, nella sala di Fra Diavolo. Lì si parlano, si amano, si comportano nel loro modo tutto umano, fatto di attimi, sensazioni, profonda compenetrazione. Zefiro si infuria, strappandosi dalla tela quasi uccide Giovanni, rientrando poi nel suo dipinto e facendo logicamente ricadere la colpa su Tessa. Quando questa gli chiede: “Cosa hai fatto?” lui risponde: “Tu l’hai fatto!” confermando la sua supremazia, il concetto che Tessa è Zefiro.
Non parlo dell’ultima parte, la conclusione, ma è chiaro che tutta la storia è in bilico fra la reale esistenza di Zefiro e la pazzia di Tessa, che si è rifugiata in un mondo che percepisce come vero.
CG: In effetti, ha già detto molto!
Allora, leggiamoci insieme la prima pagina del tuo romanzo!
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Capitolo 1
Mi chiamo Tessa, ormai non sono più giovane. Ne è passata di acqua sotto i ponti dell’Arno, le case hanno cambiato colore, le macchine hanno riempito le strade, i tetti sono stati scoperti e poi ricostruiti, i bimbi sono cresciuti e i vecchi spariti.
Ne è passato di tempo dai miei primi ricordi, e i ricordi sono ancora tutti lì, riposti in tante tasche che si aprono da sole. Non ne ho persi neanche uno, conservo gli odori, i suoni, i sapori e anche le più intime emozioni di tutti i personaggi che hanno incrociato, intrecciato, condiviso la mia vita. E tuttora la mia vita continua a intrecciarsi, confondersi e specchiarsi con quella di tutte le persone che sono intorno a me.
E sono tante.
Molti mi credono pazza, ma sono solo sincera, non cerco di sembrare un’altra; la verità non ha paura di se stessa.
Vivo da sempre tra il Campanile di Giotto e la Torre di Palazzo Vecchio, cammino da sempre tra i corridoi degli Uffizi e Giardin de Boboli. Insegno ai bimbi a lavorare la creta, a impastare la terra con le mani e ammorbidirla, modellarla, sfiorando il divino. L’odore di terra bagnata si spande nella grande stanza-laboratorio, le narici se ne impregnano: le mani umide, i capelli che ricadono sul viso, i vestiti da lavoro sporchi di argilla e l’impegno degli occhi e dei volti riportano me e i miei studenti a uno stato primordiale; gli alberi fuori dalla parete di vetro sono la nostra foresta, quando piove ci sentiamo immersi in un vapore di giungla, ci addentriamo nella nostra Africa-madre fiorentina e creiamo totem protettori e monoliti ancestrali.
L’arte dei bimbi è commovente, è vicina alla creazione, la creazione dal niente, guidata dall’istinto, dai pochi concetti appresi, dai desideri. Non è guidata da un obiettivo imprescindibile, è libera e spontanea, respira dei piccoli respiri dei creatori, ha in sé i tocchi delle piccole dita e le cicatrici dei momenti di noia e di rabbia. Non ha tesi da giustificare, non ha recinti di correttezza entro i quali dover stare.
(…)
CLICK sulle immagini per ingrandirle. Compresa questa incredibile, scattata su un marciapiede di Londra da Brian Sibley (© 2008), grande esperto disneyano e animatore della vecchia guardia.