Un paio di giorni fa, in una navetta che trasportava gli ospiti di Napoli Comicon da Castel Sant’Elmo alla sede all’inaugurazone della mostra di Isabel Kreitz, definita dal giornale Die Woche la “miglior disegnatrice della Germania”, pubblicata in Italia da Black Velvet (al Goethe-Institut di Napoli fino al 30 maggio), Alfredo Castelli ha messo al corrente il presente blogger, la francese Catherine, Laura Scarpa e gli altri inquilini italiani del mezzo su una ricerca che sta conducendo da tempo. Ne aveva accennato poco prima anche nell’incontro pubblico sul Fumetto e il diritto d’autore guidato da Ivo Milazzo con Vincenzo Cerami, con lo scrittore Edoardo Sant’Elia, me stesso (in qualità di direttore artistico della manifestazione, che ha aderito all’iniziativa Una firma per il Fumetto), Andrea Plazzi e Phil Ortiz (autore dei Simpson, sia nell’animazione che nei fumetti pubblicati dalla Bongo Comics in USA).
La ricerca riguarda le origini del termine FUMETTO, sulla quale non si è mai fatto veramente luce. Ad Alfredo interessano testimonianze anche personali, ma soprattutto documentali (e documentabili) su quando, come, in che occasione e per designare che cosa il termine “fumetto” (a noi tutti così caro e comune) sia stato impiegato nel tempo, dalle sue origini a oggi.
Discutendo a suo tempo nel web, in un lista alla quale partecipavano tra gli altri Leonardo Gori, Craig Yoe, Gianfranco Goria, Eckart Sackman e Armando Botto si era convenuto che la prima menzione ufficiale del termine fosse dovuta al grande disegnatore, illustratore, verseggiatore e (incidentalmente) direttore di Topolino giornale Antonio Rubino.
Nel 1938, sul settimanale Paperino e altre avventure, in particolare nel numero 29, datato 14 luglio, Rubino firma un articolo sul tema, tra l’altro schierandosi con decisione a favore del Fumetto (inteso come strumento di espressione, non come medium). Il pezzo sfata anche la leggenda, più volte diffusa, che Rubino detestasse i balloons per il solo fatto di averli usati (a quanto pare) una sola volta e per giunta rivolgendosi agli adulti con tavole piuttosto “azzardate” per l’epoca.
Poiché ad Alfredo e agli altri accoliti (fra i quali il solerte Luigi Marcianò) interessa vedere la scansione degli articoli di Rubino, oltre a mandarli ai loro indirizzi privati mi sembra giusto divulgarli anche alle torme di visitatori di questo blog, molti dei quali sono studiosi e collezionisti.
Forse, incocciando in altre pubblicazioni vecchie e nuove, potrebbero avere qualche dato da aggiungere e informazioni (soprattutto vsive) da condividere.
Ecco, quindi, il primo dei due articoli nei quali Rubino parla “un poco di noi”. E’ una cosa piuttosto rara, in genere, nelle pubblicazioni a fumetti per ragazzi, che si parli del medium; di solito ci si rivolge all’esterno, benché alcuni esempi interessati di commenti su fumetti o disegni animati siano presenti, talvolta, per esempio sul Corriere dei Piccoli (sempre negli anni Trenta, su Walt Disney, Pat Sullivan e i loro personaggi).
Come rileva l’ottimo Marcianò, Rubino nel suo secondo pezzo cita soltanto delle “tavole a quadretti”, senza mai evidenziare più il termine “fumetti”. Forse è la prudenza a consigliare di evitarlo, poiché da lì a poco, i fumetti scompariranno per lasciare spazio alle didascalie su disposizione del Min Cul Pop.
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La tavola in francese è opera dell’eclettica Catherine (foto sopra, in bianco e nero), della quale potete trovare molto materiale in queste sue pagine.
La foto a colori della fumettista sotto di lei, invece, ritrae Isabel Kreitz.
La copertina nella quale è ritratto Milton Caniff riguarda l’undicesimo commento (mio) a questo post.
Nel sito di Time, a questo link, si può leggere un articolo sui comics di Caniff, del quale riporto un estratto, tanto per gradire:
In the last months of his ‘305, Milton Arthur Caniff is a handsomely hefty (195 lbs.), blue-eyed, relaxed man with an indoor look and a sociable nature. He is almost never seen in the Stork Club or at El Morocco, although many a G.I. or plain reader might naturally assume that Terry’s generally sophisticated dialogue was clutched from some such glamor-scented air.
Actually, it comes out of Caniff’s head. Among cartoonists—fellow members of what he calls “the pariah profession”—he is well liked, but seldom seen. He lives and works (12 to 18 hours a day) on the outer suburban ring of New York City, in a town with the confusing name of New City, N.Y. (pop. 992). Neighbors in the New City intellectual colony include Playwright Maxwell Anderson, Artist Henry Varnum Poor and Author J. P. McEvoy.
A year ago, clearing his decks for the big change from Terry to Steve Canyon, Caniff swore off smoking and drinking. Though he hates to exercise, he even went for walks on brooding Tor Ridge (the locale of Anderson’s 1936 play High Tor), to keep his weight down. Says he: “All I could think of was ‘God, I wish I were inside!'” So he reminded himself that the ridge was full of copperhead snakes anyway, and gave it up.
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