I LOVE ANIME, di Andrea Sani e Margherita Sani

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I Love Anime: la prima collana dedicata ai più famosi cartoni animati giapponesi degli anni 80/90

I Love Anime è una nuova collana della casa editrice Coniglio realizzata in collaborazione con Iacobelli Editore.
I Love Anime affronta il tema dei cartoni animati giapponesi (detti appunto “anime”) in monografie a colori di 128 pagine ciascuna, vendute a 14,50 €, riccamente illustrate con numerose schede informative sui personaggi di ogni serie e un confronto con il cartone originale, che sottolinea le varie differenze o censure rispetto alla versione italiana.

Ogni volumetto contiene anche una parte dedicata ai fans, con interviste e aneddoti. La scelta riguarda quegli anime che sono rimasti impressi nella memoria dei telespettatori e che, grazie alla loro qualità, resistono alla prova del tempo.

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In ogni numero della collana sono riprodotti i gadget legati ai vari personaggi e si citano le relative storie a fumetti originali (cioè i manga), nonché quelle apocrife realizzate in Italia, i libri illustrati, ecc., insomma tutto ciò che ruota intorno al cartoon. Sono fornite anche precisazioni culturali relative ai vari personaggi, se si tratta, come nel caso di Lady Oscar, di characters che si muovono su uno sfondo storico, rigorosamente documentato.

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Il primo albo della serie, di Roberto Branca, è dedicato a I Cavalieri dello Zodiaco (Saint Seiya), trasposizione di Shingō Araki dell’omonimo manga di Masami Kurumada, un’incredibile avventura “tra Buddha e Omero, miti greci e Dante Alighieri”.

Il secondo, di Alessandro Montosi, tratta dei giganti robot guerrieri, da Mazinga Z (Majingā Z) al Mazinkaiser (Majinkaizaa) creati da Go Nagai.

Il terzo, di Davide Castellazzi, descrive “amori, segreti ed epiche battaglie della più controversa e chiacchierata eroina dei cartoni animati giapponesi degli anni ottanta”, Lady Oscar (Versailles no Bara), dalla saga a fumetti della mangaka Riyoko Ikeda.

Il quarto, anch’esso di Alessandro Montosi, si occupa di un altro robot gigante di Go Nagai, Jeeg Robot (Kōtetsu Jeeg).
Infine (per ora), il quinto, curato dall’esperta Elena Romanello, presenta il personaggio di Candy Candy, un’orfanella che cresce nel corso delle sue avventure, proprio come le spettatrici dei suoi cartoni animati. La serie, disegnata da Yumiko Igarashi, si ispira a un romanzo della scrittrice giapponese Kyoko Mizuki.

I volumetti editi da Iacobelli soddisfano tutte le curiosità dei fans e la nostalgia di chi ha iniziato a vedere gli anime in televisione una trentina di anni fa, spesso sui canali locali. Questi celebri cartoons hanno cambiato il gusto dei ragazzi, che in precedenza era influenzato principalmente dai personaggi della Disney e da quelli della Warner Bros.. I cartoni animati giapponesi sono diventati ben presto un elemento di identificazione generazionale, entrando a far parte dell’immaginario collettivo anche grazie alle sigle televisive realizzate appositamente in Italia, e cantate dai Cavalieri del Re o da Cristina D’Avena.

Fra le novità introdotte dagli anime, c’è soprattutto l’ampio respiro della narrazione, che, in generale, si prolunga di episodio in episodio, a differenza dei cartoni televisivi del passato, a carattere prevalentemente autoconclusivo. Va sottolineato il fatto che gli anime veicolano valori e modelli della civiltà giapponese diversi dai nostri, anche se molte serie sono legate all’ambiente, alla letteratura e alla storia occidentale, creando un’insolita contaminazione.

Altra caratteristica di questo genere di cartoni è il limitato numero di disegni per ogni secondo di animazione. Quanto più il numero di disegni tende verso le 24 immagini al secondo (come accade nelle pellicole live action), tanto più è fluido il movimento riprodotto sullo schermo. I classici dell’animazione disneyana prevedono 12-15 immagini al secondo, mentre da Osamu Tezuka in poi, che ha esasperato una tecnica già sperimentata nelle serie animate televisive prodotte dal 1962 al 1973 da Hanna-Barbera, gli anime sono scesi sotto il limite dei 5 disegni al secondo.

L’esperto di comics Thierry Groensteen ha osservato a tale riguardo che l’impressione di rigidità che possono suscitare i cartoons giapponesi a causa di questi limiti nel dinamismo delle immagini evoca la tradizione di fissità del teatro kabuki.

I cartoons giapponesi spaziano su tutti i soggetti possibili, come la fantascienza, il gangsterismo, lo sport, la storia, la natura, l’amore, la vita scolastica, ecc.

Caratteristico di alcuni anime è anche il rapporto con la tecnologia, esaltato nelle serie robotiche di Go Nagai.
Nel volumetto Mazinga. Da Mazinga Z al Mazinkaiser di Alessandro Montosi, si ricorda come sia venuta in mente a Nagai l’idea di un robot gigante pilotato al suo interno. Nel 1972, Nagai è imbottigliato in un ingorgo stradale e immagina che dalla sua auto fuoriescano gambe e braccia, in modo da poter scavalcare tutte le altre macchine che lo precedono. Con questa idea in mente, Nagai si reca agli studi della Toei Animation, casa produttrice di serie tv animate, e propone un nuovo anime televisivo con un robot gigante guidato internamente da un pilota.
Nasce, così, Mazinga Z.

Altri aneddoti come questo (e molto altro!) sono contenuti nei piacevoli volumetti della serie edita da Iacobelli.

  • serena |

    Che bello scoprire che si parla di noi!
    La collana procede, e continuiamo a regalare e regalarci sorrisi con i nostri cartoni preferiti! seguiteci ancora e scriveteci anche sul gruppo di fb:
    http://www.facebook.com/group.php?gid=47206586446

  • Elisabetta |

    Joice, di’ pure ai tuoi amici che sono degli stronzoni, i cartoni giapponesi sono eccezionali, magari non tutti, ma quelli dei quali si parla in quest’articolo lo sono eccome.
    Un saluto a a te non agli stronzi dei tuoi anici.
    Elisabetta

  • joice panetta |

    salve volevo dire ke adoro i cartoni ciao

  • joice panetta |

    salve mi kiamo joice e crede ke i catoni siano fantastici, no no stante i miei amici mi diccono ke siano solo sciocchezze… vi saluto

  • Helga |

    Posso mettere qui un’altra notizia di oggi, che non si è letta troppo sui giornali (anche giustificatamente, data la preponderanza di spazio data al terremoto in Abruzzo e Lazio).
    Lo faccio qua, sperando che interessi, così chi vuole può approfondire.
    Fecondazione: da Consulta vittoria liberta’
    ”La decisione della Corte costituzionale e’ una vittoria della liberta’.
    Quella che la Consulta ha cassato era una norma contro il buon senso, la ragionevolezza e la salute delle donne e, come ha dimostrato la Consulta, anche contro la Costituzione”.
    Lo ha dichiarato Grazia Francescato, esponente di Sinistra e Liberta’ e Portavoce nazionale dei Verdi, dopo che ieri la Consulta ha bocciato parte della legge 40 sulla fecondazione assistita, idea condivisa anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini, secondo cui la sentenza ”rende giustizia alle donne”. ”Questo sia di monito a chi – ha detto Francescato -, anche nelle ultime settimane, troppo facilmente ha giocato
    con la liberta’ di scelta e con i diritti delle persone”.
    Vale a dire (aggiungo io): il Papa e si suoi seguaci (ma non tutti i cattolici e tutti preti), alcuni neofascisti e gli esponenti del PdL in gran numero, a parte quelli intelligenti e più liberali come Fini.
    La Corte ha dichiarato l’illegittimita’ della restrizione a tre del numero di embrioni che e’ possibile impiantare nell’utero delle pazienti che si sottopongono alle procedure di procreazione medicalmente assistita. L’Alta Corte, inoltre, ha dichiarato incostituzionale anche il comma 3 dell’articolo 14 della legge in questione ”nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, come previsto dalla norma, debba essere effettuato senza pregiudizio della
    salute della donna”.
    ”La pronuncia della Consulta mette in fortissima discussione, dichiarandolo addirittura non conforme alle tutele costituzionali, il nucleo fondante della legge 40, che proprio sul limite al numero degli embrioni fecondabili dimostra lo spirito di accanimento non solo contro la liberta’ delle donne, ma anche contro la loro salute”, ha commentato anche Loredana De Petris, esponente di Sinistra e liberta’.
    ”E’ proprio il limite dei tre embrioni – spiega l’esponente dei Verdi – che ha reso nei fatti questa legge inapplicabile e che ha dato il la’ al fenomeno del ‘turismo procreativo’, che spesso portava i cittadini italiani in paesi stranieri”.
    Sentenza importante ”per il Paese, per le donne e per tante famiglie italiane che non hanno potuto ricorrere alla fecondazione assistita e quelle che se lo potevano permettere economicamente sono state costrette ad emigrare in altri paesi europei per ottenerla. Ora – conclude Bonelli – si fermi quell’anacronistica legge sul testamento biologico approvata dal Senato che trasforma l’Italia in uno Stato etico”.
    Altri commenti sulla sentenza sono giunti da esponenti della societa’ civile e del mondo medico. ”La Corte Costituzionale ha riequilibrato il senso di una legge iniqua”, ha detto Carlo Bulletti, presidente della Societa’ italiana di fertilita’, sterilita’ e medicina della riproduzione (Sifes). ”Questa storica sentenza – sottolinea Bulletti in una nota –
    distrugge l’impianto della legge 40, la protervia delle parti politiche che l’hanno elaborata prima e promulgata poi, la pavidita’ di quelle forze politiche che hanno lottato senza convinzione o che hanno desistito dalla lotta per miserabili ragioni di consenso elettorale”.
    Dopo la sentenza una modifica della legge, secondo Giorgio Vittori, presidente della Societa’ italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), ”e’ necessaria per renderla piu’ appropriata a cogliere le esigenze delle coppie infertili e le indicazioni della letteratura scientifica.
    In particolare, bisogna considerare la condizione di vulnerabilita’ in cui queste donne si trovano, gia’ gravate dal peso di una fertilita’ compromessa, e ulteriormente esposte a difficolta’ e ostacoli, che le hanno spesso costrette a recarsi all’estero”.

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