I Love Anime: la prima collana dedicata ai più famosi cartoni animati giapponesi degli anni 80/90
I Love Anime è una nuova collana della casa editrice Coniglio realizzata in collaborazione con Iacobelli Editore.
I Love Anime affronta il tema dei cartoni animati giapponesi (detti appunto “anime”) in monografie a colori di 128 pagine ciascuna, vendute a 14,50 €, riccamente illustrate con numerose schede informative sui personaggi di ogni serie e un confronto con il cartone originale, che sottolinea le varie differenze o censure rispetto alla versione italiana.
Ogni volumetto contiene anche una parte dedicata ai fans, con interviste e aneddoti. La scelta riguarda quegli anime che sono rimasti impressi nella memoria dei telespettatori e che, grazie alla loro qualità, resistono alla prova del tempo.
In ogni numero della collana sono riprodotti i gadget legati ai vari personaggi e si citano le relative storie a fumetti originali (cioè i manga), nonché quelle apocrife realizzate in Italia, i libri illustrati, ecc., insomma tutto ciò che ruota intorno al cartoon. Sono fornite anche precisazioni culturali relative ai vari personaggi, se si tratta, come nel caso di Lady Oscar, di characters che si muovono su uno sfondo storico, rigorosamente documentato.
Il primo albo della serie, di Roberto Branca, è dedicato a I Cavalieri dello Zodiaco (Saint Seiya), trasposizione di Shingō Araki dell’omonimo manga di Masami Kurumada, un’incredibile avventura “tra Buddha e Omero, miti greci e Dante Alighieri”.
Il secondo, di Alessandro Montosi, tratta dei giganti robot guerrieri, da Mazinga Z (Majingā Z) al Mazinkaiser (Majinkaizaa) creati da Go Nagai.
Il terzo, di Davide Castellazzi, descrive “amori, segreti ed epiche battaglie della più controversa e chiacchierata eroina dei cartoni animati giapponesi degli anni ottanta”, Lady Oscar (Versailles no Bara), dalla saga a fumetti della mangaka Riyoko Ikeda.
Il quarto, anch’esso di Alessandro Montosi, si occupa di un altro robot gigante di Go Nagai, Jeeg Robot (Kōtetsu Jeeg).
Infine (per ora), il quinto, curato dall’esperta Elena Romanello, presenta il personaggio di Candy Candy, un’orfanella che cresce nel corso delle sue avventure, proprio come le spettatrici dei suoi cartoni animati. La serie, disegnata da Yumiko Igarashi, si ispira a un romanzo della scrittrice giapponese Kyoko Mizuki.
I volumetti editi da Iacobelli soddisfano tutte le curiosità dei fans e la nostalgia di chi ha iniziato a vedere gli anime in televisione una trentina di anni fa, spesso sui canali locali. Questi celebri cartoons hanno cambiato il gusto dei ragazzi, che in precedenza era influenzato principalmente dai personaggi della Disney e da quelli della Warner Bros.. I cartoni animati giapponesi sono diventati ben presto un elemento di identificazione generazionale, entrando a far parte dell’immaginario collettivo anche grazie alle sigle televisive realizzate appositamente in Italia, e cantate dai Cavalieri del Re o da Cristina D’Avena.
Fra le novità introdotte dagli anime, c’è soprattutto l’ampio respiro della narrazione, che, in generale, si prolunga di episodio in episodio, a differenza dei cartoni televisivi del passato, a carattere prevalentemente autoconclusivo. Va sottolineato il fatto che gli anime veicolano valori e modelli della civiltà giapponese diversi dai nostri, anche se molte serie sono legate all’ambiente, alla letteratura e alla storia occidentale, creando un’insolita contaminazione.
Altra caratteristica di questo genere di cartoni è il limitato numero di disegni per ogni secondo di animazione. Quanto più il numero di disegni tende verso le 24 immagini al secondo (come accade nelle pellicole live action), tanto più è fluido il movimento riprodotto sullo schermo. I classici dell’animazione disneyana prevedono 12-15 immagini al secondo, mentre da Osamu Tezuka in poi, che ha esasperato una tecnica già sperimentata nelle serie animate televisive prodotte dal 1962 al 1973 da Hanna-Barbera, gli anime sono scesi sotto il limite dei 5 disegni al secondo.
L’esperto di comics Thierry Groensteen ha osservato a tale riguardo che l’impressione di rigidità che possono suscitare i cartoons giapponesi a causa di questi limiti nel dinamismo delle immagini evoca la tradizione di fissità del teatro kabuki.
I cartoons giapponesi spaziano su tutti i soggetti possibili, come la fantascienza, il gangsterismo, lo sport, la storia, la natura, l’amore, la vita scolastica, ecc.
Caratteristico di alcuni anime è anche il rapporto con la tecnologia, esaltato nelle serie robotiche di Go Nagai.
Nel volumetto Mazinga. Da Mazinga Z al Mazinkaiser di Alessandro Montosi, si ricorda come sia venuta in mente a Nagai l’idea di un robot gigante pilotato al suo interno. Nel 1972, Nagai è imbottigliato in un ingorgo stradale e immagina che dalla sua auto fuoriescano gambe e braccia, in modo da poter scavalcare tutte le altre macchine che lo precedono. Con questa idea in mente, Nagai si reca agli studi della Toei Animation, casa produttrice di serie tv animate, e propone un nuovo anime televisivo con un robot gigante guidato internamente da un pilota.
Nasce, così, Mazinga Z.
Altri aneddoti come questo (e molto altro!) sono contenuti nei piacevoli volumetti della serie edita da Iacobelli.