L’eroe di Bonelli e Galep ha compiuto 60 anni
Il più grande italiano a fumetti è texano e vive in Arizona, dove è agente indiano, capo dei Navajos e ranger del Texas (da buon italiano accumula cariche diverse).
Tex Willer compie sessant’anni: è infatti il 1948 quando arriva in edicola un albetto in formato striscia diverso dal familiare formato “gigante” adottato un decennio dopo. E’ scritto da Giovanni Luigi Bonelli e disegnato da Aurelio Galleppini (Galep).
Il successo non è immediato, arriva davvero solo negli anni Sessanta con il passaggio al formato gigante. E ancora adesso vende più di duecentomila copie al mese, è il mensile di punta della Sergio Bonelli Editore (Sergio è il figlio di Giovanni Luigi), leader con la Disney del mercato italiano del fumetto.
Tex è stato (scioccamente) etichettato come fascista negli anni Settanta per i suoi metodi poco garantisti, è stato amato da icone di sinistra come il sindaco di Bologna Sergio Cofferati, ma in realtà è soprattutto italiano. Un italiano diverso dal Sordi o dal Tognazzi della commedia all’italiana.
Spesso i personaggi più famosi in un determinato Paese riflettono il carattere di un popolo: Superman, creato dagli ebrei desiderosi di assimilazione Jerry Siegel e Joe Shuster, è l’alieno (non a caso alien in inglese significa anche immigrato) che diventa più americano degli americani, potentissimo e al tempo stesso gentile, come è (o vorrebbe essere) la superpotenza Usa.
Tex è quello che agli italiani piacerebbe essere: è invincibile, insofferente a ogni autorità, rispettoso soltanto delle leggi che lui stesso si è dato, nemico di tutti i potenti, essenzialmente anarcoide. Lo stesso Bonelli, narratore di razza, ha detto “Tex è un raddrizzatore di torti uso a dar ragione a chi ce l’ha, senza badare al resto”. Quando Tex pesta a sangue senatori corrotti, allevatori criminali, generali boriosi, realizza le aspirazioni segrete di molti lettori.
Non ci sono donne accanto a Tex: la moglie, l’indiana Lilyth, figlia del capo dei Navajos, muore presto, fa il suo dovere di sfornare l’erede Kit e di renderlo il leader degli indiani Navajos che sono la sua famiglia, il suo clan, visto che da vero italiano Tex è familista.
Così, privo di moglie rompiscatole (gli italiani possono dire di voler essere dei tombeur des femmes, ma in realtà amano soprattutto giocare con i loro amici) può andare in giro per l’America con la sua combriccola (i pards, li chiama lui), l’amico di sempre Kit Carson, il figlio Kit (copia più giovane del padre, ci chiediamo perché non lo abbia chiamato Pier Tex) e l’indiano Tiger Jack a raddrizzare torti.
E, facendolo, si diverte e diverte i lettori.
Da sei decenni.
Stefano Priarone
(© Sergio Bonelli Editore per i personaggi)
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UN BONUS CANADESE, da Pier Luigi Gaspa
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In coda al pezzo di Stefano, una curiosità inviata da Pier Luigi Gaspa, che ringrazio.
E’ la segnalazione di uno stranissimo cow boy molto somigliante a Tex Willer, a parte lo stile grafico che a tratti deraglia nell’umoristico, forse seguendo la lezione di Will Eisner, ma che potrebbe anche ricordare, per certi aspetti, il grottesco Basil Wolverton in vena di autocontrollo.
Non è un fumetto italiano tradotto, bensì un comic book pubblicato in Canada: Three Aces Comics vol. V n. 54, settembre/ottobre 1946, edito da Anglo American Publishing di Toronto.
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Si può trovare, assieme ad altri albi canadesi dei Forties nel sito della Golden Age Canadian Comic Books.
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