Lo avevamo promesso, e dopo dopo avervi fatto tribolare un sacco di tempo in spasmodica attesa (noi di Nòva, che siamo blogghisti di palàbra) lo manteniamo.
Ecco cosa.
Cogliendo l’occasione di questi giorni, in cui le edicole abbondano di album dei Puffi allegati a vari quotidiani italiani (La Nazione, Il Resto del Carlino…), il post che state leggendo rivela le primissime uscite in Italia di questi omettini dall’incarnato celeste inventati nel 1958 da Peyo, come sanno anche i sassi.
In particolare da ieri (lunedì 2 giugno, Festa della martoriata Repubblica) è in circolazione l’album Il flauto a sei Puffi: un capolavoro della scuola franco-belga che chi ancora non ha letto farebbe bene a procurarsi. Consiglio da amico.
L’edizione in distribuzione per tutta la settimana è esattamente la stessa, prezzo di copertina compreso, che qualche mese fa era uscita in edicola da sola, pubblicata e tradotta!!) dalla Planeta – De Agostini.
Curioso rivederla adesso, a stretto giro. La sola differenza, rispetto alla diffusione precedente, con tutta probabilità risiede nella migliore e più capillare distribuzione che il circuito dei quotidiani può garantire.
A suo tempo, quella meravigliosa avventura che avrebbe dato il via a una saga ormai cinquantennale, aveva debuttato nel nostro bell’idioma grazie alle Edizioni Dardo di Milano di proprietà di Gino Casarotti, in particolare sul quindicinale Tipitì, assai ambito oggi dai collezionisti di questo materiale.
La scelta di importare in Italia, in formato tascabile, alcune serie a fumetti di grande successo in
Belgio e in Francia era stata gestita nel 1962 da Franco Baglioni, che firmava anche come direttore responsabile di Tipitì.
L’operazione di rimontaggio materiale e lettering delle tavole originali pubblicate Oltralpe da Dupuis, per adattarle al nuovo impaginato, era compiuta invece dal navigato studio di Onofrio Bramante, il quale, quando le serie di Oltralpe cominciarono a scarseggiare e la prospettiva di rinnovo del contratto stava sfumando, si cimentò anche in un episodio a fumetti per la verità nient’affatto memorabile: I magnifici 7 e mezzo.
Del tascabile Dardo potete vedere in questo post un paio di copertine nelle quali il protagonista, Pirlouit (chiamato Tipitì perché una trasposizione letterale del nome sarebbe risultata “beffardamente assonante” per i lettori milanesi) ha a che fare con gli Schtroupfs di Peyo, qui tradotti come Strunfi.
In questo caso, a quanto pare, l’assonanza passibile di storpiature insultanti non era stata (ancora) ben messa a fuoco.
Ci penseranno poco dopo i redattori del Corriere dei Piccoli, che inizieranno a pubblicare la saga degli Schtroumpfs in Italia, chiamandoli Puffi, a partire dall’episodio I Puffi neri.
A una delle uscite sul Corrierino si riferiscono le due vignette riprodotte sotto la seconda copertina di Tipitì.
Sulla scelta del nome Tipitì si può fare una congettura: serviva un nome che facesse rima con l’originale francese e nell’orecchio di Baglioni (o di Casarotti) era rimasto il refrain di una canzone dal ritmo “messicanoide” interpretata da Caterina Valente e Nilla Pizzi pochi anni prima (1957), dal titolo Tipitipitipso (che faceva rima con “calypso”).
Si trattava di una specie di tormentone, che sarebbe stato ripreso in seguito anche da Orietta Berti, la quale insieme a Mario Tessuto avrebbe presentato al Festival di Sanremo 1970 il brano di cui per puro sadismo ricopio il testo sotto, fornendovi anche il link, questo, per ascoltarlo con tanto di video su YouTube.
Quando tu mi venivi a cercare,
ti aprivo la porta.
Mi dicevi “se tu sei contenta, ti porto in città”.
Ogni volta ti ho detto di sì e venivo a ballare con te;
mi ricordo che allora l’orchestra suonava così:
Tipitipitipitì dove vai,
Tipitipitipitì cosa fai,
Tipitipitipitì come mai
sei innamorata di lui.
E c’era l’uomo dell’organino
che ci dava un biglietto blu,
c’era scritto “ti vuole bene”,
ma non era la verità.
Tipitipitipitì dove vai,
Tipitipitipitì con chi sei,
Tipitipitipitì come mai
lui questa sera non c’è.
Come mai questa sera, maestro,
tu sbagli le note?
Con la gente che c’è,
ma perché, ma perché guardi me?
Oramai l’hai capito anche tu
che l’amore per me non c’è più,
ma vorrei che l’orchestra suonasse per sempre così:
Tipitipitipitì tipitì,
Tipitipitipitì dove vai,
Tipitipitipitì come mai
sei innamorata di lui.
(Orchestra)
E c’era l’uomo dell’organino
che ci dava un biglietto blu,
c’era scritto “ti vuole bene”,
ma non era la verità.
Tipitipitipitì dove vai,
Tipitipitipitì cosa fai,
Tipitipitipitì come mai
tu stai piangendo con me?
Qui a destra, le copertine dei primi tre volumi della “doppia collana” distribuita in Italia, che coincidono in quella diffusa in edicola a singoli volumi (viventi vita autonoma), sia in quella attualmente allegata a tre quotidiani del centro-nord, e quindi praticamente irrag-
giungibile per chi non abita fra la Lombardia e la Toscana.
Le due grandi immagini sotto, invece, sono tratte da foto scattate dal blogghista per caso a due pannelli della grande mostra francofona dedicata al (primo) mezzo secolo degli Schtroumpfs inauguratasi a fine gennaio ad Angoulême.
Sarebbe poi stata tradotta in varie lingue, fra cui l’italiano (vedi la mostra analoga dedicata ai Puffi che si avvale della collaborazione, a Milano, della Fondazione Franco Fossati e del settimanale dei Paolini Il Giornalino).
Per le immagini: © Peyo