Fra gli argo-
menti che saranno (so-
no o sono stati, secondo “quando” leggete que-
sto post) toccati all’a-
pertura del seminario fiorentino alla Scuola Internazio-
nale dei Comics (vedi un paio di post fa), c’è una rapida carrellata su alcuni pio-
nieri del disegno ani-
mato e dei comics. Fra una dimostrazione di disegno “all’antica” e vari esempi di uscite cartacee e in animazione, l’avvio di ognuno dei tre corsi è legato all’introduzione in classe di un gigan-
tesco librone, il “libro dell’anno”: DREAM OF THE RAREBIT FIEND, con la completa ripro-
duzione, con qualità di stampa, rilegatura e cura editoriale sorprendenti, del serial di Winsor McCay con questo nome. Ne abbiamo parlato nel presente blog in estate (andate a ricercarvi il post in merito).
Dal comunicato stampa del deus ex machina di questa incredibile impresa, il ricercatore e collezionista tedesco Ulrich Merkl, estraggo qualche passo. Così si esprime:
“Unlike other cheap reprints that flooded the market recently, churned out quickly and produced without any editorial care, my book has been carefully researched, written and produced, choosing always the best (and most expensive) solution in every aspect of the production:
“I invested 3000 hours of my time into research work and another 4000 hours into digital image restoration. Simply because I am admiring Winsor McCay’s genius and because I saw there was a treasure to be raised.
“Whenever possible, the scans were taken from origi-
nal artwork and from original newspaper clippings collected over the years. Microfilms (the principal base of most other reprints) were only used to fill gaps.”
E ancora, leggete le seguenti note:
“Apart from the strip’s fascinating content and out-
standing graphic qualities, DREAM OF THE RAREBIT FIEND is also an important source of information about everyday culture in the United States during the early 20th century, as it was here (and only here) that Winsor McCay incorporated real daily life in almost every episode – from fashion, sport, politics, work, architecture, technical progress through to prominent personalities, so much so that one can virtually speak of an encyclopedia, or a mirror on the United States in the early 20th century.
“It is easy to identify all the people, events and objects mentioned in the book, as the enclosed DVD contains the printed text as well as the complete catalog of episodes in the form of a WORD document, which can be browsed by using keywords.”
Dopo aver analizzato passi dell’opera di McCay, ci concentriamo sull’avvio della longeva epopea dell’animazione disneyana.
Tutto ha inizio nel luglio 1924, quando Walt si reca, in treno, alla Mecca del cinema.
Ha quaranta dollari in tasca, una borsetta con la biancheria di ricambio e una cartella coi primi disegni di un nuovo progetto: una particolare trasposizione in disegni animati del libro di Lewis Carrol “Alice nel paese delle meraviglie” (“Alice’s Wonderland”).
Soprattutto, Walt ha con sé la “pizza” di un film girato di fresco, già annunciato per iscritto qualche mese prima ad alcuni distributori di New York. È una pellicola con la combinazione di riprese dal vero e di disegni animati, ispirata ai film dei fratelli Max e Dave Fleischer per il ciclo “Out of the” Inkwell, dove i personaggi (soprattutto Koko the Clown) prendono vita uscendo fuori dal calamaio.
«C’è un cast di bambini che recitano in scenari disegnati, con personaggi dei cartoons», spiega Walt.
La protagonista è una bambina ricciuta di nome Virginia Davis, che nelle prime sequenze visita uno studio e chiede ai cartoonists (Walt, Ub Iwerks, Hugh Harman e Rudy Ising) di disegnare per lei qualche personaggio buffo.
Le rare sequenze di questo straordinario cortometraggio di esordio (mai editate in Italia in videocassetta, dvd o altro, e mai trasmesse in televisione), con un Walt ventitreenne al tavolo da disegno, fanno parte dei materiali di studio dell’avvio del seminario.
Nela pellicola si scopre che la notte seguente alla visita allo studio di animazione, in sogno, la ragazzina sogna di andare in un paese divertentissimo chiamato Cartoonland, dove l’attendono varie disavventure e un finale drammatico, con alcuni leoni che la rincorrono.
Fine del film.
Bisogna annotare che quando Walt si reca a Hollywood, l’industria cinematografica è in pieno splendore.
Il celebrato regista Cecil B. De Mille gira il kolossal “I dieci comandamenti” (“The Ten Commandments”), mentre Douglas Fairbanks è attivo sul titanico set previsto per “Il ladro di Bagdad” (“The Thief of Bagdad”).
Tuttavia, da quelle parti non sorgono ancora degli studi di animazione, come invece accade a New York; per questo motivo il terreno è assai promettente.
Walt ha udienza presso l’agenzia della ex segretaria della Warner Bros. Margaret Winkler, prima che questa ne passi la direzione al marito, il controverso Charles Mintz.
L’idea di Alice è favorevolmente accolta, e nell’accordo si conviene che ogni film verrà pagato a Disney con 1500 dollari alla consegna.
Niente male, dato che i costi effettivi per ogni short sono calcolati intorno alla metà.
Attenendosi al progetto annunciato, Walt realizza un cortometraggio dopo l’altro, le “Alice’s Comedies”, che hanno dei legami ormai sempre più llabili con l’eroina di Lewis Carroll.
Tra i personaggi di contorno, topi, conglietti, cagnolini, in breve si fa avanti una seconda star: un gatto nero, Julius, non troppo dissimile dal Felix di Pat Sullivan e Otto Messmer (del quale, anche, all’inizio del presente seminario saranno sono o sono state mostrate delle sequenze a richiesta, per effettuare un confronto).
Disney, Iwerks e compagnia sanno bene che a far presa sul pubblico sono soprattutto i personaggi disegnati e puntano molto più su di loro che non su Alice, specie quando, dopo una cinquantina di cortometraggi, Virginia Davis se ne va e viene rimpiazzata da altre due bambine.
Al salone romano di Expocartoon, se non erro nell’anno 2000, Virginia Davis (detta “Gini”), ovviamente ormai molto anziana, incontrerà il suo pubblico, condotta in Italia dall’esperto (e editore) Rick Marschall.
Ma torniamo agli anni Venti del secolo scorso. Disney e il suo staff non vedono l’ora di concentrarsi di nuovo su film completamente disegnati. Ma per imboccare questa nuova direzione, bisogna attendere l’opportunità giusta.
Oswald il coniglio? Mickey Mouse? Certo, ma per questo bisogna attendere un altro post.
I commenti sono aperti e auspicati.
Come si diceva giorni fa, chi vuol saperne di più può rivolgersi a:
Scuola Internazionale di Comics
Via del Corso, 1 50122 Firenze
(dalla Stazione S.M.N. autobus 14,23 fermata Proconsolo)
Tel. +39 055 218950 +39 055 2399592 Fax. +39 055 2676344
firenzecomics@scuolacomics.it
www.scuolacomics.it
Orario di Segreteria: dalle 09.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 21.00 dal lunedì al venerdì. Sabato dalle 10.00 alle 13.00.
PS: La prima immagine in alto è tratta dal librone di McCay, e riprende il personaggio della zanzara che gli allievi del corso possono ammirare anche in una rara animazione (un cult) dell’inizio del secolo scorso.
Alice e il primo Mickey Mouse di Plane Crazy sono © Disney.
La foto col lupo mi è stata scattata aCastelnuovo Rangone un mesetto fa da Enrico Sanna (grazie)!