IL BINOMIO MAGNUS E CASTEL DEL RIO

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Sistemando un link a questo post, mi sono accorto che si era ampiamente “deformattato”, e che necessitava nuovo editing. Per questa ragione ho provveduto e, poiché, con tutta probabilità ai più sarà ignoto, lo propongo di nuovi ai lettori del 2010, con l’incarico non gravoso di andare a cercarsi il prosieguo dei temi ivi esposti dal meticoloso Gabriele Bernabei in altri articoli della rete.
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Gabriele ha mantenuto la promessa e ci ha inviato qualche immagine rara di Magnus (© Eredi Raviola) relativa al suo rapporto col paese che lo ha ospitato negli ultimi anni della sua vita.

Anche il paesaggio di Castel del Rio “cesellato” sulla copertina del libro è degno delle migliori attenzioni. Inchiostrato con un pennarello dalla punta sottile come il “Texone”, ha al suo interno un autoritratto di Roberto Raviola stesso, che passeggia con aria un po’ accigliata in quella terra bloccata nel tempo, con automobili di vecchia foggia e campanile rintoccante.

Gabriele ci ha anche inviato qualche riflessione, che pubblichiamo in due parti, per dare più rilievo alle immagini. Ecco la prima, di seguito.

Il legame tra Magnus e Castel del Rio parte da molto lontano, fin da quando, nel luglio 1977, l’artista fa entrare i luoghi della valle del Santerno, nascosti sotto mentite spoglie, nel mondo delle nuvole parlanti. I componenti della nota Compagnia della Forca, infatti, si accampano momentaneamente al bivio, posto sulla destra idrografica, nei pressi del “ponte gobbo”, vicino alla casa di proprietà della famiglia Zanotti, tra le due strade per Castel del Rio e Cantagallo.

Questi due luoghi, per l’occasione, vengono rinominati con dei toponimi di fantasia, rispettivamente Bellorizzonte e Boscoprofondo, come si può dedurre anche dai cartelli direzionali posti alle spalle dei protagonisti Ser Crumb e Annalisa.

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Il rapporto tra Magnus e Castel del Rio viene confermato nel secondo numero della rivista “Orient Express” dove, nel luglio 1982, compare un articolo di Giulio Cesare Cuccolini a corredo del quale viene pubblicata una fotografia dell’artista all’interno del cimitero alidosiano.

Nell’iniziale stesura della sua prima opera divulgata a livello internazionale, Le centodieci pillole, lo stesso maestro annota: «Magnus – Le 110 pillole. Realizzato per l’Echo de Savanes (direttore Thierry Souccar), grazie alle cure e all’interessamento di M.eur Stalette (inviato). 1984, 3 settembre, Castel del Rio, Hotel Gallo, stanza 12. Continuato a Bologna».

La valle del Santerno ritorna a fare capolino sulle tavole di un fumetto, nell’opera “Le femmine incantate”. Nell’episodio intitolato “Fontanefredde” si notano scorci di paesaggio già visti nella “Compagnia della Forca”.

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Altri riferimenti alla valle si possono estrapolare dall’ultima tavola dell’episodio, intitolato “La guardiana del ponte”. Qui, l’autore si ritrae nei panni di un messo postale a cavallo, lanciato al galoppo lungo la valle, tra i vari fortilizi, posti sui monti circostanti, che richiamano il sistema di fortificazione usato nella nostra vallata durante il medioevo. Nell’ottava tavola dello stesso racconto vengono citati alcuni toponimi della valle del Santerno come “Selva della Massa”, “Rio di Valsalva”, “I Mandorli”, “Rio di Magnolia”, “Riomonte” e “Ravone”.

Nel novembre del 1990 l’opera suddetta viene pubblicata, nella collana “Iceberg” della Granata Press, con una copertina che richiama i paesaggi alidosiani, e nella seconda edizione, proposta dalla stessa casa editrice nell’anno 1994 nella collana “Schegge”, la nuova copertina a pastello riproduce il panorama che Magnus osservava quotidianamente, dalla finestra della stanza in cui vive, in quel periodo, presso l’albergo del Gallo.

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Nel frattempo, l’artista prende definitivamente residenza nel capoluogo alidosiano e, per cinque anni, rappresenta la vallata in tutti i suoi lavori.

Nel dicembre 1994, per Granata Press, pubblica il “Lunario 1995 – Allegro ma non troppo”, un’agenda per l’anno 1995 nella quale vengono inseriti cinque racconti e varie vignette, il tutto rigorosamente ambientato nella valle del Santerno. In queste ultime è possibile riconoscere alcuni amici alidosiani dell’artista come “Spuma” il marmista, il signor Nello e Francesco che, successivamente, avrebbero fatto la loro comparsa anche in “Tex”.

L’ultima storia del “Lunario”, intitolata “Il Capitano di Ferro”, è ambientata a Castel del Rio nel periodo rinascimentale.
Il protagonista è un certo Ubaldo, geometra, che viene mandato da Firenze per rilevare i danni del terremoto del 13 giugno 1542. Si tratta di un personaggio machiavellico che s’imbatte in uno spirito, il Capitano di Ferro appunto, mentre fa sosta, per ripararsi da una bufera di neve, all’interno di una delle stanze poste nel fianco del ponte costruito dagli Alidosi.

Anche nella prima scaletta della sua ultima opera, l’incompiuto “Il Conte Notte”, l’artista scrive:
«Ore 15.30, di domenica 15/9, in terrazza al Gallo». Il protagonista che da il titolo alla storia, inoltre, si chiama Aladusio degli Alidosi e per l’artista è l’ultimo dei discendenti della nobile famiglia di Castel del Rio. E se tanto non dovesse bastare a farci comprendere l’entità dell’affetto che il fumettista ha nutrito nei confronti del paese alidosiano, si osservi che tale storia, oltre ad essere ambientata tra Roma e Venezia, nel quarto capitolo fa tappa in Appennino.

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Infine, se si osservano attentamente le quattro tavole realizzate graficamente dallo stesso Magnus poco prima di morire, è facile scorgere alcuni volti di Castel del Rio: infatti le due figure femminili si rifanno ai tratti somatici di Silvana e Mirella Gentilini.

(fine della prima parte)

Gabriele Bernabei