C’è qualcosa di più impopolare, oggidì, di un libro su Al Capp?
L’oggetto-soggetto è il signore in giacca raffigurato sulla copertina qui a destra.
E, guarda un po’ le combinazioni, il libro di cui blatero è proprio (pensa un po’!) quello lì, scritto dal notorio Denis Kitchen, già autore underground, editore di grande rilievo, attivo nella riscoperta dei classici (a cominciare da Will Eisner) quando non è che se li filassero in molti; prima, cioà, della fioritura di etichette specializzate in USA. La sua Kitchen Sink si può considerare fra le prime del settore, e anche fra le più coraggiose.
In marzo 2013, come si legge dalla data del presente post, avevamo cominciato a discettarne.
Oggi, con la rinascita di Linus (cover sotto) che ci offre un’occasione di prosieguo, ripropongo il vecchio post e all’inizio della settimana seconda del month sviluppo (col vostro aiuto) l’argomento.
Il libro è una succulenta biografia dal titolo Al Capp: A Life to the Contrary (Bloomsbury, USA).
Potremmo forse tradurlo come: Al Capp, bastiancontrario a vita.
Qualche editore italiano è così folle da acquistarne i diritti?
Si faccia pur avanti…
🙂
Kitchen, che patisce la sovrumana scalogna di condividere il nome con un maneggione italiano di notoria immoralità, scrive il libro su Capp insieme al molto meno noto Michael Schumacher, un calzolaio, più di cognome che di fatto, in quanto all’autore di Li’l Abner non “fa le scarpe”, anzi, al contrariuo: lo loda e ne giustifica svariate sguerguenze.
E fa anche bene, a suo modo; i meriti di Al Capp superano di gran lunga le scorrettezze verso i suoi colleghi e le sue impresentabili prese di posizione, a favore dei Repubblicani USA, per esempio, nell’era nefasta del reo manifesto Dick Nixon (sotto, con lui).
Consiglio a chi ne ha voglia di leggere l’ampia e approfondita recensione del libro, uscito nelle scorse settimane, acquistabile in rete, scitta su The Atlantic da Steven Heller.
Ne cito frammenti, come quello seguente.
The authors met Rita Castillo, daughter of Capp’s mistress, Nina Luce, who supplied them with dozens of Capp’s letters. They also obtained a cache of Capp’s correspondence through Todd Capp, Al’s nephew.
Kitchen, who had been collecting “all things Capp” for many years, had published through his Kitchen Sink Press nearly 30 volumes of “Li’l Abner” strips in the ’80s and ’90s. Capp’s family asked him to represent them, so his agency licensed merchandise and additional book collections.
Ma non sono state tutte rose e fiori. Le scorrettezze (o sguerguenze, come dicevo prima, come altrimenti tradurre warts senza offendere la memoria di Al?) dell’autore sono state tante e tali che gli eredi non hanno granché apprezzato la loro registrazione nella biografia definitiva del grande fumettista, assai influente nella cultura del suo tempo.
“The family liked and trusted me,” Kitchen says. When he approached Capp’s daughter Julie about wanting to co-author a biography that would depict her father, “warts and all,” she provided full access to her father’s surviving papers, though she withheld her mother’s papers and diaries. But the relationship eventually turned tense. “Julie was dismayed by some things we uncovered elsewhere and included in our bio,” Kitchen says. “The family was clearly hoping for a bio with ‘fewer warts.'”
In effetti, quando i parenti si sono accorti che gli autori stavano “candidamente” descrivendo davvero la vita di Al Capp, senza troppe censure, evitando di celare anche la nefasta competitività che l’artista aveva verso i suoi colleghi (a cominciare dal nemico di sempre, Ham Fisher (papà di Joe Palooka, copertina sotto), rispetto al quale non si fermò, pare, nemmeno dopo il suicidio dello stesso), hanno deciso che fosse meglio chiudere i rubinetti.
Sulla diatriba fra Fisher e Capp ci sarebbe da scrivere un romanzo.
Anzi, qualcuno l’ha già fatto, alterando i nomi dei due. Il libro si chiama Strip for Murder è ne fu autore un certo Max Allan Collins, classe 1948, scrittore di serie televisive gialle mainstream, a cominciare da Dick Tracy (1990).
Sulla questione di Fisher scrive qualcosa il noto storico del fumetto americano R. C. Harvey, in questa recensione sulle pagine di The Comics Journal:
Fisher accused Capp of making pornography, and one of the issues raised by the accusation was whether Capp had drawn the pictures in question.
(fidatevi, non scendiamo in dettagli)…
Capp denied it. And his friends in the National Cartoonists Society (including Alex Raymond and Milton Caniff) supported him in his denial. Wikipedia asserts that the dirty pictures are forged. Not so. Capp did, indeed, draw the pictures; and in my book, I provide visual evidence to support this contention.
Schumacher and Kitchen agree that Capp drew the offending pictures albeit their assertion is considerably more circumspect than mine: “For discerning readers, including Fisher, Capp’s frequent visual and verbal double entendres were indisputable, but they were always clever enough to be ambiguous and thus fly below the radar of the vast majority of unassuming readers.”
In support of this view, they reprint a couple of the tamer specimens, both of which I’ve included in my book. I also include many others, most of which are much more blatant comedic examples of sexual imagery in the strip, albeit still equivocal and subject to alternative interpretation. Clever, as they say.
Scandali sessuali, altri angoli oscuri della vita di Capp, era meglio che restassero chiusi nei documenti della famiglia. E così, invece di due libri di biografia, piena di passaggi che sarebbero stati anche assai più pepati, i lettori possono leggerne solo uno, che anche per questa ragione merita davvero attenzione (comunque).
Che diavolo ha mai combinato Capp in vita sua?
Lo sapremo forse domani, non oggi di certo, che è Pasqua e le brutte cose vanno rimandate in data da destinarsi.
Solo una bruttarella, al massimo, possiamo permetterci. Questa canzone originale di Pasqua 2012, che non è venuta al massimo a Grace Helbig.