L’azienda editoriale di Arnoldo Mondadori ha un posto molto particolare nel cuore (o nel cervello, se preferite) dei lettori di Fumetti italiani.
Olklahoma, Pecos Bill, gli Albi del Falco con Nembo Kid e Batman, gli Albi della Rosa, quelli D’Argento con Davy Crockett e altre storie western, i leggendari Albi d’Oro con le loro varie collane che precedono e seguono la II guerra mondiale, senza contare i giornali antologici a fumetti dell’anteguerra e il settimanale per tutte le tasche lanciato nell’aprile 1949. responsabile del boom improvviso e sorprendente dei pocket a fumetti.
Proseguendo nel campo dell’editoria libraria, si possono mettere all’attivo i volumi della Collana Carosello, i Piccoli Libri d’Oro e i loro “colleghi” di minor prestigio D’Argento. E i microscopici Minilibri, la collana L’Intrepida, con Zorro, i fumetti di Hugo Pratt e i racconti con Braccobaldo Bau, peraltro lanciato in Italia proprio dalla “casa di Arnoldo” in libri e albi fumetti insieme a tutti i suoi colleghi di Hanna-Barbera.
Nella foto, Alberto e Arnoldo Mondadori, tanti anni fa, quando la casa editrice era quella che tutti ricordiamo con piacere.
Nell’altra foto sotto, da sinistra: Alberto Mondadori, Nini Bompiani, Arnoldo Mondadori, Valentino Bompiani.
© Aventi diritto per queste e le altre immagini.
L’elenco, sterminato, può estendersi ai quasi sconosciuti Dyno o Strippy e alla riproposta dei classici francesi in albi a basso prezzo, al lancio di Mafalda e Momma su Il Mago, alla riproposta di Braccio di Ferro, Blondie, Dick Tracy, Charlie Brown e B.C. nella fortunatissima collana de Gli Oscar Cartoon.
Per le ragioni affettive sopra esposte, a me e ad altri colleghi del mondo dei comics sono sempre sembrati assurdi, inconcepibili, gli accadimenti che hanno circondato la parabola di questa casa editrice (alla quale personalmente devo l’esordio professionale nel settore Fumetti, proprio sul mensile Il Mago) in relazione al Lodo Mondadori, detto anche (confidenzialmente) Guerra di Segrate.
Come la fonte Wikipedia enuncia senza mezzi termini, questa disgustosa questione del Lodo è stata il frutto di “un acerrimo scontro finanziario tra due dei più grandi imprenditori italiani dell’epoca, Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti“. Il Lodo (chiamato più tardi anche “Lodo Previti”) “è inoltre ricordato come uno dei principali processi che gettano ombre e vedono tra gli imputati il noto imprenditore e presidente del consiglio Silvio Berlusconi e i suoi più stretti collaboratori, tra cui Cesare Previti”.
Adesso, dopo un sacco di tempo, e una cortina di nebbia omertosa per me inaccettabile (e incompresibile) qualche nodo è venuto al pettine.
In merito, mette conto soffermarci su quanto ha raccontato, giorni fa, il giornalista Rinaldo Gianola in un articolo riportato anche dal sito Dagospia: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/articolo-7840.htm
Ne sintetizzo alcune parti, rimandando chi lo desidera all’originale.
Il caso «è a sentenza», dicono gli avvocati. Il giudice monocratico Raimondo Mesiano della decima sezione civile del Tribunale di Milano ha raccolto tutte le infomazioni necessarie per pronunciarsi, pare in tempi ormai ravvicinati (salvo sorprese), sulla richiesta di risarcimento danni avanzata dalla Cir, finanziaria della famiglia De Benedetti nei confronti della Fininvest, holding della famiglia Berlusconi, in merito al caso Mondadori.
Due anni fa la Corte di Cassazione aveva stabilito definitivamente la colpevolezza degli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico, Giovanni Acampora (che assistevano la Fininvest nella guerra di Segrate) e del giudice Vittorio Metta.
La sentenza del 1991 sul Lodo Mondadori, che aveva tolto indebitamente la proprietà della storica casa editrice a De Benedetti a favore di Berlusconi era stata comprata.
I soldi della Fininvest avevano corrotto il giudice Metta.
Il proprietario della Fininvest, Silvio (non ancora il “Papi” di tutte), era uscito però “pulito” dal procedimento già nel 2001, salvato da una miracolosa prescrizione, la quale, com’è noto, non implica che il fatto non sia stato commesso.
La Cassazione, nelle motivazioni della sentenza divulgate nel luglio 2007, aveva riconosciuto alla Cir della famiglia De Benedetti il diritto a ottenere un risarcimento per i danni morali e patrimoniali patiti nella vicenda Mondadori (chiaro, no?).
Le parole della Cassazione aprivano la strada alla causa civile, sottolineando «tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari».
Come quantificare il danno subito da De Benedetti?
Difficile trovare una strada che possa essere per tutti quella giusta nello stabilire l’ammontare del risarcimento. La Mondadori era una grande casa editrice vent’anni fa, lo è a maggior ragione oggi, dopo aver assorbito gruppi un tempo autonomi e indipendenti, spesso svuotandoli di contenuto e sostituendo i loro staff.
Dal canto suo, la Fininvest era una holding di partecipazioni importante negli anni Novanta. E sarebbe diventata enormemente più ricca grazie anche allo sviluppo della Mondadori che ha affiancato le altre partecipazioni come Mediaset, Mediolanum, il Milan (GULP!) e di recente persino Mediobanca.
Per non parlare dell’effetto indotto dal Berlusconi politico, che ha favorito le società sue (anche se intestate a parenti e amici, questo mi sembra sufficientemente chiaro, no?).
La Cir, invece, negli scontri con Berlusca e i suoi alleati ha perso almeno due grandi opportunità imprenditoriali, come la Sme (l’ex holding agroalimentare dell’Iri per la quale l’Ingegnere aveva già definito l’acquisto prima del niet di Bettino Craxi e amici più o meno socialisteggianti) e appunto la Mondadori.
Gli avvocati della Cir, Elisabetta Rubini e Vincenzo Roppo, hanno quantificato il danno in un numero preciso: 468.882.841,02 euro.
Già non è poco, ma non basta affatto: tale cifra deve essere adeguata agli interessi maturati e a una normale rivalutazione monetaria, come si usa in questi casi.
La somma finale, dunque, arriva a un miliardo di euro, circa 2000 miliardi delle vecchie lire. I legali di De Benedetti hanno avanzato la richiesta di risarcimento solo nei confronti della Fininvest, la persona giuridica che ha certamente beneficiato della sentenza che sfilò la Mondadori alla Cir, ma hanno deciso di non citare Previti, Pacifico, Acampora e Metta, cioè i responsabili materiali del reato sanzionato fino all’ultimo giudizio della Cassazione.
Perché?
Semplice: i condannati risultano pressoché nullatenenti, sono proprietari di poco o niente e pare che gli avvocati della Cir non siano riusciti a ottenere nemmeno il pagamento delle spese processuali (tra parentesi, quali riflessioni suscita nei nostri lettori questa constatazione? L’attuale condono mascherato che il Governo sta varando in questi giorni, per caso, ha qualche relazione con questi fatti? Lo dico così, tanto per dire… Ogni precisazione su questo e altri punti della presente ricostruzione è ben accetta e sarà pubblicata, integrazioni e rettifiche incluse).
Intanto, siamo determinati a sottoscrivere una colletta fra i visitors di questo e degli altri blog che vorranno aderire, in favore di questi ex miliardari attualmente sul lastrico.
Ma torniamo all’articolo in questione, forse il solo che riporta valutazioni che non mi sembra siano state passate dai TG censurati, autocensurantisi o volti a fare dei favori al “capo” (perché con qusti chiari di luna non si sa mai ed è meglio attaccare la deontologia professionale a un chiodo paragonabile a quello dove, per molti (vogliamo dire una metà del Paese?) pende la vituperata Costituzione Italiana, uno dei testi più umiliati della Storia.
La sentenza riconosce alla famiglia De Benedetti un pieno riconoscimento delle sue ragioni (la Mondadori è andata alla Fininvest con una sentenza comprata, grazie a un giudice corrotto), vorrebbe ottenere un risultato sul piano economico.
Stiamo a vedere gli sviluppi di questa vicenda, che sicuramente sarà degnata di attenzione dai media più diffusi e influenti solo in caso di accadimenti clamorosi, altrimenti (com’è avvenuto adesso e in passato) sarà derubricata tra quelle che “non devono fare notizia”.
Almeno nella tragicomica Italia.