I giornali sono barchette, i giornali sono aeroplanini.
Questo il messaggio ultratriste che la valorosa edicolante Marzia, torinese, ha voluto lasciare a chi si aggiri nei paraggi di quella che fino a pochi giorni fa era la sua edicola, in piazza Statuto, e che oggi non esiste più, sull’esempio (nefasto) di svariate altre migliaia di altri chioschi e negozi, scomparsi silenziosamente dalle nostre città, lasciando completamente scoperti alcuni paesi.
Contribuendo così, senza volerlo, a incrementare il già sorprendentemente alto tasso di analfabetismo funzionale degli italiani: miscela esplosiva, se unito all’ignoranza di base, ovvero quella che non ha mai potuto vivere un’andata per poi subire il pernicioso, involutivo ritorno.
Questa rabbrividente “incultura”, che ogni giorno verifichiamo anche senza bisogno di compiere indagini accurate, spiega lo spaventoso declino intellettivo del fu Bel Paese, insieme al menefreghismo diffuso, all’egocentrismo saldamente radicato, alla paura rampante per ciò che si ignora.
La tremenda deriva a cui assistiamo, e che provoca in chi ha sinapsi residue una malinconica, sorda rabbia, è sottolineata in un post nella sua pagina Facebook da Mario Calabresi, grande giornalista che non per caso (forse) è assente dal profluvio quotidiano di talk show ammannitoci con generosità dalla nostra TV, prodiga di nevrotici arruffapopoli, feccia qualunquista investita di autorevolezza posticcia, deplorevoli guitti.
Se le edicole chiudono, anche i fumetti, cuore dei nostri interessi (e di questo blog) vengono letti sempre meno, spingendo le case editrici a soluzioni editoriali alternative non sempre popolari e/o virtuose.
Se ci fosse una manifestazione di fumetti degna della sua funzione divulgativa, un Salone che si rispettasse, di questo dovrebbe parlare, confrontandosi con il pubblico che ancora insiste ad acquistare e a leggere dei fumetti.
Magari potremmo capire perché ha voglia di smettere, perché i propri amici, vicini di casa, parenti stretti, colleghi di lavoro, hanno già gettato la spugna.
Rispetto alla lettura dei giornali, Marzia, a domanda precisa di Calabresi, così risponde, circa le cause del calo abissale degli acquirenti:
“La risposta più semplice e scontata sarebbe dire che le notizie si possono leggere gratis in rete, è vero ma non basta. Dal banco del mio negozio ho visto che tutto è un po’ più complesso e che i motivi sono tanti. Proverò ad elencarteli.
Primo: la gente legge di meno.
Secondo: ha meno soldi da spendere, la crisi ha limitato il potere d’acquisto, anche chi non ha smesso però ha ridotto. Avevo clienti che compravano sempre due giornali e sono passati ad uno. Le mamme e i nonni prendevano dieci pacchetti di figurine ai loro bambini, adesso entrano e ne prendono uno soltanto.
Terzo: la gente è stanca della politica e il disinteresse è nemico dei giornali.
Quarto: c’è stata una campagna, penso alla propaganda del Movimento 5 Stelle, contro giornali e giornalisti con lo slogan che tutto quello che si legge è falso. Credo abbia lasciato il segno.
E poi, la qualità. Quello che ha fatto perdere tante vendite è stato il calo della qualità. Troppa sciatteria, troppi errori, troppi refusi. Che suicidio mandare a casa i correttori di bozze, che suicidio inseguire il sensazionalismo”.
I bold di quest’ultima frase sono di Cartoonist Globale.
In un incontro (a una mostra di fumetti, o anche altrove, basta che sia un luogo molto frequentato da giovani lettori effetivi o potenziali; un ateneo universitario?) si dovrebbe fomentare un opportuno intervento della politica, tradizionalmente distratta rispetto ai problemi dell’editoria, della distribuzione, dell’attività degli edicolanti.
Ci potremmo spingere a scovare soluzioni alternative per spingere i più giovani alla lettura di “cose cartacee”: un processo mentale insostituibile al quale molti bambini e ragazzi non sono mai stati nemmeno educati ed abituati e, si teme, non lo faranno mai, aumentando le probabilità che nel giro breve saranno dei perfetti beoti. Una categoria già sterminata le cui milizie non si sente il bisogno di infoltire ulteriormente.
La lettura a voce alta, la recitazione del testo dei balloon in ambito scolastico (con insegnanti bravi, però, che ne sappiano qualcosa anche del lavoro dell’attore) sarebbero dei toccasana, con l’ausilio di supporti audiovisivi anche banali, che ogni scuola dovrebbe possedere.
Cos’altro si può fare? Riprendiamo ancora le parole di Marzia, cercando di fermare il brivido che ci corre lungo la schiena:
“Ormai più niente, sarebbe come progettare un recinto quando i buoi sono scappati da un pezzo. Gli editori avrebbero dovuto sostenere la rete di vendita, i distributori capire i nostri bisogni, si doveva fare squadra tutti insieme e dare il giusto valore alle cose. Eravamo un orto, ormai siamo come un vaso sul davanzale”.
Progettare il futuro dovrebbe essere l’impegno di tutti, almeno di chi tiene alla cultura e aborrisce la svolta recente (ma con la strada spianata da almeno un quarto di secolo) verso la barbarie, talmente comune e diffusa da non sembrarci nemmeno più tale.