Dopo questa antica presentazione di Justice Farm, il Comitato Scientifico di Cartoonist Globale, conseguentemente a una plebiscitaria votazione sulla Piattaforma Diderot, ha deliberato di intervistarne lo scrittore, l’eclettico Marco Cannavò.
Tra l’altro, questo suffragio ha battuto la barriera del suono del record galattico del campionato di accumulo veloce di like in un nanosecondo e mezzo circa. Fantastico (ma non mi monto la testa, mica).
Si proceda.
La trama che hai scritto per “Justice Farm” è, ovviamente di fantasia, ma si basa su un episodio realmente accaduto, per di più a un componente della tua famiglia. Nei limiti del possibile, senza spiegare troppo, puoi dirci qualcosa di più? Cosa c’è di “storico”, in sostanza?
E’un tragico episodio accaduto realmente, il 14 giugno del 1944, periodo storico per l’Italia. Gli alleati avevano appena liberato Roma e avanzavano verso nord. In Umbria ci furono diversi scontri con centinaia di vittime e come in tutte le guerre alcune di loro non hanno trovato spazio nei libri di storia o nelle documentazioni ufficiali. Quella che racconto in Justice Farm è una di queste tristi vicende, tramandata dai racconti dei nonni, confermata da materiale fotografico e documenti anagrafici che ho raccolto negli anni e pubblicato nella postfazione del fumetto. La storia ruota attorno a Sergio, fratello minore di mio nonno Tersilio Albergati, una storia dolorosa che mi è rimasta intrappolata nella testa e nel cuore, una storia che merita di essere raccontata.
Perché hai scelto di far agire degli animali a loro modo senzienti e antropomorfi come protagonisti? Oltre all’evidente riferimento a George Orwell, l loro confabulare, la capacità di salvare la partita mi ha ricordato l’operare del Sergente Tibbs (un gatto) e degli altri (un cane, un cavallo) nel film “La carica dei 101”. C’entra qualcosa?
In realtà gli animali che ho utilizzato sono realmente esistiti e gli ho frequentati di persona. Mi sono permesso un salto temporale, ovvero ho preso una parte della mia infanzia, passata proprio nel casale de Il Monticello, location della storia, e l’ho trasposta nel 1944.
Il canelupo Bruce si chiamava in realtà Etto, la pecora Diana era Calabrisella, Barry semplicemente Cavallino e Clark non ricordo… rammento solo che era un maschio d’oca dal carattere irrascibile e scontroso.
Gli animali della fattoria rappresentato lo strumento ideale per comunicare con i più piccoli, per far avvicinare i giovani alla storia, che ahimè, senza più le testimonianze dirette degli anziani, sta via via perdendo sostanza ed efficacia. Quando i nonni, gli zii, raccontavano le nefandezze dei nazisti, avevano gli occhi lucidi, la narrazione era vissuta e ti colpiva nel profondo.
Perché, secondo te, a distanza di tanti anni, il tema della Resistenza al nazifascismo è tornato di nuovo a interessare gli autori di fumetti, e si spera anche i lettori, proprio in questa fase storica?
La vera domanda è come mai per decenni l’argomento è rimasto tabù, o comunque se n’è parlato solo per vie traverse. Il mio primo approccio con la materia lo devo ad Enzo Biagi con la sua Storia d’Italia a Fumetti (credo tra l’altro una seconda ristampa), erano i primi anni ’90 e il linguaggio del fumetto, potenziato dai disegni di Toppi e Battaglia mi ha sicuramente catturato ed invogliato a saperne di più.
Non posso parlare per gli altri, ma come scrittore di fumetti mi sono sentito in dovere di raccontare Justice Farm in questo momento storico perché mi fanno ribrezzo alcune dichiarazioni o prese di posizione dove viene messo in discussione l’orrore del fascismo.
In Justice Farm i nemici sono i tedeschi, ma a trascinarli in Italia, nella mia terra, nella casa della mia famiglia, sono state la camice nere.
Negli anni Quaranta, in quello stesso casale, un bel giorno un giovane fascista in divisa, con tanto di moschetto in spalla, si presentò dal mio antenato chiedendo la mano di sua figlia in sposa. Di tutta risposta il mio bisnonno, che era quasi due metri di altezza per 200 chili di peso, e che va sottolineato era maresciallo dell’esercito italiano, lo “lanciò” fuori dalla porta di casa facendolo rotolare giù per le scale. Poi smontò il fucile in tutte le sue parti e le gettò ai piedi del pretendente, esclamando: “e ora sistemalo da solo, se sei capace!”
Come hai conosciuto e scelto la bravissima disegnatrice, Martina Di Luzio?
Devo dire che sono stato sempre fortunato nelle mie collaborazioni con i disegnatori, ho lavorato con Sudario Brando, Francesco Biagini, Filippo Paparelli e ora con Martina, tutti bravissimi. A furia di curare mostre espositive, ormai sono 12 anni, e di frequentare Claudio Ferracci e la sua Biblioteca delle Nuvole, ho affinato l’occhio e riesco a capire quali sono le sceneggiature giuste per esprimere al meglio il lavoro dei disegnatori.
Martina l’ho conosciuta tramite una sua locandina, per una spettacolo comico teatrale, mi ha colpito il suo stile e la composizione e di conseguenza ho fatto delle ricerche sul web. Martina, oltre ad essere brava di natura, studia nella Scuola comics di Reggio Emilia, è veloce nel disegnare, ci mette del suo nella sceneggiatura con soluzioni efficaci e nonostante la giovanissima età ha già un segno maturo e riconoscibile.
Prima del grande salto nel mondo del graphic novel abbiamo testato la nostra sintonia lavorativa realizzando un portfolio dedicato ai cavalli del fumetto, No Night, Edizioni BimboGiallo anche questo.
Cosa sono le Edizioni BimboGiallo, e cos’hanno in cantiere?
Ceccarelli, un tipografo/editore specializzato perlopiù in prodotti turistici, ha voluto tentare l’ingresso nel mercato del comics e quindi mi ha contattato per coordinare questa collana, che ho battezzato appunto BimboGiallo, in omaggio al famigerato Yellow Kid.
In cantiere c’è un secondo fumetto “U Lanzaturi” ispirato alle gesta dei “cacciatori” di pescispada dello stretto di Messina. Un rituale che nasce con i fenici e che tutt’ora si compie con i medesimi strumenti e con un modus operandi immutato nei secoli. Anche questo lavoro è scritto da me e disegnato da Marco Leombruni, con la super cover di Cosimo Miorelli. Mi sono imbarcato come “mozzo” per sette volte (12 ore ogni uscita in mare) con l’equipaggio della “passerella” (la caratteristica imbarcazione utilizzata) Patriarca II di Scilla, ed ho raccolto racconti, testimonianze e riti scaramantici incredibili, scattando centinaia di fotografie alle creature che popolano lo stretto.
Mi hanno detto della difficoltà di reperire il vostro album. Qual è il modo migliore di procurarselo?
La difficoltà è colpa mia. In questi tre mesi dall’uscita di Justice Farm sono stato molto impegnato tra festival da organizzare tra Viterbo e Perugia, mostre da curare (Altuna, Popeye e Zezelj) e lezioni da terminare nella mia Scuola di Fumetto Jack Kirby, trascurando a malincuore la promozione di Justice Farm. Ma sono lieto di annunciare che dai primissimi di giugno l’albo sarà distribuito da Star Shop, Manicomix e Tabook e sarà comunque acquistabile dalle rispettive piattaforme on line.