La scomparsa improvvisa di Alberico Motta, nel corso della notte fra mercoledì e giovedì, ha lasciato tutti senza parole.
Le nostre più vive condoglianze alla famiglia, agli amici, ai colleghi che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui.
Il nostro affetto per lui, l’apprezzamento per le storie che ha scritto e disegnato, con grande genialità e desiderio di staccarsi, sin da giovanissimo. dalla routine dei fumetti che affollavano le edicole, ci ha reso della sua persona, della sua intelligenza, un quadro davvero raro.
Motta è stato uno dei grandi Maestri del Fumetto comico italiano, sicuramente non del tutto valorizzato da una critica, e da un’industria editoriale, spesso ingrate e distratte.
Non ci sono parole, ripeto.
Insieme a una panoramica di sue tavole originali (alcune delle quali realizzate prima ancora che andasse al servizio militare, sotto i vent’anni), riportiamo alcune parole sue, che sottolineano lo spirito del suo approccio al Fumetto.
Lo stacco dai canoni tradizionali della storiella illustrata fu l’adozione delle espressioni popolari nel linguaggio dei nostri personaggi, che divennero eroi, anche se umili, della realtà quotidiana. Stiamo parlando degli anni ‘60. Ci lasciavamo alle spalle il discutibile perbenismo di un ideale di vita ostentato e imposto da troppo tempo per schierarci dalla parte di un cambiamento più democratico. Questo influì anche sulla scelta dei soggetti delle storie che traevano molti spunti dagli avvenimenti di quegli anni.
Nelle storie di Geppo, Felix, Braccio di Ferro, Provolino, Pinocchio e Chico, si riflettono le situazioni e le aspirazioni della nostra vita, le difficoltà economiche, le speculazioni, le limitazioni alla libertà di espressione…
Geppo fu messo all’indice nelle locandine parrocchiali perché i suoi comportamenti erano in contrasto con rigide interpretazioni di un indottrinamento inamovibile: “un diavolo non poteva essere buono” e ancora “i dannati che espiavano la pena dei loro peccati erano colpevoli da punire e non potevano essere visti come vittime da aiutare o soggetti trattati con simpatica ironia”. Questo stravolgimento di considerazioni poteva disorientare la formazione educativa dei giovani lettori e quindi era da condannare.
Punto e a capo.