REFERENDUM SUNDAE

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Davanti al seggio elettorale un signore che non parla quasi italiano, con il documento in mano mi ferma e chiede: “Una domanna: frego matita su ‘no’ no si deve, va messo su ‘sì’? Dove ‘sì’?'”. E con la mimica intende: “Ho capito bene che si fa così a votare?”. Mi ripete il quesito tre o quattro volte con qualche differenza nella forma.

Tento di spiegargli con parole semplici che cosa significa il referendum e che si può segnare una delle due posizioni con una croce, ma non è questo che vuol sapere e taglia corto: “Vado chiedo dentro” e si infila nell’aula scolastica, dove frequentai la II Elementare, in direzione degli scrutatori.

Chi era costui?
Chi ha inviato questo sprovveduto a votare per il “sì” in un Comune il cui establishment si è espresso per il “sì”? Il suo datore di lavoro?
Ricordando le schiere di cinesi che hanno votato quel certo candidato del PD alle primarie per “ritoccare” i risultati, per un attimo mi balena il sospetto che qualcuno lo abbia pagato (e forse aveva davvero bisogno di soldi).
La domanda del sottoscritto è, invece: possibile che sia capitata solo a me una cosa simile nei cinque minuti in cui ho stazionato in un seggio?

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L’esempio di De Luca e della sua frittura di pesce si è esteso alle altre regioni tramite qualche maggiorente del suo partito?

A parte questo, quella di oggi è una giornata triste. Per diverse ragioni.

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I disegni di questo post sono di Hannah Hillam.

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