Arrivo trafelato in questa via parigina: ho ancora nella mente l’eco di quanto accaduto ad una giovane poliziotta uccisa a sangue freddo da un fanatico musulmano, ai poveri redattori di “Charlie Hebdo” e agli avventori del supermercato cosher di porte de Vicennes, sterminati da altri pazzi criminali. Io penso non ci sia giustificazione alcuna per avvenimenti di tale genere, non solo per quelli che io considero le motivazioni aberranti degli assassini, ma perché NON UCCIDERE è un comandamento universale, che come tale dovrebbe travalicare le divisioni e differenze fra i diversi popoli di questa martoriata terra.
Poi, se una persona o un gruppo di persone fanno il loro lavoro di disegnatori satirici, i loro limiti sono quelli stabiliti dalla legge del loro paese. Allora, perché dover per forza “lasciare stare i Santi”, quando anche in Italia i Santi si possono toccare poiché, entro certi limiti, la legge dello stato lo permette?
Joël Laroce mi riceve a braccia aperte: non parliamo dei recenti luttuosi avvenimenti, ma nell’aria si avverte che l’atmosfera è cupa. Il Nostro si alza e guarda oltre l’ampia vetrata del soggiorno della sua vecchia abitazione di rue Lepeletier dove al primo piano c’è anche la tipografia e redazione di sua proprietà, qui in questo quartiere quasi sconosciuto del 9° distretto parigino, zona alle spalle del vecchio teatro ottocentesco dell’Opera Garnier. Siamo a due passi dalla sinagoga di rue de la Victoire, la più grande di Parigi, dove ieri sera, venerdì, alle ore 19,30 Laroche mi ha accompagnato all’interno dell’edificio religioso per una semplice visita originata dalla mia innocente curiosità. Mentre io, di animo e pensiero laico, non praticante ed osservante- assistevo sinceramente imbarazzato alla cerimonia religiosa della sera.
Che cosa pensavo in quei momenti? A mio bisnonno Turchi Lazzaro, custode delle suore cappuccine della chiesa di San Ignazio di Carpi (MO) e alla nonna di mia nonna paterna Pia, Clarice Rimini, figlia del noto incisore Abramo Rimini (1800- 1876), poi moglie del pittore Albano Lugli, artista operoso fra le fine ‘800 e l’inizio del secolo successivo, le opere del quale sono conservate in numerosi musei dell’Emilia e della Toscana. Va beh, continuiamo…
Fra le mani gira il mio amico e rigira una foto incorniciata d’argento che riproduce alcune persone all’interno di un locale, in piedi vicino allo zinc ed intente a sorseggiare con espressione meditabonda, chissà quale liquido da bicchieri a gambo lungo e sottile, apparentemente in cristallo. Mi mostra silenziosamente la fotografia: perbacco, riconosco Hugo Pratt, Franco Caprioli (del quale ebbi modo di scrivere in un altro numero di “Vitt & Dintorni), Mario Faustinelli, Santo D’Amico, Roberto Diso e lo stesso Joël, quest’ultimo un poco in penombra.
“Ma dove siete??”
Sospira Joël: “ beh, qui siamo al n°60 di rue de Lancry, nel locale di Monsieur Vito, “La Patache”, termine che in argot del 10° significa “barcone da canale”.
Erano bei tempi, quando di notte io Hugo e compagnia bella passavamo ore ed ore a discutere da Vito.
In quel vecchio bistrot c’era ancora la vecchia stufa di buona memoria che funzionava a “ carbone ad ovuli”. Comunque se passi da quelle parti monsieur Vito è ancora all’opera, anche se per attirare turisti ogni tanto finti clienti, attori di professione, si esibiscono in scene improvvisate alla “titi” (p0p0lani), per la sorpresa dei novellini del bar!!”
“Si, si” sussurro “, me lo ricordo quel locale, ci andai una volta con Ange Tomaselli che allora abitava ancora in un monolocale a Montparnasse. Poi si sposò e si trasferì in periferia, dalle parti dell’aeroporto di Orly, precisamente a Villebon. Ci si arriva con la R.E.R. La metropolitana regionale. Prendendo la linea “B”.
Laroche scalpita, è impaziente di riprendere il discorso su Gianni De Luca e Hugo Pratt.
Ecc, ecc…