Sapevamo quanto Marcello Toninelli fosse legato a Pini Segna, dal punto di vista “spirituale” (per così dire), oltre che umano.
Dopo aver scritto nel suo blog una memoria in proposito, L’avventura si è conclusa, ha inviato a Cartoonist Globale un commento toccante che merita di essere evidenziato, casomai fosse sfuggito a chi legge solo i post senza spingersi sotto i tags.
Ecco. Grazie, Marcello!
Che triste notizia mi dai, Luca!
Sapevo che era malato da tempo, e forse andarsene è stata anche una cosa buona, per lui. Per me, che mi ero innamorato di lui su Tim e Ox (che forse potrei riuscire a “resuscitare” in qualche modo come ultimo omaggio – purtroppo postumo, a questo punto – se andrà in porto un progetto a cui sto lavorando), questo rappresenta davvero la fine di un’epoca.
E di quello che restava della mia infanzia.
La sua scomparsa mi colpisce ben più di quanto mi abbia colpito a suo tempo quella di Sergio Bonelli. Infatti, anche se Bonelli era per me (nel senso in cui ne ho parlato nel mio blog) come un padre, era di fatto uno di quei padri con cui non ci si capisce e non si è mai avuto un vero dialogo, finendo per andare ognuno (serenamente) per la sua strada.
Pini Segna invece era per me un “padre artistico”, e con lui ho passato ore piacevolissime ad ascoltare le sue storie di guerra (come quella che lo vide salvarsi da una decimazione nazista grazie al nome impostogli dal padre: l’ufficiale cancellò il suo nome dalla lista delle persone da fucilare credendolo una donna a causa di quella A finale) e gli episodi della sua avventura editoriale, caotica quanto generosa: basta pensare allo sterminato numero di personaggi inventati.
Non so sia stato effettivamente il primo autore a diventare l’editore di se stesso.
Probabilmente no (basta pensare a G. L. Bonelli!), ma certo è uno che l’ha fatto con convinzione e determinazione, abbastanza a lungo e con un relativo successo, non limitandosi a pubblicare i propri lavori (che, certo, a differenza di Bonelli scriveva e DISEGNAVA) ma coinvolgendo colleghi come Dauro e Uberti, per dirne due, e pubblicando anche materiale estero (i cui disegni poi magari “saccheggiava” per disegnare i propri personaggi!).
Quanto alla storia del suo nome, che a quanto mi raccontò lo aveva inevitabilmente “segnato” nell’infanzia, mi disse che solo in tarda età aveva scoperto che Segna era il nome con cui Duccio di Boninsegna firmava i quadri che vendeva all’insaputa del suo committente principale.
Sarà vero, o solo un’altra delle sue fantasiose storie?
Per me non ha importanza… io lo amavo così, vitale, pieno di energia, di fantasia, di voglia di fare, di “conquistare il mondo”, anche se poi non ci è mai riuscito.
Ma se come credo quello che conta per un autore, indipendentemente dal successo economico, è regalare mondi, entusiasmo e divertimento foss’anche a un solo lettore una sola volta, Pini Segna può riposare in pace: a me ha dato tutto questo, e molto di più.
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