Il libro è stracult, anche se il formato, piuttosto ridotto, forse non renderà pienamente giustizia ai grigi tratteggiati con carta “speciale” che sono una caratteristica direi determinante dell’arte di Roy Crane di questo periodo.
Ma l’etichetta Fantagraphics, insieme ad altri “giovani” editori di Oltreoceano in vena di riscoperte dei classici, ci ha abituati da tempo a questo tipo di “formatini”, ottimi per contenere in poco spazio un arco di storie complesso e articolato, ma inadatte a trasmettere appieno le suggestioni dell’arte fumettistica espressa dai vari disegnatori.
Ciò che per i Peanuts è okay, lo è un po’ meno per Dick Tracy, meno ancora per Buz Sawyer.
Prima che Il Sole 24 Ore assumesse per le sue pagine la configurazione attuale, mi ero occupato più volte di Roy Crane, della sua craftint usata per gli effetti speciali delle vignette, di eventuali e varie.
Chi fosse arrivato “tardi” e si fosse lasciato scappare qualche meravigliosa carrellata di immagini di Buz Sawier può recuperare qualcosa adesso, continuando a far scorrere il mouse. Basterà fare CLICKQ sotto, nei tags, ove si preferisce, per ritrovare il grosso di quanto era già stato pubblicato in passato. Idem sulle immagini che seguono per ingrandirle e godersele.
E fra qualche ora, un altro post su un grande, scomparso nel 2010: Al Williamson.
Parte del fascino delle tavole strane di Buz Sawier, molto diverse dai fumetti italici che in passato si trovavano in edicola senza difficoltà, risiedeva nell’assenza di dettagli superflui e nelle ombreggiature a tratteggio quasi inesistenti.
Quasi considerabile un ipotetico precursore dei Fratelli Hernandez, Crane incarnava con il suo stile uno dei miei “opposti preferiti” (qui parlo in prima persona, vabbe’), perfetto contraltare “antibarocco” a Walt Kelly o a Robert Crumb, le cui opere, anche, ammiro da sempre.
Gli uni di qua, gli altri di là; vicini nell’approccio con il cartoncino bristol e nell’impegno a sperimentare soluzioni grafiche nuove, quanto distanti nella resa finale e persino nelle scelte degli strumenti grafici da usare.
Che la forza espressiva di Crane risiedesse nella sua limpidezza stilistica era per me tanto palese sin da quando le ho viste per la prima volta (e studiate, come può fare un ottenne), quanto lo era la fatica che necessariamente si doveva fare per raggiungerla.
Lo capivo facendone le spese, poiché la sperimentavo di persona, una certa mezzaspecie di sofferenza creativa, cercando di rubacchiare qualcosa allo stile netto di Buz Sawyer. Lo riproducevo come potevo, con penna a sfera Bic e tempere, sui fogli da disegno di quarta elementare, nei primi albi a fumetti che confezionavo allora (e che fortunatamente non ho venduto a parenti o affini).
Seguono l’autobiografia di Crane, la cover affascinante di un suo remoto comic book e qualche altro esempio di lavoro con la carta craftint e/o double tone, con quelle caratteristiche “righette ombreggiate incrociate” che si ottenevano con delle sostanze chimiche da spalmare con il pennello sul foglio di cartoncino apposito.
In una telefonata di qualche tempo fa, Carlo Peroni (Perogatt) mi parlava della sua ammirazione per Crane e per una cena che fece con lui a un remoto Salone Internazionale dei Comics di Lucca (una delle “Lucche vere”, quelle organizzate da Immagine).
Crane pare che non fosse abbastanza apprezzato dal syndicate che ne distribuiva la produzione, il che è un po’ una beffa. E lo diceva in giro, lamentandosene.