C’è un libro in edicola che gli amanti del Fumetto, in particolare di quello italiano, non possono lasciarsi scappare.
Si chiama Ayesha, e fa parte della rinomata collana I Maestri del Fumetto.
Il disegnatore è Guido Buzzelli, che oltre alla seconda parte di questa lunga saga, chiamata anche La donna eterna, pubblicata a puntate sul Corriere dei Ragazzi con la sceneggiatura di Mino Milani, illustra anche l’altro capolavoro L’uomo del Bengala, scritto da Gino D’Antonio per la collana Un uomo un’avventura, pubblicata dall’etichetta Cepim di Sergio Bonelli.
Fra le segnalazioni che Cartoonist Globale ha fatto sino ad oggi nel corso della sua stralonga carriera, questa è sicuramente la più convinta, la più cogente.
Circondato da un’inspiegabile silenzio, da un’assenza di pubblicità che non si capisce, esce in edicola in questi giorni, in allegato a Il Sole 24 Ore e/o Panorama, un volume davvero imperdibile, opera di uno dei massimi Maestri espressi dal Fumetto italiano da sempre: Guido Buzzelli, grandissimo disegnatore e pittore di taglio naturalistico, talentuoso rampollo della scuola di Beltrame e della dinastia Molino (Walter in testa). Un pittore che per esprimersi aveva scelto il Fumetto e la Satira perché con questi strumenti poteva comunicare meglia alla gente il suo messaggio beffardamente sconsolato, realisticamente aspro: una fotografia deformata delle debolezze e delle contraddizioni dell’umanità.
Guido è stato una persona gentile e generosa in vita, un artista dall’immaginario assai più complesso, tumultuoso e sfaccettato di quello epresso dotato di quella modestia che solo i Grandi conoscono.
Buzzelli è stato sulla breccia sin del 1946, quando appena diciannovenne esordiva con la storia Il monaco nero (scritta e disegnata da solo) sul settimanale per ragazzi Argentovivo!, diretto da Guglielmo Guastaveglia, detto Guasta.
Questo suo primo periodo di lavoro serve a Buzzelli per stabilire e consolidare il rapporto con il medium, mentre si fa le ossa con diversi piccoli editori romani come l’amico personale Dante Daini (factotum delle Edizioni Fantera), su soggetto del quale disegna il dimenticato albo a striscia Dray Tigre (1949).
Circa in contemporanea, Buzzelli è con l’editore Gabriele Gioggi, per il quale illustra una nutrita dose di copertine buttando giù anche le storie di un poco filologico Zorro (1953) e di un più curato Nolan pioniere dello spazio (1953), su soggetto dello stesso Gioggi.
Con Gioggi, Buzzelli collabora anche all’insolita rivista Mondi astrali, uno dei primi periodici italiani dedicati alla fantascienza, diretto da Edgardo Beltrametti.
Si tratta dell’ideale continuazione di Mondi nuovi, che nel 1952 aveva lanciato la Tipolitografia Diana dando molto parecchio spazio ai fumetti, in particolar modo a quelli dello stesso Buzzelli (I pionieri della Via Lattea, con testi attribuiti a un inesistente Ludwidg Blyth).
Nella foto sopra, scattata nel settembre 1983 dall’amico Riccardo Zanello durante una performance a Roma presso il Foro Boario, Buzzelli è con Andrea Pazienza. L’occasione è la manifestazione Sussurri e grida.
Sotto, una meravigliosa composizione di Buzzelli dedicata al cartoonist francese Jean-Marc Reiser, colonna di Charlie Hebdo e Hara Kiri. A Roma, per la manifestazione Phantasmagorie (a Palazzo Braschi, per una lontana Estate Romana di Renato Nicolini) eravamo insieme tutti e tre. Reiser sarebbe scomparso prematuramente non molto tempo dopo; Buzzelli lo ritrae proprio mentre fa il suo ingresso con un drappello dei suoi personaggi nel Paradiso laico degli artisti, acconto da Picasso, Toulouse-Lautrec e da tanti altri colleghi.
Ancora di Zanello, che con noi era fra gli organizzatori di Phantasmagorie (sezione fotografia, con opere di Luxardo et al.) è la foto in apertura di post, dove Guido dipinge.
Dalla prefazione al volume di Daniele Barbieri:
Il gioco spietato del mondo
Non c’è nessun disegnatore di fumetti che come Guido Buzzelli sappia disegnare il male.
Non il grande male delle sciagure e delle stragi, ma il piccolo e pervasivo male della meschinità, della stupidità, della deformità mentale, dell’impossibilità. Chi l’ha chiamato il Goya del fumetto (o anche il Michelangelo dei mostri) faceva certamente riferimento non solo alla straordinaria qualità grafica della sua plastica, ma anche a questa sua vocazione all’inquietante, all’incerto, all’oscuro, all’ossessivo.
Buzzelli trascorre tra il 1927 e il ’92 una vita assai più normale di quella che dipinge nelle sue storie. Inizia a lavorare come illustratore a metà degli anni Quaranta presso lo studio di Rino Albertarelli, ma ben presto la curiosità lo spinge verso il fumetto.
Il mercato italiano però non dà grandi possibilità né a lui né a tanti altri della sua generazione. Invece di emigrare in Argentina come Pratt, Buzzelli prova la Spagna e poi la Gran Bretagna.
Evidentemente, però, qualcosa non funziona come deve, visto che alla fine dei Cinquanta lo troviamo di nuovo in Italia, non più fumettista ma pittore. Una vocazione, comunque, è una vocazione: nel 1966, di sua completa iniziativa, scrive e disegna La rivolta dei racchi, che gli viene subito pubblicata nell’Almanacco del festival di Lucca, senza tuttavia suscitare grande interesse da parte del pubblico e degli editori. È in Francia che bisogna andare, dunque!
Frontiera francese
È in Francia, infatti, che Buzzelli ha i suoi primi successi, e le sue storie escono su numerose riviste differenti, da Pilote, a Circus a L’Écho des Savanes a Métal Hurlant e altri ancora.
Sono i medesimi anni in cui anche Pratt sta godendosi i suoi primi successi francesi; e proprio come Pratt, Buzzelli ritorna in Italia pubblicando su Linus, a partire dal 1973. Da questo momento in poi i lettori italiani potranno leggere numerose storie a fumetti di Buzzelli, che collaborerà anche con il Corriere dei Piccoli, e con le edizioni di Sergio Bonelli. Ma Buzzelli non riuscirà a eguagliare in fortuna, in patria, il collega Hugo Pratt.
Nei vent’anni che seguono, il successo di Buzzelli resta infatti soprattutto un fatto francese, anche se in Italia resiste comunque un nucleo di appassionati, sia lettori che editori, che ne assicurano la continuità di pubblicazione.
(…)
Non c’è consolazione nel disegno di Buzzelli, proprio come non c’è nelle sue storie, e ogni fuga nel fantastico, che sia humanoide, psichedelico, espressionistico o cortomaltesiano, viene continuamente castigata dal rimando al realismo più banale e quotidiano e in quel realismo, a sua volta, sembra essere nascosto il senso (doloroso) della vita, espresso attraverso un sarcasmo profondissimo e irrimediabile.
Buzzelli è stato dunque unico, e lo possiamo apprezzare tanto di più oggi, quando le polemiche artistiche dei suoi anni non sono più all’ordine del giorno, e la sua arte non soffre più gli attacchi di chi ritiene che esistano strade sbagliate per lo sviluppo delle espressioni estetiche.
La qualità e lo spirito di Buzzelli sono così forti che emergono anche quando si trova a lavorare su sceneggiature non sue, come nelle due storie che potete leggere in questo volume, scritte rispettivamente da Gino D’Antonio (sceneggiatore e disegnatore a sua volta, lungamente attivo presso la casa Bonelli e non solo) e da Mino Milani (l’indimenticabile scrittore e sceneggiatore di innumerevoli racconti e fumetti apparsi sul Corriere dei Piccoli tra il 1953 e il ’77).
Mentre Il ritorno di Ayesha appare sul Corriere dei Ragazzi nel 1976, L’uomo del Bengala viene stampato tre anni dopo come volume autonomo all’interno di una collana voluta da Sergio Bonelli (all’epoca Edizioni CEPIM), Un uomo un’avventura, alla quale furono chiamati a lavorare tutti i grandi nomi del fumetto italiano (e non solo) del periodo, da Pratt a Toppi, Battaglia, Crepax, Micheluzzi, Tacconi, Galleppini, Bonvi, Siò, D’Antonio, Manara.
Questo è l’indirizzo del sito dell’Associazione Guido Buzzelli.
Per le immagini il © è Buzzelli/Grazia De Stefani.