Cos’hanno in comune la straordinaria saggista, traduttrice, scrittrice e giornalista Fernanda Pivano e l’attrice Virginia Davis, interprete di Alice per Walt Disney negli anni Venti del secolo scorso?
Direi, con vigore, “un bel niente”, se non la passione per gli Stati Uniti nutrita su fronti diversi e, purtroppo, la coincidenza imprevedibile che siano scomparse a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, amate entrambe da chi ha sempre guardato con attenzione e ammirazione a una “certa cultura” nordamericana.
Le immagini di Alice sono © Disney. La foto di Fernanda Pivano, scattata a Spoleto nel 1967, è © Ettore Sottsass (architetto e designer, marito di Fernanda).
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Dagli scritti della “Nanda” almeno tre generazioni (fra cui quella dello scrivente) hanno imparato a conoscere i fondamenti della beat generation e anche dei più noti romanzieri americani che precedevano tale esperienza: quelli che il Fascismo, nella sua sordida stupidità, aveva messo all’indice. Ma che cominciavano a giungere comunque anche da noi nel Dopoguerra in buona parte con le traduzioni di Fernanda.
Anche se non contenevano modelli di società particolarmente evoluti o (peggio) rivoluzionari, erano comunque un alito di libertà, dopo tanta cupa imbecillità, il segno che una società più aperta di quella italica (irreggimentata, chiusa, bigotta, violenta, ignorante, a parte alcune élite intellettuali) era comunque possibile.
La biografia di ognuna delle due importanti novantenni scomparse in questa metà di agosto richiederebbe un libro intero.
Di Fernanda, così riassume qualche momento dela vita e della carriera la sua amica Dori Ghezzi, ritratta con lei nella foto sotto:
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Quando parlava di Ginsberg e Kerouac, li chiamava «i miei beat»; quando ricordava Hemingway e Pavese, li definiva «i miei maestri» e per lei avevano in comune «una integrità professionale e morale assoluta»; quando accennava ai tanti autori che aveva conosciuto diceva: «i miei eroi».
Per lei non erano soltanto pezzi di storia letteraria, ma frammenti della sua esistenza in cui si univano anni di vita e anni di studio, da pioniere, di lavoro e viaggi.
Attenta alle mutazione della società e della cultura americana fu lei – traduttrice di Hemingway, Faulkner, Fitzgerald – a proporre in Italia la pubblicazione degli scrittori contemporanei più rappresentativi: dagli esponenti del movimento nero, come Wright; ai protagonisti del dissenso non violento degli anni `60, Ginsberg, Kerouac, Burroghs, Ferlinghetti, Corso; fino agli autori “minimalisti”, prima Carver poi Leavitt, McInerney, Ellis.
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Il seguito del ricordo di Dori Ghezzi è leggibile a questa pagina:
“La Nanda”, tra vita e cultura
Altre note e testimonianze su Fernanda Pivano si trovano anche qua:
Addio “Signora libertà”
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Virginia Davis, ospite d’onore (grazie al suo accompagnatore Rick Marschall) di una delle ultime edisioni della fiera romana Expocartoon, diretta da Rinaldo Traini, ha vissuto tutta un0’altra storia, ha visto (e si è fatta) tutto un’altro film.
Da bambina era entrata in contatto con Walt nel 1924, poco prima che il futuro papà di Topolino si rechi, in treno, pieno di speranze, alla Mecca del cinema.
In quel momento, il giovane Walt ha appena quaranta dollari in tasca, una borsetta con la biancheria di ricambio e una cartella coi primi disegni di un nuovo progetto: una particolare trasposizione in disegni animati del libro di Lewis Carrol Alice nel paese delle meraviglie (Alice’s Wonderland).
Soprattutto, Walt ha con sé la “pizza” di un film girato di fresco, già annunciato per iscritto qualche mese prima ad alcuni distributori di New York. E’ una pellicola con la combinazione di riprese dal vero e disegni animati, ispirata ai film dei fratelli Max e Dave Fleischer per il ciclo Out of the Inkwell, dove i personaggi prendono vita uscendo fuori dal calamaio.
«C’è un cast di bambini che recitano in scenari disegnati, con personaggi dei cartoons», spiega Walt. La protagonista è una bambina ricciuta di nome (appunto) Virginia Davis, che nelle prime sequenze visita uno studio e chiede ai cartoonists (lo stesso Walt, Ub Iwerks, Hugh Harman e Rudy Ising) di disegnare per lei qualche personaggio buffo.
Quella notte, in sogno, la ragazzina sogna di andare in un luogo divertentissimo chiamato Cartoonland, dove la attendono varie disavventure e un finale drammatico, con alcuni leoni che la rincorrono.
Quando Walt fa questa proposta ai boss Hollywood, l’industria cinematografica americana è in pieno splendore. Cecil B. De Mille gira il kolossal I dieci comandamenti (<em>The Ten Commandments), mentre Douglas Fairbanks costruisce il titanico set per Il ladro di Bagdad (The Thief of Bagdad).
Tuttavia, da quelle parti non sorgono ancora degli studi di animazione, come invece accade a New York; il terreno, quindi, è assai promettente. Walt ha udienza presso l’agenzia di una ex segretaria della Warner Bros. che si chiama Margaret Winkler, prima che questa ne passi la direzione al marito, il sinistro e disonesto Charles Mintz. L’idea di Alice è favorevolmente accolta, ogni film verrà pagato con 1500 dollari alla consegna.
Niente male, dato che i costi per ogni short sono calcolati intorno alla metà. Attenendosi al progetto annunciato, Walt realizza un cortometraggio dopo l’altro, le Alice’s Comedies, due delle quali soo presenti, in versioni tutt’altro che perfette, in questo post, ma che sono ampiamente disponibili in dvd restaurati e muniti di musichette di sottofondo (all’epoca il cinema era ancora muto, quindi le pellicole originali non possedevano colonna sonora).
Sulle due signore scomparse tra il 14 agosto e oggi (mercoledì 18), dicevo, si potrebbero scrivere libri.
Per il momento, il tempo e lo spazio ci hanno consentito il depliant che avete appena letto.