Come annunciato in questo post, siamo orgogliosi di pubblicare la partecipata memoria di Laura Guzzon, dedicata al padre Dario e ai due suoi compagni di lavoro e di vita insieme ai quali componeva l’indimenticabile studio EsseGesse.
Ti ho scoperto in un giorno di magra letteraria e pioggia sui vetri. Divorato tutto ciò che potevo leggere, lo sguardo famelico si era infine posato su quell’albo dimenticato in poltrona.
Avevo nove anni, un pacchetto di Smarties in mano e una fame di parole mai soddisfatta.
“Roba da maschi”… avevo pensato sfogliando le pagine in bianco e nero de L’Agente Segreto, ma non era il caso di fare tanto la schizzinosa.
Un attimo dopo ero dentro la storia. La tua. E da lì, credo di non essere uscita più.
Certo, conoscevo da tempo il tuo mestiere e quelle che, con orgoglio petulante di bambina, snocciolavo ai curiosi, erano più che altro nozioni imparate a memoria… istruzioni per l’uso, che servivano a togliermi dagli impicci e a spiegare quale fosse la tua professione, ché non era mica facile come dire “mio papà fa il dottore”.
No, nient’affatto. Ogni volta che sussurravo timida “disegna fumetti”, venivo puntualmente travolta da una valanga di domande, cui spesso era difficile dare risposta. Così, avevo imparato a destreggiarmi usando un vocabolario più tecnico e una punta di malizia.
La parola sceneggiatura, per esempio, a sei anni faceva un po’ paura, però riempiva la bocca e soprattutto mi regalava la soddisfazione di vedere gli occhi sgranati della maestra: finalmente potevo sorprenderla con qualcosa che non conosceva!
Qualche anno più tardi provai anche con cartoonist e lettering, ma questa è un’altra storia.
Quel giorno, dicevo, fu diverso.
Per la prima volta mi rendevo conto che da anni, molti più di quelli che avevo io, tu parlavi a una moltitudine di ragazzini come me e raccontavi loro avventure incredibili, disegnando sogni carichi di libertà e luoghi lontani densi di suggestione.
Quel giorno, scoprivo che la forma della fantasia era una nuvola di carta tratteggiata con l’inchiostro di china.
Ma non mi bastava.
Non ancora.
Dopo quella scoperta, volli sapere come era potuto accadere e con tutto l’entusiasmo che mi apparteneva corsi nel tuo studio per interrogarti.
“Davvero lo hai fatto tu questo?” mentre ti sventolavo incredula sotto il naso il motivo della mia nuova inquietudine.
Perché un conto era vederti dietro la scrivania a disegnare su tavole sparse mentre ascoltavi la musica, un altro era ritrovare quegli stessi disegni ordinatamente impaginati e rilegati in un formato pronto per essere mandato in edicola. Senza contare poi, che adesso, lì dentro, i tuoi personaggi parlavano, agivano, combattevano.
Vivevano.
“No, non io da solo, l’ho fatto insieme a Piero e a Gianni.”
Questa fu la seconda formidabile sorpresa di quel giorno. Avevi dei complici ed erano proprio loro: i tuoi amici più cari. Eravate
in tre, dunque, come i personaggi della storia che tenevo tra le mani!
Da lì, ad immaginarvi con il berretto da Trapper calato sulla fronte, il passo fu breve.
Crescendo, ebbi modo di apprezzare la vostra intesa professionale, ma per me siete rimasti gli eroi che avevo scoperto grazie all’Agente Segreto.
Ammiravo quella sorta di affinità elettiva che vi rendeva capaci di reciproca comprensione, di affiatamento e rispetto. Trovavo strabiliante il modo che avevate di comunicare e di collaborare senza spreco di parole o di gesti. Riuscivate a capirvi con pochi tratti marcati e decisi, gli stessi che avete adoperato
per una vita nelle vostre pagine in bianco e nero.
Del resto lo hai detto tu stesso molti anni dopo:
“Quarant’anni di collaborazione, di lavoro assiduo, alle volte faticoso, ma anche soddisfacente per i risultati, quarant’anni di questa convivenza a tre, dove ognuno, pur rimanendo se stesso, si era abituato a pensare all’unisono con gli altri due, hanno lasciato in me un segno profondo.
“Non esistevano problemi miei, oppure di Piero o di Gianni, ma problemi nostri. Ora che sono rimasto solo, mi sento vivo solo per un terzo e non solo per quel che riguarda il lavoro!”
[Dario Guzzon – dall’inserto speciale di Fumetto n. 12 -1994]
Mi piaceva guardarvi disegnare.
Subivo il fascino ipnotico della matita che, come per incanto, dal nulla creava le forme dei vostri personaggi.
Da allora, quella gioia infantile e quella meraviglia non hanno più smesso di attraversarmi e di proiettarmi nel mondo sorprendente dell’immaginazione. E succede così ancora oggi, quando magicamente vedo apparire sulla carta il tratto riflesso di un pensiero illustrato.
Naturalmente, guardavo soprattutto te che lavoravi la maggior parte del tempo in casa, ma qualche volta capitavo nel vostro ufficio con una scusa qualunque perché mi piaceva restare lì con voi in silenzio, mentre lavoravate tutte e tre assieme. Trasmettevate un senso si sicurezza e grande sintonia. Era un po’ come entrare dentro a Forte Ontario: le Giubbe Rosse restavano fuori e voi progettavate con strategia meticolosa la prossima avventura.
Di quei momenti, mi resta il quadro della diligenza sospeso alla parete dei ricordi, l’odore di fumo delle vostre sigarette sempre accese e boccettine di china sparse tra pennini e pennelli.
Di Gianni custodisco gelosa un ritratto che ti fece quando avevi poco più di vent’anni. Dicevi che lui era un abile caricaturista, ma che aveva smesso da tempo perché con quel genere si era fatto troppi nemici. Però vedi… non era vero: tu e lui siete rimasti uniti fino alla fine.
Come con Piero, del quale conservo l’accendino e il sorriso. Me li regalò entrambi quella volta che lo aiutai con una sceneggiatura. Sì, proprio quella che faceva paura, perché tu eri in ospedale e lui, rimasto improvvisamente da solo e preoccupato per la tua salute, temeva di non riuscire a stare nei tempi. Non credo che il mio apporto a quella storia sia stato rilevante, però lui smise di fumare, tu ritornasti a casa guarito e io ero finalmente riuscita ad esorcizzare la parola.
Quello che conservo di te è tanto, a volte persino troppo, ma ci sono tre cose che da quel giorno ho portato con me come equipaggiamento per affrontare la vita da autentico Trapper: il senso vero dell’amicizia, l’idea che vale sempre la pena lottare per una causa di libertà e giustizia e, soprattutto, la consapevolezza del potere pieno della fantasia.
A tutti e tre devo molto per quello che mi avete trasmesso.
Ma a te, di più.
Laura Guzzon
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Concludendo questo post, tra le immagini dei leggendari personaggi della EsseGesse che costellano le parole di Laura, ecco un esempio dell’opera di ricostruzione compiuta da Graziano Origa, in occasione della riproposizione filologica delle storie di Capitan Miki e del Grande Blek per le Edizioni IF di Milano.