Purtroppo, oltre agli artisti del mondo del fumetto se ne vanno anche quelli della musica leggera, ed a volte troppo presto.
Ciao Marisa!
Queste le parole del nostro amico Roy Felmang, qui con Marisa Sannia, scomparsa due giorni fa improvvisamente.
Nata a Cagliari il 15 febbraio 1947, dopo essere stata una giocatrice di basket, Marisa Sannia aveva iniziato la sua carriera musicale nei primi anni Sessanta vincendo un concorso per voci nuove, che le aveva permesso di ottenere un contratto discografico con la Fonit Cetra.
Chi segue, come noi, l’ambiente dello spettacolo, del varietà televisivo e del cinema popolare, conosce (anche per averle viste in replica più volte, nel cuore della notte degli scorsi decenni) trasmissioni televisive leggendarie come Scala reale con Peppino De Filippo, o la Settevoci di Paolini e Silvestri (papà di Daniele), dove Marisa aveva cantato canzoni scritte da Sergio Endrigo, che l’aveva scoperta e che aveva addirittura prodotto il suo 45 giri d’esordio Tutto o niente.
Anche in memoria di questo rapporto di stima, nel 2002 Marisa partecipò a Canzoni per te, disco inciso in onore di Endrigo, intepretando Mani bucate.
La ricerca poetica e musicale di Marisa era sfociata in anni recenti nel recital Canzoni tra due lingue sul cammino della poesia, come anche nell’ultimo suo lavoro, realizzato ormai lontano dal grosso pubblico, Rosa de papel, dedicato alla vita e alla poesia di Federico Garcìa Lorca.
Oggi ricordo Marisa con una sua foto dell’anno (di grazia) 1968, anno in cui il brano Casa bianca (anche) da lei interpretato, scritto da Don Backy con musica di La Valle, si classificò secondo al XVIII Festival della Canzone Italiana di Sanremo.
Clikkando sul titolo, si può visionare il video dell’interpretazione di Marisa quell’anno, al festival, con un giovane Pippo Baudo sottotitolato per qualche popolo misterioso.
L’immagine d’epoca di Marisa Sannia con scheda biografica a lato è ricavata dalle figurine Panini dei cantanti, tratta dall’album del 1969 della collana Le grandi raccolte per la gioventù, la n. 4.
In chiusura, le copertine di due album; quello in cui canta le canzoni di Endrigo e un altro, che la ritrae con un sorriso di fresca giovinezza (per dirla con Nino Salvaneschi) che risale però agli anni in cui la sue stella si era offuscata, prima del furibondo revival che avrebbe investito le radio private (le quali potevano contare sulle scorte di 45 giri gracchianti accumulate in famiglia) e dei “favolosi anni Sessanta”, risciacquati da Gianni Minà e Red Ronnie (ognuno per suo conto) nella congiuntura dell’edonismo reaganiano e della Milano da scolare (glu, glu, fino all’ultima goccia).