L’amico Carlo Bartolini ci ha inviato un sentito reportage su una serata anticlericale di qualche giorno fa: la performance di Daniele Caluri e Federico Sardelli al Circolo Ho-Chi-Min di Porta al Borgo.
Eccolo!
(Poi inseriremo qualche immagine in più…)
Il locale, angusto ed alquanto mal-
messo, emanava stantii effluvi di anonime serate trascorse a tra-
cannar gotti di vino della peggior specie. Il “bar de’ bria’i”: lo ricor-
diamo ancor oggi così, quando pas-
sandogli davanti, necessariamente in due, sul precario equilibrio di una sciagattata bici-
cletta (ché de’ motorini d’oggi non sognavamo neppure il colore sfumato) venivamo avvolti dall’acuto odore di forti mosti nostrani. Quella mescita di Porta al Borgo, quartiere povero ma nobile al pari dell’ancor più sciagurato Porta San Marco, testimoniava in quegli anni miseri ma felici dell’immediato dopoguerra la pistoiesità più vera di personaggi che pregnano ancor oggi, indelebile, il nostro ricordo d’allora bambini. Superavamo quella bolla d’aria stagnante che si infilava in gola anche nelle più ventose giornate d’inverno, pensando alle note figure che, lì dentro, trascorrevano le giornate davanti all’immancabile “quartino”, sempre pronto ad esser rabboccato col prezioso nettare.
Venerdì 19 ottobre, sera. E Federico è tornato…
In tutto c’è sempre una prima volta e, così, ho varcato quella “storica” soglia ancora immaginando, raccolto in un angolo a vergar poesie (nessuno saprà mai se con quelle si procurasse il vino o se fosse quest’ultimo a fargli scrivere, di getto, quei versi di popolar saggezza) il “Remo” di antica memoria, emblema della pistoiesità più autentica.
La bettola è ormai dissolta, trasformata com’è, in un moderno circolo-ritrovo-politico-cultural-alternativo e Federico lo scorgo solo al tirar d’una tenda, alquanto sdrucita, in fondo al locale.
La chioma, vaporosa nei lunghi riccioli svolazzanti, mi appare da dietro, mossa appena, nel nobile chinarsi sull’addentar qualcosa poco prima carpito sullo scarno tavolaccio che gli sta davanti. Lo tocco leggero sulle spalle conscio di quanto, quel gesto, possa essere periglioso in un simile momento, ma tutto va bene e, uniti nel caloroso abbraccio di un’antica amicizia svezzata nel ricordo di mendaci gitarelle estive, ci scambiamo notizie dei nostri cari e dei fraterni, insostituibili “sodali”.
A rinfrancarci, nell’estraneità comune di quel luogo, arrivano, ospiti previste, la cordialità di Luca (Boschi) e la simpatia di Daniele (Caluri), “gancio” occasionale, saprò poi, di quest’atipico evento.
La piccola folla, variegata nell’età e nelle fogge, è assiepata ormai da un pezzo intorno a Daniele e Federico che, sapienti anfitrioni, ne sollecitano alte le risate e scoscianti gli applausi mentre Luca ed io, in un angolo raccolti, facciamo, come tutti gli astanti, degna cornice a cotanto saper.
Venerdì 19 ottobre, notte. E Federico è tornato…
Il loro soave declamare nello striminzito stanzino (fin troppo affollato) è da poco terminato.
Attorcigliato intorno ai lunghi capelli rasta che gli coprono la schiena, un ragazzone alto, magro e barbuto, dispone in precari equilibri su un tavolo i numerosi bicchieri che giacciono abbandonati a riversar sul pavimento colorati avanzi di esuberanti superalcolici, mentre un chiassoso vociar di incomprensibili brindisi riecheggia e continuamente si rinnova nelle stanze vicine.
Musiche chiassose rimbalzano sconosciuti ritmi moderni sulle mura foderate di consunti manifesti dai quali osservano, stralunate e perplesse, le facce degli eroi di rivoluzioni storiche e gloriose lotte di classe. In una stanzetta attigua, inventato, rimbomba il concerto di un bongo, un clarinetto, una chitarra ed un contrabbasso mentre altri giovani, purtroppo indifferenti ad ogni appello di restare sobri, continuano a vagare, traballanti nei gesti ed incerti sulle ginocchia, sussurrando improbabili monologhi all’appannata bottiglietta di birra ghiacciata che stringono nella mano.
Federico e Daniele, piegati nei loro angoli, improvvisano disegni che esaudiscono il recondito sogno di sparuti ammiratori desiderosi di portare a casa l’agognato fumetto del Vernacoliere mentre bicchieri vuoti li circondano, tristi, nel loro contenuto di stantie scorze di limone e gocciolanti cubetti di ghiaccio.
È tardi e quando penso di andar via, pesanti anfibi slacciati, continuano a vergare il pavimento col loro ritmo lento e strascicato; Luca, complici inderogabili prefazioni da consegnare la mattina seguente, mi ha già preceduto da un pezzo. Decido di uscire ma, sulla porta, una ragazza barcollante e, ahimè, assente nel suo aspetto emaciato e fin troppo pallido di novella Morticia, sta chiedendo a Federico chi lui sia, da dove venga e cosa faccia lì. Un piercing le trapassa il labbro inferiore mentre il brillantino sul naso sfida, lezioso e saccente, gli innumerevoli anellini ordinatamente disposti ad ornarle gli orecchi.
La notte festaiola ha ormai raggiunto il suo culmine quando il mio abbraccio con Daniele è amichevole e cordiale. Quello con Federico, invece, viene più da lontano…
Esco, e nella notte buia mi inghiottono, spalancate, le fauci della stretta viuzza su cui si affaccia quel locale che non mi appartiene.
Sabato 20 ottobre, tarda mattinata.
La piccola astronave sorvola leggera la città silenziosa. La cupola, il campanile ed i tetti di Pistoia sono ormai definitivamente ricoperti della maledetta coltre rossa che da giorni cade incessante. Il replicante Roy Batty, ai comandi accanto a me, ha il volto di Rutger Hauer e mentre una colomba sbatte le ali, prendendo il volo nella densa nube rossa sotto di noi, dice: “Io ne ho viste di cose che voi umani non potete immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione… e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime in questa… neve rossa.”
Guardo di nuovo l’impalpabile distesa vermiglia.
“Ooohhhhh… ma è l’ora di alzarsi o no?!” la voce, familiare ma sfer-
zante urla, alto, tutto il suo irri-
tato disappunto. Mi sveglio di soprassalto, corro alla finestra e tiro un sospiro di sollievo. È una bella mattinata di metà ottobre, niente neve (perdipiù rossa) e, allora… in culo a Blade Runner ed alla sua dannata navicella spa-
ziale!… e comunque accidenti anche ai fegatelli ed alle salcicce coi fagioli di ieri sera!
Sabato 20 ottobre, pomeriggio.
Esasperate, le spazzole del ter-
gicristallo impazziscono per scacciare il turbinio fitto e irrefrenabile dell’improvvisa tempesta di neve mentre la ventola, dalle bocchette sul cruscotto, soffia potenti getti d’aria calda che a mala pena riescono a dissolvere il denso velo, umido sul vetro.
Come ogni sabato pomeriggio sono tornato in quella casa delle Piastre da cui adesso sto scappando, veloce, per sfuggire a questa indesiderata nevicata del caz…!
Ripenso al “bar de’ bria’i”, a Luca, a Daniele. A Federico, acc…! Che combinazione, siamo appena in ottobre e… porca miseria, nevica già!
Mi torna in mente la coltre rossa del sogno e, furtivo, tocco i preziosi “gioielli” che Madre Natura mi ha attaccato fra le gambe. La paura mi assale di nuovo e spero solo che Federico non attenda altrettanto pri-
ma di tornare a Pistoia… Se tanto, mi dà tanto… il presagio che quella soffice “neve rossa” possa tra-
sformarsi in un pericolo reale, il giorno dopo la sua venuta (chissà quando?!), è davvero incombente.
Mi tocco di nuovo, ma un “paccone” tremendo, magistralmente sferrato dal sedile posteriore arriva, improvviso e spietato, ad interrompere quel mio carezzevole gesto scaramantico.
Ammutolisco e, imbarazzato, filo via verso casa…
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POST SCRIPTUM (di Luca): La penultima foto (quella prima di Megan Gale) vede il musicista Sardelli con il grande compositore Chéche, in una performance vernacolare a Montenero, durante una pregevole cenetta.