ADDIO A CARLOTTA, LA PASIONARIA!

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Nella foto, Carlotta è la ragazzina a destra, chiamata da papà Giovannino Oliviero Giuseppe (Guareschi) “La Pasionaria“.

Ne parlavo due giorni fa con un bambino che non conosco (anzi, la citava lui), e al quale i suoi genitori stanno leggendo, saggiamente, il libro che Carletto Manzoni prefece raccogliendo gli articoli sparpagliati da Guareschi sulle pagine del Candido per racimolare dei denari, quando Giovannino scontava la galera con una stupida accusa di diffamazione per aver pubblicato delle lettere di Alcide De Gasperi che riteneva autentiche (e che forse lo erano) ma che il De Gasperi aveva ritenuto diffamanti e giurato che fossero apocrife.
Anche se le perizie calligrafiche, be’… indicavano che alla fine… sembra proprio fossero dell’ex fondatore del Partito Popolare.

Questo bambino, lettore di UACK! e di Barks, parlava gioiosamente della Pasionaria e né io né lui sapevamo che fosse appena scomparsa, e che quello era stato il giorno del suo funerale.

Tornando a De Gasperi, va sottolineato che in tribunale la perizia calligrafica avanzata dalla difesa sulle due lettere non venne mai ammessa.
Invece, nel 1956, nel corso del processo intentato in contumacia contro il tizio che aveva fornito a Guareschi ‘ste due lettere, tal Enrico De Toma, un “arnese” già sottotenente della Guardia nazionale repubblicana ai tempi della malefica Repubblica di Salò, il tribunale di Milano affidò a un collegio di tre periti l’esame delle due lettere negato due anni prima a Guareschi.
La conclusione di questo collegio, davvero sorprendente, fu che «non esistevano prove tali da stabilire inequivocabilmente la falsità delle lettere».

E quindi?
Sul contenuto delle lettere infamanti si può leggere qui.

Carlotta aveva conosciuto suo padre Giovannino solo a due anni, perché nata mentre lui era nei campi di internamento allestiti dai nazisti per i militari italiani che, dopo l’8 settembre 1943, non avevano continuato a compiere barbarie con i nazisti hitleriani e i fascisti mussoliniani della Repubblica di Salò.
Più volte a Guareschi era stato rivolto l’invito di tornare a casa, a patto, però, di mettersi a disposizione delle criminali autorità naziste. Giovannino aveva rifiutato questa offerta apparentemente vantaggiosa, che invece altri, più opportunisti e sicuramente infami, avrebbero colto al volo.

Paperoavventure

Quando nel 1954 Guareschi scontava questa scandalosa pena, degna del Paese verdiniano nel quale viveva e viviamo ancora oggi tutti noi, uscivano in libreria i racconti del Corrierino delle famiglie, dove si cita anche il Paperino di Carl Barks, le Paperoavventure, di cui Albertino si rifornisce alle edicole disinteressandosi dalla vita della famiglia e da quanto lo circonda.

Qui c’è un assaggio del libro, compresa l’introduzione di Manzoni.

Tre Guareschi

Il saluto di Alberto Guareschi a Carlotta:

“Oggi ha concluso serenamente il suo percorso terreno mia sorella Carlotta riunendosi in cielo ai nostri genitori. Sposa, madre e nonna ammirevole, ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia, alle persone che la circondavano e alla cura della memoria di nostro padre. Sono certo che la “Pasionaria” sia già tra le braccia di Giovannino e Margherita”. Roncole Verdi, 25 ottobre 2015

Carlotta Guareschijpg

Nella foto (che riprendo da questo sito, il © è dell’avente diritto) Carlotta Guareschi è immortalata l’anno scorso, nell’atto di ritirare in prefettura, a Parma, la medaglia d’oro conferita al padre Giovannino, deportato per due anni dal 1943 al 1945 in quattro consecutivi lager nazisti.

Di questa terribile esperienza, il papà di Don Camillo scrive in Diario clandestino e nella Favola di Natale, due importanti libri che Cartoonist Globale consiglia di leggere, liberandoci/vi dai pregiudizi ideologici, altrettanto imbecilli quanto la causa intentata da De Gasperi, che hanno impedito a molti della nostra generazione di apprezzare l’umorismo di un Grande della letteratura italiana.

Per chiudere, un racconto del padre in cui si parla della Pasionaria.

“Fu a Natale, nel ’47”, da Lo Zibaldino, 1948

(…) Forse Margherita ha ragione quando dice che occorre la maniera forte coi bambini: il guaio è che, a poco a poco, usando e abusando della maniera forte, in casa mia si lavora soltanto con le note sopra il rigo. La tonalità, anche nei più comuni scambi verbali, viene portata ad altezze vertiginose e non si parla più, si urla. Ciò è contrario allo stile del “vero signore”, ma quando Margherita mi chiede dalla cucina che ore sono, c’è la comodità che io non debbo disturbarmi a rispondere perché l’inquilino del piano di sopra si affaccia alla finestra e urla che sono le sei o le dieci.
Margherita, una sera del mese scorso, stava ripassando la tavola pitagorica ad Albertino, e Albertino s’era impuntato sul sette per otto.

«Sette per otto?» cominciò a chiedere Margherita. E, dopo sei volte che Margherita aveva chiesto quanto faceva sette per otto, sentii suonare alla porta di casa. Andai ad aprire e mi trovai davanti il viso congestionato dell’inquilino del quinto piano (io sto al secondo).

«Cinquantasei!» esclamò con odio l’inquilino del quinto piano.
Rincasando, un giorno del dicembre scorso, la portinaia si sporse dall’uscio della portineria e mi disse sarcastica: «È Natale. è Natale — è la festa dei bambini — è un emporio generale — di trastulli e zuccherini!».

“Ecco” dissi tra me “Margherita deve aver cominciato a insegnare la poesia di Natale ai bambini.”
Arrivato davanti alla porta di casa mia, sentii appunto la voce di Margherita: «È Natale, è Natale — è la festa dei bambini!…».
«È la festa dei cretini» rispose calma la Pasionaria. Poi sentii urla miste e mi decisi a suonare il campanello.

Sei giorni dopo, il salumaio quando mi vide passare mi fermò.
«Strano» disse «una bambina così sveglia che non riesce a imparare una poesia così semplice. La sanno tutti, oramai, della casa, meno che lei.»
«In fondo non ha torto se non la vuole imparare» osservò gravemente il lattaio sopravvenendo.
«È una poesia piuttosto leggerina. È molto migliore quella del maschietto: “O Angeli del Cielo — che in questa notte santa — stendete d’oro un velo — sulla natura in festa…”.»
«Non è così» interruppe il garzone del fruttivendolo. « “o Angeli del Cielo — che in questa notte santa — stendete d’oro un velo — sul popolo che canta…”» Nacque una discussione alla quale partecipò anche il carbonaio, e io mi allontanai. Arrivato alla prima rampa di scale sentii l’urlo di Margherita:
«”… che nelle notti sante — stendete d’oro un velo – sul popolo festante”».
Due giorni prima della vigilia, venne a cercarmi un signore di media età molto dignitoso.
«Abito nell’appartamento di fronte alla sua cucina» spiegò. «Ho un sistema nervoso molto sensibile, mi comprenda. Sono tre settimane che io sento urlare dalla mattina alla sera: “È Natale, è Natale — è la festa dei bambini — è un emporio generale — di trastulli e zuccherini”. Si vede che è un tipo di poesia non adatto al temperamento artistico della bambina e per questo non riesce a impararla. Ma ciò è secondario; il fatto è che io non resisto più: ho bisogno che lei mi dica anche le altre quartine. Io mi trovo nella condizione di un assetato che, da quindici giorni, per cento volte al giorno, sente appressarsi alla bocca un bicchiere colmo d’acqua. Quando sta per tuffarvi le labbra, ecco che il bicchiere si allontana. Se c’è da pagare pago, ma mi aiuti.»

Trovai il foglio sulla scrivania della Pasionaria.

Il signore si gettò avidamente sul foglio: poi copiò le altre quattro quartine e se ne andò felice.

«Lei mi salva la vita» disse sorridendo.
La sera della vigilia di Natale passai dal fornaio, e il brav’uomo sospirò.
«È un pasticcio» disse. «Siamo ancora all’emporio generale. La bambina non riesce a impararla, questa benedetta poesia. Non so come se la caverà stasera. Ad ogni modo è finita!» si rallegrò.

Margherita, la sera della vigilia, era triste e sconsolata.
Ci ponemmo a tavola, io trovai le regolamentari letterine sotto il piatto. Poi venne il momento solenne.
«Credo che Albertino debba dirti qualcosa» mi comunicò Margherita.
Albertino non fece neanche in tempo a cominciare i convenevoli di ogni bimbo timido: la Pasioraria era già ritta in piedi sulla sua sedia e già aveva attaccato decisamente: «”O Angeli del Cielo — che in questa notte santa stendete d’oro un velo — sul popolo festante…”».

Attaccò decisa, attaccò proditoriamente, biecamente, vilmente, e recitò, tutta d’un fiato, la poesia di Albertino.
«È la mia!» singhiozzò l’infelice correndo a nascondersi nella camera da letto.
Margherita, che era rimasta sgomenta, si riscosse, si protese sulla tavola verso la Pasionaria e la guardò negli occhi.
«Caina!» urlò Margherita.
Ma la Pasionaria non si scompose e sostenne quello sguardo. E aveva solo quattro anni, ma c’erano in lei Lucrezia Borgia, la madre dei Gracchi, Ma-fa Hari, George Sand, la Dubarry, il ratto delle Sabine e le sorelle Karamazoff.
Intanto Abele, dopo averci ripensato sopra, aveva cessata l’agitazione. Rientrò Albertino, fece l’inchino e declamò tutta la poesia che avrebbe dovuto imparare la Pasionaria.
Margherita allora si mise a piangere e disse che quei due bambini erano la sua consolazione.

La mattina un sacco di gente venne a felicitarsi, e tutti assicurarono che colpi di scena così non ne avevano mai visti neanche nei più celebri romanzi gialli.