VITA AL TEMPO DEI GIORNALINI, di Pier Luigi Gaspa (prima parte)

Tex-il-lago-scarlatto Ricordo ancora oggi perfettamente quello che considero il primo fumetto della mia vita.

Probabilmente non lo fu in senso assoluto, ma la sua lettura mi colpì profondamente, tanto da rimanere impresso nella memoria come una sorta di primo decino di Zio Paperone. Non rammento la data esatta, e non sono mai andato a ricercarla. Non aveva e non ha nessuna importanza. E il fumetto, o meglio, il giornalino, come li chiamavamo all’epoca, era un albo di Tex, il numero 54, Il lago scarlatto.

È stato una sorta di colpo di fulmine di in vero imprinting, degno di quelli dell’etologo Konrad Lorenz, segnando i miei gusti in fatto di storie disegnate. Paragonabile soltanto a quello del Gordon di Alex Raymond pubblicato dai Fratelli Spada.

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Oltre tutto, guarda la coincidenza, univa anche il mio precoce interesse per il fantastico e la fantascienza, con questo misterioso meteorite piombato in un lago dell’Ovest americano, scatenando una serie di av-venture e di colpi di scena, nella migliore tradizione del suo autore, quel G. L. Bonelli di cui si leggeva nel frontespizio e che per me ragazzino poco allora significava.

A comprarmelo fu mio padre.
Lui era un lettore della prima ora di Tex Willer, che per tutta la vita si è sempre ostinato a chiamare “Tecas” (e non era il solo), storpiando quella “x” di cui non conosceva la pronuncia esatta.

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Teneva tutti gli albetti a striscia nella cantina della casa dei genitori, insieme ad annate del Corriere dello Sport e di Selezione, le uniche letture di ragazzo del ’31, provvisto solo di licenza di terza elementare… ma Tex, anzi, “Tecas”, era Tex! Da allora non ho praticamente mai smesso di leggerlo, e da ragazzo ho copiato innumerevoli disegni di Galleppini, nel tentativo di strappargli il segreto di quel dise-gno apparentemente scarno eppure così efficace.

Tex_nuova_ristampa_100 Me lo prese nell’unico luogo del nuovo quartiere nel quale ero andato a vivere da poco in cui si potevano comprare giornali e giornalini, la tabaccheria del signor Renzo; una vera e propria istituzione, insieme a pochissime altre, del luogo.

Perché in quel periodo tutto il nostro mondo era il quartiere in cui vivevamo. Un quartiere isolato dal corpo centrale della città, separato da circa un chilometro di strada, l’unica che lo collegasse al resto della città. Una separazione non solo geografica, ma anche culturale. Il nuovo quartiere era ancora minu-scolo. Una manciata di palazzi e di villette nuove di zecca e una serie di famiglie e di personaggi raccatta-ti qua e là dalla città e dalla campagna. Pochi negozi, uno o due fruttivendoli, un paio di alimentari… e appunto la tabaccheria del signor Renzo, come lo chiamavamo familiarmente tutti.

Gelato_Mercury_Toseroni In realtà, più di una tabaccheria era un vero emporio. Insieme alla moglie Maria, il signor Renzo vendeva ovviamente tabacchi ma anche bevande (vino, birra, Coca Cola e Fanta e così via), piccoli giocattoli e dolciumi, riviste e piccola paccottiglia varia. Si trovava inizialmente al pianterreno del terzo dei palazzi che costeggiavano il viale principale del nuovo agglomerato.

Il locale non era molto ampio, copriva a malapena lo spazio di tre serrande metalliche blu che ogni mattina il signor Renzo sollevava per dare inizio alla sua giornata di lavoro. L’ingresso era situato in quella centrale e si entrava attraverso una porta a vetri a due battenti, di cui uno era normalmente chiuso. Il bancone formava una L rovesciata, con la base di fronte all’ingresso e l’asta lungo il lato destro del negozio. Sulla destra appunto stava anche il grande frigo che custodiva le bevande in vendita e. d’estate, i gelati Toseroni, mentre di fronte, a destra e sinistra della “postazione” del venditore stava una serie di scomparti in vetro dai quali si scorgevano piccoli giocattoli, caramelle e altre varie amenità.

Dietro di lui stava lo scaffale per le sigarette e sulla si-nistra, spesso nascosti da qualche stelo con sopra altre mercanzie, stavano i due lunghi scaffali che costi-tuivano l’edicola. L’unica del quartiere. Così sarebbe rimasto per almeno tre decenni, garantendo alla fa-miglia Muglia una redditizia esclusiva nella zona. Chi avesse voluto dell’altro, sarebbe dovuto andare fino in città.

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Ripensando alle pubblicazioni che si potevano ritrovare in quella minuscola e poco fornita edicola, i nomi che tornano immediatamente alla memoria sono quelli più comuni. Naturalmente Tex, con Zagor, Il Comandante Mark, Il Piccolo Ranger. C’era poi Topolino. C’erano l’intrepido e il Monello. Più tardi apparvero anche i fotoromanzi della Lancio.

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E c’erano anche personaggi che sarebbero ormai dimenticati se le Edizioni If di Gianni Bono non li riproponessero in edicola proprio oggi, quel Blek Macigno e quel Capitan Miki che a quel tempo erano i veri campioni di vendite, e che tutti leggevamo comunque avidamente.

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Altre pubblicazioni, per quanto mi sforzi di ricordare erano invece, e purtroppo, decisamente assenti.
Una per tutte, il Corriere dei Piccoli (che ricordo di aver visto una volta in mano a uno dei ragazzi che vivevano al piano inferiore, con i suoi Puffi di Pejo tutti blu e dall’inconfondibile berretto bianco.

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La sua assenza era anche comprensibile: si rivolgeva ai bambini della media borghesia e non poteva attrarre i figli del ceto popolare sicuramente meno colti e istruiti, in cerca di emozioni più semplici e forti, che invece si servivano da Renzo.
Io conobbi il Corriere dei Ragazzi, nato come evoluzione del Corriere, dei Piccoli soltanto nel 1975, perché lo comperava un amico e compagno di ginnasio, figlio di insegnante e funzionario di banca. Appunto. Io, figlio di operaio avevo invece fino a quel momento letto Intrepido e Il monello, decisamente più in sintonia con l’ambiente. Il Corriere dei ragazzi divenne in seguito un must, e ancora oggi, a oltre trent’anni dalla sua scomparsa, viene ricordato come una delle migliori riviste italiane a fumetti di tutti i tempi.

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Ma in quella seconda metà degli anni Sessanta, altri fenomeni editoriali, decisamente più popolari stavano invadendo l’edicola del baffuto e stempiato signor Renzo. Sulle orme del nero Diabolik, era apparsa a stretto giro di posta una pletora di epigoni: Kriminal e Satanik, Sadik, Zakimort e via kappeggiando, che avrebbero dato il via a una felice stagione del fumetto tascabile. A questi, nel 1966 si erano unite Isabella e Jungla, seguite da una pletora quasi infinita di altre testate che inaugurava il fumetto per adulti.

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I tempi non erano certamente quelli di oggi, e la loro comparsa fece scalpore e scandalo. Ma ebbe anche un successo clamoroso.

Da lettore onnivoro (mia madre leggeva Grand Hotel e io mi pappavo pure quello, almeno per la parte di cronaca e di fiction, leggi fotoromanzi), pur con le mie predilezioni, leggevo praticamente di tutto. Bastava che fossero carta stampata.

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Messalini Una mole impressionante di letture, anche perché il tempo non ci mancava e quello da dedicare alla lettura di libri e giornalini era parecchio.

Allora i bambini non erano superimpegnati come adesso, fra scuola, corso di questo o di quello, attività sportiva e tutto il resto, e una volta terminati i compiti il tempo a disposizione era tanto.

Se poi si aggiunge che la televisione aveva un solo canale, che c’era solo La TV dei ragazzi e poco altro e che le trasmissioni coprivano solo una mi-nima parte della giornata, si comprende come per noi maschietti, a parte giocare a pallone non rimanesse molto d’altro da fare.

Almeno per chi amava leggere.

(fine della prima parte)