In attesa dei post sul 25 aprile, data da stra-festeggiare, anche perché sempre più ripetutamente attaccata dai ferventi nostalgici del nazifascismo (anche se si vergognano un po’ – benché non sempre – di dichiararlo apertamente, in quanto comportamento sanzionabile in base alla Costituzione Italiana) torniamo su un argomento che ci ha coinvolto e addolorato nei giorni scorsi.
Vale a dire la scomparsa del narratore Luis Sepúlveda, ricordato come segue dall’amico Carlo Bartolini.
.
Dice Carlo, che apre il post in compagnia del grande umorista Alberto Fremura, in una foto scattata da Francesco Dotti:
Anche Luis Sepúlveda, che avevo incrociato sul cammino del “Campionato della Bugìa”, se ne è andato per sempre e adesso lo immagino nei grandi “Pascoli del Sodalizio”, dove tutto è eterno e infinito.
Federico una volta mi ha detto “Non dubitare, una buona storia da raccontare noi ce l’abbiamo davvero…” e così “La Nazione” di ieri ha pubblicato il mio ricordo (che vi allego) di quando, il 19 gennaio 2004, in un cinema pistoiese ora tristemente abbandonato, donammo allo scrittore cileno (con una nonna livornese… lo sapevate?) quel prezioso simbolo riservato solo agli eletti: il Bugiardino d’argento.
Di quel gesto sono oltremodo orgoglioso perché anticipammo anche la Regione Toscana che, nel 2013, gli assegnò l’ambito Pegaso d’Oro. Ma noi lo sappiamo bene, in quegli anni volavamo davvero alto e incrociavamo grandi personaggi dell’umorismo e della cultura perché… “La Bugìa del Baluganti era sempre un passo avanti!”.
Grazie a La Nazione per questo servizio, e alla sua simpatica estens(t)rice!
.
.
Qui sopra un antico brano con Spike Jones e compagnia femminea che ci ricorda, a suo modo,lo spirito dell’indimenticato Festival della Bugìa.
.
Tornando all’argomento di apertura, commenta Francesco Guccini (in un articolo di Luca Bortolotti tratto da La Repubblica – Edizione di Bologna del 21/04/2020):
«Allora si lottava per campare, per un tozzo di pane, ora si litiga al supermercato per il lievito per farsi la pizza. Magari ora non stai vedendo amici o parenti da un mese, allora erano passati anni, chi si era allontanato era stato a combattere e non chiuso in casa. Nel ’45 il 25 aprile rappresentò una gioia più intensa, un sollievo enorme, e per questo la prima cosa che volevi fare era ballare. Quando sento il termine “pieni poteri”, di cui parlò salvini (il minuscolo è della Redazione) un anno fa e che ha preso ora Orban in Ungheria, ricordo che in Italia per liberarci di uno così ci abbiamo messo vent’anni».
Tra l’altro, trovo questa foto (sotto), di un cartello affisso a un’edicola che compie una sacrosanta scelta di campo. Bene!