Inutile cominciare con la solita manfrina, ma va così: impegni personali e di lavoro nel Globo terracqueo e dintorni, satelliti compresi, mi conducono sempre più lontano da questo blog e da Internet in generale, quindi ne risentono in modo irreversibile le segnalazioni di libri, mostre, iniziative assortite degne di menzione, che – comunque – si spera vengano adeguatamente coperte da altri organi informativi.
Sul momento, e ancora per parecchi mesi (e ormai da anni) la carta è il veicolo privilegiato al quale il “tenutario” di Cartoonist Globale affida i suoi scritti eccetera, come testimoniano i circa centocinquanta “pezzi” (soprattutto libri, ma anche periodici) pubblicati nel giro dello scorso anno, ristampe e traduzioni estere escluse.
Almeno di una appena uscita in Germania, in un sontuoso volume, vorrei parlare, ma invece no: questo volumone della Egmont può attendere ancora, data la difficoltà di reperirlo in Italia. Merita invece tutta l’attenzione prenatalizia possibile (nel senso che potrebbe essere un perfetto dono da fumettofili) quello che probabilmente si segnala come il libro più importante dell’anno, almeno rispetto alla saggistica sui fumetti (e non solo), oltretutto stralegato a tripla fune alla nostra simpatica, malgovernata Penisola.
Riguarda l’eccezionale, superlativo scrittore e sceneggiatore Mino Milani.
Insomma: ecco qui Come è bella l’avventura (volume pubblicato dalla casa editrice non specifica di fumetti Effigie, che pubblica le opere di Milani più in generale).
Si tratta di un’imponente biografia illustrata, appunto su Mino Milani, curata dal deus ex machina dell’impresa editoriale, Giovanni Giovannetti, insieme a Luisa Voltan.
Sono la bellezza di 680 pagine, più di mille immagini, mezza storia dedicata al nostro fumetto e l’altra mezza al «fantastico» italiano (tra mistero, horror, fantasy) ideato dal GM (“Gran Mino”).
Piatto forte dell’opera, che si avvale di molti contributi di amici e studiosi dell’opera di Milani, è una bibliografia generale-totale di ben 52 pagine di dati altrimenti introvabili, ma rintracciati per essere messi in fila e organizzati prima d’ora. Questo elenco spazia dalle collaborazioni giornalistiche ai libri, campo che Milani conosce molto bene, essendo stato a lungo direttore della Biblioteca Civica di Pavia: i suoi titoli sono circa 330. Ma più che la quantità può la qualità.
Non mancano interventi recuperati, al fianco di altri nuovi di zecca. Per esempio di Andrea Sani, Oreste del Buono, Pier Luigi Gaspa (che ringrazio, e lui sa perché).
Per omaggiare Mino, riprendo parte di una estesa intervista su di lui che avevo fatto a un amico e stretto collaboratore degli anni del Corriere dei Piccoli: l’amico Aldo Di Gennaro, al quale chiedo (dopo l’illustrazione):
La serie de Il Maestro (recentemente ripubblicata da Nona Arte a cura di Andrea Mazzotta) è rimasta impressa nella mente dei lettori, perché per la media dei fumetti avventurosi quegli anni era assolutamente originale.
Perché Milani è un grande, era ben scritta e il personaggio meritava molto. Quando Dylan Dog è stato inventato, l’influenza che sulla sua figura aveva esercitato il Maestro era stata grande.
Non avevo mai fatto questa riflessione. Il “papà” dell’Indagatore dell’incubo, Tiziano Sclavi, era nella redazione del Corriere dei Ragazzi e quindi avrà conosciuto bene Milani anche personalmente. Certo, e poi tutti e due stavano a Pavia.
Il personaggio del Maestro, dicevo, meritava di più, magari avrebbe richiesto una frequenza settimanale, ma io non ce la facevo a consegnare le tavole in tempo. Considera che ero abbastanza lento… Per rispetterne la consegna, un episodio è stato disegnato a matita da Ivo Milazzo, e io mi sono limitato a ripassarlo a china.
L’attività del fumetto, per me entrava fra un’illustrazione e l’altra, o meglio: potevo applicarmici quando avevo concluso il resto. In quel periodo, anni Sessanta e Settanta, collaboravo con tutte le testate del “Corriere”: col Corriere dei Piccoli, con la Domenica del Corriere… Ed era anche un po’ stressante. Per la Domenica del Corriere il rito era quello di illustrare l’ultimo fatto di cronaca accaduto prima che la rivista andasse in stampa. Mi ricordo che una volta ho illustrato la copertina dedicata al rapimento del figlio di Alemagna, il titolare della famosa fabbrica di panettoni.
Era l’ottobre 1974. Leggo che il piccolo Daniele Alemagna, che aveva sette anni, fu rilasciato dopo sei giorni dal rapimento.
Per la copertina avevo disegnato il bandito con la calza in faccia e il bambino di spalle. Il giorno che la rivista doveva andare in stampa, il bambino è stato liberato. Verso mezzanotte, quando è arrivata la notizia, ricevo una telefonata dal direttore, Benedetto Mosca, che mi dice: “Di Gennaro, hanno liberato il figlio di Alemagna!”
“Bene!”, ho risposto io. “Eh, no” fa lui. “Bisogna cambiare la copertina!” Allora mi sono rivestito, sono andato al giornale e ho fatto un ritratto al bambino, che abbiamo messo insieme all’illustrazione precedente e così abbiamo salvato la copertina. Ogni volta che una copertina della “Domenica” veniva assegnata a me, mi rassegnavo al fatto che il lavoro andava fatto quella notte.
Così, per rilassarmi, prima di mettermi a lavorare andavo al cinema.
Era un modo di lavorare concitato, anche per chi scriveva…
Io, Mino Milani non l’ho mai sentito dire “Non ce la faccio!”, oppure “Quest’incarico non m’interessa”. Quando il direttore gli chiedeva “Devi scrivere questa cosa”, lui chiudeva la porta, tran!, e si metteva a fare il pezzo. Era incredibile, velocissimo e preciso, una specie di macchina. E per lui era sempre buona la prima. Lavorava senza pentimenti.
Con lui hai anche realizzato fumetti su personaggi della cronaca, della Storia, che avevano il taglio dell’articolo giornalistico…
Quasi tutto quello che ho disegnato per il Corriere dei Piccoli e il Corriere dei Ragazzi era su testi di Milani. Aveva anche degli pseudonimi, come Piero Selva e E. Ventura, che usava per non inflazionare la sua collaborazione, per non mostrare che al settimanale faceva tutto lui.
Certe volte lo vedevo arrivare al mattino, poi spariva nella sua stanza, e quindi lo salutavo alla sera. “Sapete cosa vi dico? Vado a casa.” E salutava.
Noi ci comportavamo in modo un po’ diverso. Per esempio, come succede negli uffici e nelle redazioni, anche noi passavamo molto tempo alla macchinetta del caffè. Io ci trascorrevo delle ore, ma quando perdevo tempo di giorno, lo recuperavo di notte. Almeno due o tre notti alla settimana io e Mario Uggeri avevamo messo in conto che dovevamo farle.
Alle macchinette, invece, Mino Milani non veniva mai. Non perdeva mai tempo.
Ma va fatta anche un’altra considerazione. Quelli che vivevamo non erano ancora gli “anni di piombo”, che sarebbero giunti poco dopo, ma c’era già la contestazione, c’erano le lotte operaie… Al “Corriere” si facevano scioperi in continuazione, arrivavano minacce di bombe… Noi della redazione eravamo tutti di sinistra, mentre Mino Milani no. Mario Uggeri, addirittura, era stato deportato a Dachau e aveva vissuto sulla sua pelle il nazifascismo. In quegli anni era non solo impegnato politicamente, ma era addirittura un punto di riferimento di tutti i sindacalisti, dei personaggi che facevano politica attiva al giornale. Certe volte, lui e Milani discutevano, ma senza mai litigare. Poi, non si poteva litigare con Mino Milani. Era uno che, come si suol dire, la buttava in filosofia.
A parte questo, con Mino Milani ci frequentavamo abbastanza. Con mia moglie e sua moglie, siamo andati a fare qualche vacanza in Trentino,
abbiamo passato qualche giorno di villeggiatura nella casetta che Milani aveva nell’Oltrepo pavese… Ma non si parlava mai di lavoro. Per dire: “Nel prossimo episodio del Maestro ci sarà…” Macché, niente.
C’era una specie di automatismo: lui scriveva e io disegnavo.