Tempo fa Marco Pugacioff mi ha ricordato dell’esistenza di vari commenti circa lo Studio di Nicola Del Principe, grande e prolifico disegnatore italiano, attivo soprattutto presso l’editore Renato Bianconi (Edizioni Il Ponte, Bianconi e Metro), ma anche presso la Alpe di Giuseppe Caregaro e di Teresa Comelli / Leonello Martini (e così via, su testate assortite di etichette marginali, tipo Alèm).
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Anni fa vennero dissipate alcune nebbie circa le collaborazioni di Benni per lo Studio Del Principe, in particolare su personaggi creati dalla EsseGesse.
In questo stesso blog, Cartoonist Globale, furono raccolti svariati commenti in merito. Poi una sorta di coltre soffocante li ha sepolti rendendoli inaccessibili, ma oggi Pugacioff mi ha spinto a compiere degli scavi per recuperarne alcuni, oggi che ha dato voce (nel suo blog) a un grande fumettista novantacinquenne che ha tutto il nostro affetto: Michele Arcangelo Jocca (foto qua sotto, con un interlocutore, a destra della foto).
Il primo commento recuperato, relativo a Benni, è dello stesso Pugacioff, che scriveva qualche anno fa:
Ricordare un artista così bravo, è sempre un gran bene, visti gli attuali autori di Blek e Tex. L’unica cosa da ricordare è che fu aiutato nelle matite di Blek e Miki da altri autori, uno dei quali dovrebbe essere Nestore Del Boccio. E comunque Alan Mistero realizzato per la Lug di Lione su testi della EsseGesse, dovrebbe essere tutta farina del suo sacco, e servì da vacanza a Giancarlo Agnello. Furono pubblicati in Italia dalle edizioni Araldo in appendice al Comandante Mark. Oltre alle serie sopra citate, vorrei ricordare gli splendidi fumetti di Zorro a formato gigante realizzati per la Bianconi, tutta opera sua, che ben fanno capire come i “cosidetti” li avesse quadrati! Ciao a tutti
Proprio Nestore Del Boccio, nel 2013 replicava:
A Marco Pugacioff.
Si’, ho lavorato con Benni ( tutti e due dello stesso paese) e non solo io.
Ci fu Corsi, ed in seguito Gentile nella realizzazione di Alan Mistero di cui Inchiostrava i contorni delle figure e gli ambientini.
Per Cartoonist Globale, e per altre ragioni comprensibili, non posso esimermi da un approfondimento.
Benni aveva un grande talento nella rappresentazione della figurazione popolare da renderla favolistica con la sensibilità di un fiammingo; e un taglio comico-grottesco permeato di ironia e disincanto con sfumature felliniane. Amavamo talmente il cineasta che, per andare a vedere Giulietta degli spiriti, appena uscito nelle sale, partimmo con il treno per Sulmona con la consapevolezza di fare ritorno a piedi percorrendo 18km, data l’ora tarda per l’assenza di trasporto pubblico.
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Nell’amore per il dettaglio e la descrizione, in Benni, c’era l’assimilazione derivata dagli studi sul disegno analitico di Leonardo, oltre all’influenza dell’illustrazione fosteriana. Ma, in ciò che connotava l’artista e l’uomo tout court c’era, nella ricerca dell’oggetto che si fa quotidiano, una fattualità quale sovrastruttura dinamica, frutto di una sfiducia “filosofica”, che lo portava alla contrapposizione dell’archetipo identitario: retaggio di una visione pirandelliana dell”umanità; nonché l’influenza di Jean-Paul Sartre, di cui si leggeva “l’essere e il nulla”; assorbendo, quindi, una concezione fortemente laica dell’opinabilità del vero e falso, della materia e dell’esistente.
Fino agli anni ’61-62-63, fece uso anche della tecnica ad olio, ma la partecipazione ad una mostra estemporanea a Pratola, ove realizzò’ un quadro con la scena di una processione religiosa (chissà che fine avrà fatto), dove le considerazioni dei premianti vertererono su espressioni astratte, più artificiose che di contenuto, in contrasto con la sua percezione figurativa della realtà, lo delusero tanto che non partecipò per tanti anni ad una mostra; e non usò più l’olio per molto.
Si buttò definitivamente sul fumetto. Concludo con un altro aneddoto. Nel ’62-63, portai all’Istituto d’arte un sua illustrazione su cartoncino sul football americano in cui era rappresentata una azzuffata di un’azione di gioco da consegnarla ad un rappresentante americano della Walt Disney, conoscente del professore di disegno Nino la Civita.
Quando arrivai a scuola (frequentavo ancora l’ultimo anno: il pomeriggio e la sera collaboravo con Benni), non riuscivo a ritrovare il disegno. Stetti nell’angoscia di averlo perduto; ma lo recuperai dopo un bel po’: era finito in fondo al cappotto. Essendo arrotolato, aveva sfondato la fodera, probabilmente allargando qualche buchetto già esistente. Dopo diversi giorni arrivò la risposta che se Benni voleva lavorare, doveva andare negli Stati Uniti. Ovviamente “Tonino” preferi’ restare con la nonna materna, che non poteva lasciare sola e che era tutto per lui.
Se riesco a trovare del tempo, narrerò come si è formato lo stile cosiddetto “Del Principe” ma che sarebbe più corretto dire “Benni”.
Al nostro dibattito interviene anche il figlio di Benni. Così:
Ciao a tutti, mi chiamo Emiliano (Benni) e sono il figlio di Eugenio, vorrei intanto ringraziare l’autore dell’articolo e tutti voi che siete intervenuti, mio padre è stato un artista che ha sempre lavorato nell’ombra, “dietro le quinte”. Il fatto di non essere, spesso, neanche citato nei cosiddetti “Crediti” a lui non interessava, era una persona che non amava “apparire”, non so nemmeno se compaia il suo nome nei lavori che per più di vent’anni ha realizzato per lo studio di Nicola Del Principe (mi ricordo ancora quando veniva a casa col suo barbone e io piccolino lo chiamavo Zio Nicola), per questo è una cosa sorprendente per me sapere che sia conosciuto da qualcuno che non sia del nostro paese (Raiano, AQ) o dei dintorni.
Sull’aspetto tecnico non entro nel merito in quanto, purtroppo, non sono esperto di disegno né di fumetti, il fatto però che tra gli appassionati del settore ci siano persone che lo conoscono e spesso ne riconoscono lo stile osservando qualche vecchio albo non firmato, mi fa un grande piacere.
Mio padre era un “puro”, quella per il disegno era una passione immensa, a casa ho talmente tante tavole, disegni e quadri che ci vorrebbe una settimana solo per contarli! Ha continuato a disegnare anche dopo essere andato “in pensione”, solo per il gusto e la passione che animavano la sua matita e per il suo paese che amava tanto e dal quale non si è mai separato. Colgo l’occasione per ringraziare i ragazzi che hanno organizzato la mostra, mi piace pensare che da lassù l’abbia guardata anche lui, con un sorriso… Un saluto a tutti,
Emiliano.
Ecco un altro intervento di uno dei tanti lettori anonimi (o sotto pseudonimo) che, quando potevano, intervenivano a Cartoonost Globale. Si firmava Uno Qualunque.
Alan Mistero è stato poco apprezzato, secondo alcuni.
Uno dei motivi pare sia che il personaggio è considerato
“ingenuo” e quindi “bruttarello” e quindi non “proponibile sul mercato”.
Tutto questo fa sorridere, ma ci fornisce la misura di quanto l’elemento “mercato” si insinui comunemente – e a torto- anche tra i parametri estetici.
Ci sarebbe forse da riflettere su una più che sconcertante tendenza che ne deriva e cioè sul fatto che l’ingenuità tende ad essere rinnegata o nascosta in nome della proponibilità mercantile.
Se consideriamo che alla base di ogni processo creativo è invece proprio l’ingenuità a dar vigore allo sviluppo di tecnica e pensiero, non c’è da meravigliarsi se nelle arti, compresa la nona, stiamo in questi anni assistendo al progressivo dilagare
di una sovrana pia superflua inespressività, raffinata (leggi ruffianata) dal mercato stesso perché il mercato stesso la fa, da padrone.
Non in questo blog per fortuna, ove -grazie anche al turbinoso vortice generato da stupefacenti funzionari di settore- vige la più strabiliante, totale, fragrante autonomia di scambio sostenuta sostenibilmente anche da missioni discrete di badantato interdisciplinare e da una consistente flotta di droni (più a ufo che a bizzeffe).
In tutto questo sono contento di trovare un post così e anche di trovarvi commenti in cui fa bene leggere a proposito di Benni parole come “artisti poco considerati” e “fumetto popolare” .
Mi scuso con Francesco se non ho scritto “artigiani”, ma credo (e forse con lui), che in arte esistano gli artisti e che il fatto che siano grandi o meno grandi dipenda da un vasto campo in cui giocano vari elementi di natura e destino.
W il fumetto popolare, non lo conosco più, ma è lo stesso.
Continuerò a seguire il blog e imparerò su questo.
In quel vecchio post si leggeva:
“Eugenio Benni appartiene, anima e corpo, a questa bistrattata ma straordinaria genìa di artisti che hanno amato il loro lavoro sopra ogni cosa. Tra granelli di grafite e fumo di china, Tonino – è così che tutti lo conoscono – ha consacrato una vita intera al disegno prestando la propria opera a molte tra le più note serie del fumetto italiano con non poche prestigiose collaborazioni in campo internazionale, su tutte, la realizzazione delle matite per “L’uomo mascherato”, uno tra i più popolari personaggi della narrativa illustrata mondiale. […]
Benni ha la mano calda dei grandi: Micheluzzi, Alessandrini, Milazzo; ha la mano dei più illuminati interpreti della modulazione del segno: ben inciso, senza ripensamenti, traccia dinamica che sa suggerire in sé i volumi e le ombre, i pesi e le levità.”
Maurizio Longobardi
Cenni biografici:
Eugenio Antonio Benni, conosciuto come Tonino Benni (Hayange, 8 gennaio 1939 – Chieti, 2 maggio 2009), è noto per essere stato uno dei fumettisti che ha disegnato i personaggi di Capitan Miki, Il grande Blek, L’Uomo Mascherato. Si trasferisce in giovanissima età presso la nonna materna Cristina Ciampoli a Raiano, in Abruzzo, dove passerà il resto della vita.
Nel 1961 comincia l’attività di fumettista grazie all’incontro con Nicola Del Principe, che lo ingaggia nel proprio studio.
(Fine della prima parte. La seconda fra poche ore)