Devo ringraziare Paolo Guiducci e Luigi F. Bona per avermi incluso anche quest’anno fra i giurati del Premio Franco Fossati, al quale ovviamente sono molto affezionato, anche per essere stato il primo “beneficiato vincitore”, un numero di anni fa la cui memoria si svaporò, da questa istituzione che considera e valuta la produzione saggistica in lingua italiana dell’anno sul nostro medium preferito. A meno che qualcuno non preferisca ai fumetti il giardinaggio, o il rugby, che sono comunque dei media e vengono praticati da tanta gente della classe media e dall’intelligenza (pre) media, e quindi sono anche “di massa”.
Ma alla nostra categoria in via di estinzione, fatta di persone che mettono in gioco quotidianamente i loro neuroni e che per questo è estremamente elitaria, quasi nobile, piace ancora leggere su carta.
Il Premio Fossati consente quindi a noi giurati una incommensurabile indigestione di testi critici e analitici da farsi nel giro di poche settimane: un lasso di tempo in cui, per leggere tutto (e magari annotarlo) si deve risparmiare oltremisura sul tempo delle altre attività: limitare il sonno al minimo indispensabile, evitare di farsi la barba, azzerare la sopportazione delle stolide lamentele di piaghe umane illusesi di spegnere nel vaniloquio le loro nevrosi irrisolvibili.
In questo contesto, scopro che si sono scritti, in un anno, davvero tanti testi interessati e degni di segnalazione.
Credo che anche i post di Cartoonist Globale risentiranno, nel corso del torrido luglio, di queste salutari letture, che vorrei davvero condividere con la maggioranza degli appassionati di comics.
Intanto, però, cominciamo con un libro che non è presente nella rosa dei candidati, e che intendevo già segnalare da metà maggio.
In un giorno d’estate del 1963 un giovanotto con la passione dei fumetti si presenta a Fujimidai, Tōkyō, dove risiede il suo idolo Osamu Tezuka. È lì per un colloquio di lavoro, dopo aver appreso dal giornale che Mushi Production, lo studio di Tezuka, è alla ricerca di disegnatori. Il giovane si chiama Osamu Dezaki, ha vent’anni, un sorriso stampato sul volto e la sigaretta sempre fra le labbra. Sogna di diventare assistente di Tezuka e creare fumetti. Superato il colloquio, viene però spedito nel reparto animazione dello studio, dove si stava realizzando un cartoon epocale: Astro Boy.
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In un batter d’occhio, il giovane Dezaki si innamora del mestiere di animatore. Ancora non sa che, di lì a poco, diventerà uno dei più popolari e apprezzati animatori e registi del cinema animato giapponese.
Un artista rivoluzionario e intransigente, che ha attraversato mezzo secolo di storia degli anime con la spavalderia e la tenacia di un pioniere. Questo libro, il primo in Occidente a occuparsi del regista Dezaki, ripercorre la sua vita di artista indagandone il mestiere, le ossessioni e un’arte del disegno guidata da folgorante passione.
In una lettera spedita al critico Bruno Edera sa Osamu Tezuka in data 3 novembre 1979 apprendiamo un sacco di cosette.
La riporta il ricercatore americano Jim Korkis, che Allah lo protegga, a questa pagina.
Dice Tezuka: “I have been a caricaturist for 34 years. Animation is for me what we call a ‘favorite hobby’. At that time, I could not devote myself entirely to animation. During those years, I did have the opportunity of producing several animation works.
“In 1961, I created Mushi Productions which was then the biggest studio (about 500 employees) with TOEI but I had to leave the position of President in 1971 because of an administrative problem. That was how I created Tezuka Productions.
“In spite of the passion I had for American works (including Disney’s), I was not completely satisfied with their “slapstick” approach. Of course, among the feature film works, some were mainly constituted by plots but I was not enough impressed by their musical comedies (or fairy stories). So I was convinced that animation needed from the origin of the story, some construction and staging which are inevitably necessary for live action dramas.
“It needs a constant solidity. That was how I decided to go over these clichés that had been accepted until then in animated films for television. Consequently, thanks to the new ideas that I had elaborated, I started to produce Tesuwan Atom (Astro Boy) for Japanese television. The diversity of the camera angle that you can see is only the staging technique developed at Mushi Productions which has become nowadays common to all the Japanese productions. Thus, the Japanese animated film for television has progressed in an original way, completely different from the United States. Ralph Bakshi told me that he had been stimulated by seeing my staging when he was just starting out. A lot of other people have told me over the years that it influenced them as well.”
L’autore di Rocky Joe, Remì e Black Jack raccontato per la prima volta in un libro di Mario A. Rumor.
Chissà se piacciono anche a lui i leggendari Cardiacs!?
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Grazie a chi mi ha concesso qualche contributo grafico per ‘sto post.