Personalmente non avrei mai fatto passare il “dai” dell’annuncio pubblicitario sopra senza un bell’accento sulla lettera centrale, ma vabbe’, non è detto che tutti i copy si ritrovino questa maledetta anima da editor che mi ossessiona, facendomi scovare refusi ovunque.
Anche nei menu ( o menù). E se nel “salmì” manca l’accento sono costretto a scegliere un piatto vegetariano, sospettando che la pietanza manchi di sale, o di pepe, o che la pozione sia scarsa, dato che è un po’ meno rispetto al canonico.
Veniamo a nobis.
Siamo felicissimi che Linus sia di nuovo fra noi.
Articoli che mantengono le promesse, ottimi fumetti, ma non alcuni fra quelli che ne hanno fatto la storia, determinato la reputazione.
A cominciare da Li’l Abner.
Sotto si può leggere il sommario del primo numero del nuovo corso, del quale vi avevamo già mostrato la copertina, grazie a Diego Ceresa che ce l’aveva segnalata tempestivissimamente.
Perché mai un satirico reazionario come il suo creatore, Al Capp, dovrebbe trovare un’adeguata collocazione posto, oggi, estate 2013, in una rivista progressista critica anche della sinistra istituzione (e non, a sprazzi)?
Si può anche obiettare che la serie, al pari dell’altra da lui creata, Fearless Fosdick, non siano più in produzione.
Vero, ma non lo sono nemmeno i Peanuts (sotto, un piccolo Charlie Brown fatto col Lego da Andertoons, fra le altre immagini), né Calvin & Hobbes, men che meno Krazy Kat, che anni fa poté godere di un pur blando revival.
A quanti lettori interessano le peripezie personali di Al Capp, grande disegnatore (e in parte anche autore) satirico americano dimenticato (dai più), ma tornato alla ribalta di recente?
A pochi: la nicchia che probabilmente l’ha conosciuto su Linus dal 1965 in poi e quindi nei pochi volumi maintream su di lui apparsi in Italia, da Il cittadino Youkum (titolo massimamente impopolare) in poi.
A questi possono aggiungersi gli studiosi che si sono spinti a leggerne le storie a striscia tradotte dall’ingerale americana degli anni Novanta, trasposta in albini orizzontali dalla Comic Art.
Poi, ci sono i pochi americani anzianotti residenti in Italia che, da appassionati di fumetti come sono, potrebbero averne letto delle avventure in lingua originale. Comunque sia, di una nicchia ristretta si tratta.
Proseguiamo comunque, come promesso, a parlare della biografia recente sul controverso cartoonist della quale avevamo postato copertina e premesse in questo post, quattro mesi fa.
Giusto per consentire ai distratti di riprendere il filo, nei giorni scorsi ho ri-piazzato il post su Al Capp in bella vista per qualche giorno e alcuni visitors assidui, da Sauro Pennacchioli a Sebastiano, da Fortunato Latella a Marcello Bis, da Elisa Fusi a Tomaso Turchi, si sono espressi anche a più vasto raggio riguardo le strisce sindacate e la loro eventuale ripresa in Italia.
Ma ora torniamo al libro su Al Capp ancora fresco di stampa.
Dov’eravamo rimasti?
Ah, sì, a queste citazioni dello storico del Fumetto americano Harvey.
No, questo non è un video con lui.
E’ P J Harvey.
A noi interessa, almeno ora, R C Harvey.
The authors would have liked even more access to his papers, as well as to those of his wife, but that wasn’t going to happen “once his family realized that we weren’t writing a whitewashed account of his life,” Schumacher says.
“With a budget for private detectives who knows what else we could have achieved,” Kitchen says with a laugh. “The bio could have easily been two volumes, but we told Al Capp’s story truthfully and fairly.”
A parte questo, Capp non fu mai abbastanza soddisfatto del suo successo. Chiedeva sempre di più, come vedremo nel prossimo post sul tema fra un paio di giorni.
Intanto, i ragazzi della Scuola Internazionale di Comics possono prepararsi domani a fare loro la seconda e ultima parte della storia di polli sottratti.
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