Succede anche questo: due (illustri) frequentatori di questo blog si scambiano opinioni, nella sezione dei commenti, su un’opera di grande rilevanza “fumettartistica” e poi la recensiscono ciascuno in base alla propria sensibilità.
Peraltro, ve lo confesso, chi sta scrivendo è un sosia del blogger di Cartoonist Globale: siccome gli hanno tolto la scorta, a volte usciamo io e i miei analoghi per svolgere qualche mansione.
Il fumetto è il ciclo di Koma, di Pierre Wazem e Frederik Peeters (sotto in una foto mentre è al lavoro nel suo studio, e quindi in un autoritratto sottoforma di zombie).
Questo commento è dell’esperto di fumetti, onnivoro collezionista e redattore di Vitt e dintorni Tomaso Turchi.
In prossimo sarà del fumettista e pittore Nestore del Boccio.
Penso alla bimba Addidas, di professione spazzacamino, che apparentamente vaga nei meandri claustrofobici di una vita sognata, dominata dal re del’ Inconscio (chiamiamolo così): un mostro che crede di essere il creatore di ogni cosa. Non avete ancora letto la saga disegnata da Peeters e scritta da Wazem?? In origine son stati ben sei tomi usciti nell’arco di altrettanti anni – 2003/2008 – editi dall’editrice cosiddetta indipendente Humanoides Associée, poi in Italia in tre soli volumi da Renoir editore ed ora ripropoposti integralmente in solo volume in bianco e nero.
Addidas, già: la storia di una bambina senza la mamma scomparsa in circostanze misteriose, che ha la sfortuna di soffrire di una strana malattia che ogni tanto, improvvisamente e senza cause apparenti, la fa cadere in uno stato di incoscienza. Insomma, uno scenario apparentemente da romanzo d’appendice.
In realtà la sua storia evolverà verso altri orizzonti narrativi, fra il metafisico e la parabola etico/morale finalizzata alla liberatoria catarsi finale con la sconfitta di quello che apparentemente potrebbe rappresentare il male.
La caduta della nel fondo di un camino mentre è intenta a farne la pulizia pulizia, perché tale è la sua professione al seguito del padre (per associazione di idee una situazione che ricorda i bambini utilizzati nelle miniere per infilarsi in stretti cunicoli impraticabili dagli adulti), la porta nel sottosuolo: il rimando al classico di Lewis Carrol è – da un punto di vista letterario – a mio parere palese: come l’alter ego Alice che sotto terra trova il suo paese delle meraviglie, Addidas in una sorta di distorcimento speculare si ritrova in seguito alla caduta verso il basso di certo in un altro “paese”, ma forse non proprio meraviglioso.
A questo punto il gioco dei rimandi, delle citazioni si fa sempre più illusorio e in un certo senso estraniante.
Come poter dimenticare la prefazione di Stefano Bartezzaghi alla versione fumettista di Zazie nel metro (anche lei una ragazzina che vorrebbe andare nei meandri sotterranei ma non ci riesce [anche se – è risaputo – esiste una precedente versione di Raymond Queneau nell’ambito della quale Zazie insieme alla nonna esplora per più giorni la rete metropolitana parigina] dovuta a Clément Oubrerie (In Italia Lizard/Rizzoli 2011), nel contesto della quale Zazie viene accostata ad Alice e persino all’impudica ninfetta Lolita di Nabokov?
Vabbe’, per ora lasciamo perdere queste derive letterarie e torniamo alla nostra Addidas.
Nelle profondità della terra si muovono esseri di wellsiana ( The time machine, ricordate?’) memoria che accudiscono macchine le quali controllano i simulacri(??) degli umani che popolano la dimensione onirica (se tale è, ma certezze non ce ne sono) del mondo.
Ma l’imprevedibile accade.
Aiutata da uno dei “mostri”, quello che dovrebbe accudire alla macchina in simbiosi con la sua esistenza e che rivela una inaspettata umanità e capacità di libero arbitrio, Addidas accompagnata e aiutata da questa sorta di “guida”, decide di affrontare l’entità che tira i fili del destino.
Anche in questo caso la narrazione ha elementi di classicità, perché molti sono stati i personaggi che accompagnati da animali amichevoli, da esseri non umani (vedi Il mago di OZ) o da vere e proprie guide con forte connotazione simbolica (Virgilio [chiedo venia agli studiosi di Dante]), affrontano pericoli di ogni genere e tipo.
La volontà della piccola Addidas sarà più forte di quella del supposto Creatore. Il trionfo della sua innocenza infantile? Il suo amico mostro che modifica in positivo il delicato equilibrio che regola la sua macchina vitale??
Dal mondo fortemente industrializzato rappresentato da una città formalmente clonata dal periodo storico collocabile fra le due grandi guerre del 1900 o forse anche prima, con tanto di stato poliziesco e novella Gestapo, Addidas vuole fuggire per andare/tornare alla campagna.
La campagna come simbolo oppositivo alla rivoluzione industriale?
Pervicacemente, senza remora alcuna, Addidas attirerà il Padrone nel suo mondo interiore e lo trasformerà annientandone l’individualità e la volontà. Una sorta di discesa nel Nirvana per il Creatore??? Che in tale situazione palesa i suoi limiti e si rivela essere non onnipotente.
Alla fine, in pratica, inizia la vera storia con Addidas libera ma sola, che i creatori del fumetto, Wazem e Peeters non possono ovviamente raccontare, poiché tutto è già stato scritto e disegnato.
Il dato dell’inspiegabilità regna sovrano.
A meno che l’interpretazione di Koma non sia basato su parametri meno concettuali, con Addidas simbolo dell’innocenza infantile, che proprio per questo suo dato di naivitè affronta e sconfigge il male, che contro lo sguardo puro di un bambino appare assolutamente impotente.
Non so, fate voi.
L’illustrazione sotto è vagamente in tema, ma non c’entra. E’ di Lukasz Poslad e proviene da Dopeart.