Domani uscirà in edicola il nuovo Topolino, primo di un ciclo
le cui caratteristiche principali sono state annunciate il giorno 14 a Milano in una affollata festa-conferenza stampa.
Una delle storie più attese del numero (e forse degli ultimi me-
si) è il sequel della prima storia di Paperon de’ Paperoni,
che è Il Natale di Paperino su Monte Orso , pubblicata negli Stati Uniti in occasione delle festività natalizie del 1947.
A scriverla è Tito Faraci (www.titofaraci.com, http://it.wikipedia.org/wiki/Tito_Faraci), sceneggiatore di punta del Fumetto italiano, creatore di Brad Barron e contemporaneamente all’opera con Diabolik presso la Editrice Astorina, con storie di Topolino e Paperino per The Walt Disney Company-Italia, e con Tex Willer per la Sergio Bonelli Editore.
Tito ci ha concesso questa chiacchierata sul tema del “nuovo Natale” su Monte Orso, un attimo prima che il tascabile in versione rinnovata, diretto da Valentina De Poli, solchi le edicole.
Eccola!
LUCA BOSCHI: Caro Tito, c’è molta attesa per il tuo fumetto natalizio grazie al quale ricosti-
tuisci il vecchio team con Giorgio Cavazzano.
Si tratta della storia celebrativa del sessantennale di Paperon de’ Paperoni. Un must annun-
ciato, direi. Prima di adesso, le storie legate ai compleanni importanti erano state realizzate dalla Egmont, e quasi esclusivamente affidate a Don Rosa, o in via eccezionale a Vicar, pseudonimo di Victor Arriagada Rios.
Come ti senti in questa augusta compagnia?
TITO FARACI: Il confronto più pesante in realtà è quello con Carl Barks, uno dei grandi narratori del ventesimo secolo. Nella mia carriera di autore disneyano, non ho scritto molte storie ambientate nell’universo dei paperi. Di solito preferisco i topi. Ma mi inchino di fronte alla capacità di Barks di raccontare il suo, il nostro tempo attraverso il fumetto. Un fumetto che è specchio di una società, di un’epoca. Ed è ancora attualissimo. Ecco: ha quella magia dei grandi classici, che nascono nel proprio tempo, ne sono un chiaro riflesso, eppure riescono a restare attuali per sempre. Barks come Dante, come Molière, come Dickens.
LUCA BOSCHI: La storia riprende l’episodio iniziale con il quale Barks ha lanciato Zio Pape-
rone, e… aggiunge qualcosa che non c’era, vero? Non lo contraddice, ma lo integra!
TITO FARACI: Risponde a una domanda.
Il Paperone di quella prima storia era perfido, tignoso, acido, addirittura meschino… qualcosa poi lo cambia. Lo stesso Barks, nel giro di poche storie, lo rende il personaggio carico di umanità e di simpatia di oggi. Cosa è stato a cambiare Paperon de’ Paperoni? Cosa o… chi?
La mia risposta è: Paperino. L’amore che Pa-
perone scopre in se stesso, l’amore per il nipote, è quel qualcosa che lo trasforma, che gli dà spessore. È una ipotesi narrativa che nasce dalla lettura delle storie di Barks, e dei suoi migliori successori.
LUCA BOSCHI: So che sei stato attento a non infrangere una continuity creatasi fra le storie di Barks e di Don Rosa. A non inserire fatti che contraddicessero storie già esistenti. Sono certo che nel farlo hai avuto la “mano leggera”, non insistendo in modo maniacale su alcuni dettagli comprensibili solo a una élite di superfilologi…
TITO FARACI: Questa storia fa riferimento al Natale sul Monte Orso di Barks, chiaro. Per chi ha letto quella storia, i riferimenti non mancano e saranno chiari. Ma nulla che risulti in-
comprensibile a chi la storia non l’ha letta o l’ha dimenticata.
Sono tornato indietro nel tempo, per ricominciare da capo. Magie che riescono solo in una storia Disney. Uscendo da questa storia, ho lasciato le cose come prima. È una riflessione, non una rivoluzione. La mano è leggera, in questo senso.
Ma i sentimenti messi in gioco sono importanti.
LUCA BOSCHI: Anni fa, in una storia scritta a quattro mani con Francesco Artibani e dise-
gnata da Corrado Mastantuono, avevi compiuto un’operazione per certi aspetti analoga, immaginando un “pezzo di storia” che non era ancora stata raccontata, che era rimasta nelle pieghe di una saga importante, nello specifico quella di Topolino. Mi riferisco al recupero di Steamboat Willie, trattato in modo assai personale.
Anche in quel caso si trattava di un episodio di esordio. Addirittura quello di Mickey Mouse, icona fondamentale di Casa Disney. Trovi anche tu delle analogie fra le due esperienze?
TITO FARACI: In questa storia, in effetti, io e Francesco avevamo fatto una nuova ipotesi nar-
rativa sul passato di Topolino. In questo caso, invece, non ho reinventato nulla. Senza svelare troppo a chi non l’ha ancora letta, posso dire che Un altro Natale sul Monte Orso si svolge su un piano temporale ipotetico.
È un “What If”… che però, alla fine, dimostra come tutto si possa cambiare, tranne l’animo umano (anche se i protagonisti sono paperi).
LUCA BOSCHI: So che sei un grande fan di Floyd Gottfredson e di Barks. Quali meriti riconosci all’uno e all’altro, dal punto di vista della sceneggiatura? E cosa pensi di aver preso dal loro modo di raccontare?
TITO FARACI: A Gottfredson affianco Bill Walsh, suo sceneg-
giatore di storie meravigliose. In ogni caso, questi grandi autori sono uniti dalla enorme capacità di utilizzare il proprio tempo e il proprio mondo come fondamentali materiali narrativi. È una lezione che ho sempre tenuto presente.
LUCA BOSCHI: Questa nu-
ova avventura su Monte Orso deve considerarsi la ripresa di una tua parteci-
pazione un po’ più serrata
al Topolino rinnovato di Va-
lentina De Poli?
TITO FARACI: Topolino è
il primo amore, che non si scorda mai. E non passa mai. Valentina è una gran-
de amica, con cui ho combat-
tuto (e vinto) tante belle battaglie, dieci anni fa, quando per me c’era soltanto il fumetto Disney. Trovare Valentina al timone di Topolino è certamente una grossa e importante novità, che mi entusiasma. Certo, preferisco scrivere poche storie ma mettendoci un grande impegno.
Le foto di questo servizio sono di Tito (grazie), mentre la caricatura che lo vede sotto torchio a opera di Manetta e di Rock Sassi è un classico firmato Cavazzano.
Il © della vignetta con Uncle Scrooge è Disney