JACK COLE E I FUMETTISTI SUICIDI

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Qualche tempo fa (correva l’anno 2008), a cena con Ausonia, Diego Ceresa, Marco Rota e altri fumettisti, l’argomento di riflessione era piuttosto macabro, benché trattato con leggerezza. Ausonia chiedeva (attendendosi una risposta negativa, che però ahinoi, non giunse) se si fosse mai visto un fumettista umoristico suicida.

E purtroppo… comincia a enumerarne un po’, di varie epoche, ma sempre rigorosamente orientati verso il grande intrattenimento, preferibilmente umoristico, se non addirittura per bambini.

Nel settore non se ne parla molto, non se ne sussurra nemmeno nei corridoi magari per un ricordo periodico collettivo, insieme scaramantico e ossequioso come accade per Luigi Tenco ogni anno, in coincidenza col Festival di Sanremo.

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Tuttavia, né io che Alberto Becattini abbiamo taciuto questa verità quando l’occasione si è presentata. Oscurare questo dato, se noto, è come censurare un momento della vita, quello estremo, che del percorso di una persona anche molto creativa come un fumettista delle comic strips o dei comic books della Western (per dire) fa parte integrante.

Mentre disegna il character beniamino dei più piccini, quel delicato personaggio che per decenni dopo la sua morte continuerà ancora a intrattenere dalle gabbia delle vignette i lettori ignari, il cartoonist Tal dei Tali ha in animo ben altri sentimenti e preoccupazioni. O ha pianificato altri comportamenti, banditi per principio dagli albi che gli sono stati commissionati, come peraltro (forse) il ben più allargato concetto stesso di morte.
Queste le contraddizioni fra il business creativo del fumettista e la sua vita: contrasti peraltro ben motivabili nei principi sui quali poggiano (inutile dilungarci su questo adesso).

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Di tutto ciò discutevamo, su impulso di Ausonia, tentando di ricostruire, con i pochi dati a disposizione che ci era dato di possedere, le ragioni che avrebbero spinto i fumettisti in questione al gesto senza ritorno.

61AeF8bUUpL._BO2,204,203,200_PIsitb-sticker-arrow-click,TopRight,35,-76_AA300_SH20_OU01_Male di vivere dovuto a depressione, a tunnel senza spiragli iall’orizzonte, a crisi economiche profonde, a mancanza di lavoro, a conflitti con la società e (nello specifico) anche per impossibilità di accesso al servizio sanitario USA, ciò in epoche anche molto precedenti al 1971, anno in cui presidente in carica, il mai troppo vituperato Richard Nixon, decise di smantellare il sistema dell’assistenza sociale per far lucrare i suoi amichetti delle società assicurative. Lo inchioda la registrazione di una telefonata, grazie alle benedette intercettazioni, che non a caso in Italia sono nel mirino dei potenti di turno dediti alle più varie malversazioni via cornetta o mobile phone, come anche YouTube documenta in parte.

Fra i cartoonist suicidi più noti, e sicuramente fra i più importanti, citavo quello di cui posto oggi quattro tavole autoconclusive di una serie minore. E’ quel genio di Jack Cole, grandissimo, maestro addirittura di Will Eisner (il suo Plastic Man e lo Spirit di Eisner comparivo nello stesso comic book). Vignettista e illustratore del primo Playboy di Hugh Hefner, Cole era al colmo della sua carriera quando decise di acquistare una pistola (con un proiettile solo) e usarla poco dopo, per motivi legati alla sua sfera amorosa, per sgravare la moglie dal peso della sua presenza lasciandola libera di frequentare, senza dover nascondere nulla, l’uomo con il quale aveva una relazione, o col quale voleva intesserla, va’ a sapere.

Così su Wikipedia:

By now living at 703 Silver Lake Road in Cary, Illinois, about 40 miles northwest of Chicago, he told his wife at about two in the afternoon that he was picking up the mail and the newspapers. Driving his Chevrolet station wagon to Dave Donner‘s Sport Shop in nearby Crystal Lake, he purchased a .22 caliber, single-shot Marlin rifle. He phoned a neighbor between 5:15 and 5:30 p.m. to say what he was doing, and for the neighbor to tell Dorothy. Parked on a gravel road west of the intersection of Illinois Routes 176 and 14, Cole was found by three boys at approximately 6 p.m., shot in the head but still alive. A McHenry County sheriff’s deputy arrived and called for an ambulance ten minutes later. Cole died at nearby Woodstock Hospital at 6:45 p.m.

That morning, he had mailed two suicide notes, one to Dorothy (who at a coroner’s inquest testified that he had given his reasons) and one to his friend and boss, Playboy editor-publisher Hugh Hefner. The letter to his wife was never made public, and the reasons for Cole’s suicide have remained unknown. Dorothy never again spoke with her late husband’s family nor with Hefner, and remarried approximately a year later.

art spiegelman (con le iniziali in piccolo per suo desiderio, come bene sappiamo) anni fa ha dedicato a Jack Cole, alla sua carriera e alla sua vita, uno strano libro stampato in Cina, con copertina in plastica come i vecchi Libretti dei pensieri di Mao. Un bellissimo libro con materiali di prima mano, fra cui una copia della lettera che Cole lasciò al direttore di Playboy prima di allontanarsi per sempre dall’esistenza terrena.

Di Cole presento queste strane tavole autoconclusive con Windy Breeze, che nella grafica mi ricordano qualche strano personaggi del nostro Antonio Terenghi.
Cole disegnava vari fillers come questi all’inizio degli anni Quaranta (sei decenni e mezzo fa) per la casa editrice Quality. Per esempio, realizzava Wun Cloo per Smash Comics e qualcos’altro per Crack Comics.

Per tirarci su il morale, invece, ecco una nuova fatica di Amanda Palmer, anno 2012, poco fa.
Video poco visto perché non passato dalle tv, come si può ben immaginare.

Lo descrive: a very naked, very joyful little present from me and the Flaming Lips!! enjoy !!!! (in case “very naked” didn’t give it away, this video is NSFW).

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Windy Breeze (torniamo a lui) era stato creato per la National Comics, come si legge sulle tavole. Per questa produzione, Cole usava lo pseudonimo di Ralph Johns, che dovrebbe essere stato il nome di suo cognato.

Qui, e a seguire, alcune belle pagine a fumetti del “vecchio Jack”.

  • Theo |

    Mi ero perso questo bel post.
    Porto il mio mattoncino alla discussione: dite benissimo tutti, ma in particolare mi riallaccio al discorso di Uno. Attenzione al mondo del fumetto, dell’arte, della creatività in genere.
    Vivendo in questo mondo, avendolo sviscerato da anni nelle riflessioni su di me e sugli altri, risulta in maniera lampante che lo sfogo creativo risponde a un’esigenza TERAPEUTICA.
    E dove c’è terapia c’è il problema (chi non ne ha avuti o ne ha?), e dove la legittima auto-terapia degenera nella fuga, nell’ossessione, là purtroppo ci sono i problemi, quelli seri e, purtroppo non di rado, le derive e le soluzioni più radicali.
    Parafrasando i disclaimer delle multinazionali dell’alcool: facciamo fumetto, responsabilmente.
    Ciao Luca!

  • Luca |

    Cari Gianfranco e Uno,
    le vostre testimonianze sono (per me) importantissime. Non vorrei che si perdessero, dovrebbero essere evidenziate in un post apposito, quantomeno, dense di verità e di pensieri immagino comuni (quanto inconfessati) come sono.
    Personalmente la penso anch’io esattamente come Gianfranco, se la nostra (povera) Italia dimostrerà ancora, come fa adesso, di non essere al passo dei tempi contemporanei, certamente la strada della Svizzera, o di un altro Paese forse più civile del nostro sarà l’unica soluzione.
    Parlandone con un’amica che lavora in Svizzera, tuttavia registro la sua rabbia per un Paese (in questo caso non l’Italia, bensì la Svizzera stessa) nel quale lo schifo sta nel fatto che tutto sia monetizzabile e che chi è ricco (attenzione: SOLO chi è ricco) possa compiere anche l’ultimo importante acquisto della sua vita, vale a dire la morte.

  • Gianfranco Goria |

    E’ argomento sempre e comunque delicatissimo, visto che coinvolge la vita. E prima che si consideri il post del Boschi sui fumettisti suicidi come una sorta di istigazione al suicidio, è bene chiarire che, per esempio, quando io parlo dei miei propositi futuri (ma del futuro che si può mai dire, in realtà?…), in effetti io amo vivere, eccome. E’ quando la vita diventa indegna (penso alle malattie terminali, a quelle mostruosamente invalidanti ecc.) ritengo che la persona abbia il diritto di scegliere se finire la propria esistenza fra i tormenti (fisici e mentali) e le devastanti umiliazioni, o finirla in modo dignitoso. Tutto qui. E non mi sento in grado di esprimere giudizi sulle altrui scelte, drammatiche o tragiche, su questi argomenti, che siano fumettisti o meno. Al massimo, da umorista, potrei farci su dell’umorismo macabro, come piaceva tanto a Franquin. Ma non bene quanto lui, purtroppo! 😉

  • uno |

    I motivi che conducono un individuo a porre fine alla propria esistenza sono visceralmente personali e sarebbe irrispettoso indagarli. Per un creatore di fumetti, limitandomi a questa branchia artistica, trovano un moltiplicatore nella propria professione. Questa professione viene, per la quasi totalità dei protagonisti, vissuta intensamente, vivi di fumetto, mangi fumetto, ti porti il fumetto in vacanza, sogni di fumetto. Non si hanno molte valvole di sfogo, sabato, domenica e festivi sono giorni come gli altri. Non si “stacca la spina”, quasi mai. Quando poi arriva il dramma, personale, perché se disgrazia vuole che colpisca una persona a cui vuoi bene, paradossalmente si trova più forza. Ti colpisce una malattia che ti impedirà di realizzare ancora parte dei sogni che hai nel cuore e il mondo non ha più senso. Oggi più che mai questa è una professione altamente competitiva e non tutti hanno la forza di sopportare le delusioni, i soprusi, le angherie, le ingiustizie, i redattori incapaci e “caporali”. Ne ho visti di artisti del fumetto stare male, molto male – anche fisicamente – somatizzando una delusione o un rifiuto spesso arbitrario. Pur non avendone le prove, non posso non pensare a due autori scomparsi in modo tragico e della versione incidente – fatico a credere. Perché – dovendo confessare un mio privato – una brutta mattina d’autunno uscendo da una casa editrice – di chiara fama – e scendendo in una metropolitana deserta – data l’ora – ho guardato quei binari con un gran voglia di fare il salto davanti al treno. Perché sono ancora qui? Non lo so. Riflettendoci a distanza di anni amo pensare che sia stato il pensiero – razionale – che andava a un amico che ha fatto il “brutto gesto” che non é servito a nulla. Chi lo aveva accantonato ha continuato la sua vita senza curarsene. Se invece fosse vissuto altri due anni – una eternità per un depresso ma nulla visti da questo 2012 – i forti cambiamenti che ha avuto il nostro mondo lo collocherebbe oggi tra le poche personalità e memorie storiche con prebende, fama e onori.
    Forse sono solo un vigliacco che non ha avuto il coraggio. O forse perché finire la propria vita drammaticamente si punisce se stessi per voler punire gli altri. Che se ne fregano. Meglio aspettare seduto in riva al fiume – di china – e vedere passare -metaforicamente – il cadavere del nemico.
    Se il nemico é fuori e non dentro di noi.
    Perdonate se non mi firmo, non ho il coraggio di GG.

  • Gianfranco Goria |

    La morte è sempre stato, fin dall’infanzia, uno dei temi al top, nella mia testolina bacata. Il suicidio, invece, è entrato con forza nei miei pensieri durante la mia terrificante depressione patologica, ovviamente. In culture diverse dalla nostra, il suicidio è cosa nobile e coraggiosa, specie se attivato per cause valide. Il suicidio assistito, poi, è semplicemente, a mio avviso, un fatto di umanità (anche se comunque richiede una buona dose di fegato). Per quanto mi riguarda, ho in mente il suicidio assistito per quando avrò una certa età (se ci arrivo vivo, si capisce) e una certa situazione fisica. Se non sarà ancora possibile in Italia, andrò in Svizzera. Sempre se ne avrò il fegato, ovvio, al momento, perché, nonostante l’assistenza del proprio medico, non è facile in ogni caso contrastare l’attaccamento alla vita. Per la cronaca, io sono uno che disegna e scrive strisce e storie umoristiche per bambini. Ma penso che non c’entri un cavolo. Potremmo, credo, citare altrettanti autori di fumetti realistici, tra i fan del suicidio. Come tranvieri, operai, impiegati ecc. Magari possiamo chiedere i dati all’ISTAT’… 😉

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