VICENZA CHIAMA OBAMA, CON MUSICHE DI LAURIE ANDERSON E ALTRE AMICHE

Vignetta

Stefania Bisacco ci comunica che quasi nessun media ha dato rilievo alla manifestazione dei No dal Molin del giorno 4.
Favorevoli o contrari all’ampliamento della base, obamiani hard core o antiamericanisti incalliti, populisti del libertinaggio o critico-uliviani (per ragioni sottolineate dalla vignetta di Vauro di due anni fa), solidali o meno con la popolazione che respinge l’iniziativa, almeno i frequentatori della rete dovrebbero apprezzare di essere informati dei fatti, quelli che i TG si guardano bene (forse con qualche eccezione, che per il momento, però, non sarei in grado di citare) dal coprire.

Per cui, ecco qua, riprendo da Gabriele Polo, aggiungendo un servizio del TG3 che, come avviene praticamente ormai sempre, nel clima generale di censura vignete nei media italiani è il solo a riportare anche notizie e immagini che potrebbero turbare qualcuno che sta in alto. Grazie ai soprattacchi, naturalmente.

Al contrario, la stampa internazionale, che ha gli occhi e le penne puntate sull’Italia in questi giorni (anche in attesa di inevitabili sketches clowneschi) ne parla abbondantemente, continuando a diffondere nell’opinione pubblica del mondo l’inevitabile discredito che il nostro Paese si è guadagnato, senza doverselo nemmeno sudare troppo.

Contro i 1.500 poliziotti e carabinieri che hanno dato allo Stato il volto dell’assedio, contro le autorità che avevano autorizzato il corteo per poi cercare di renderlo impossibile, contro il vuoto e la scarsa attenzione della «grande» politica che si arrampica sull’ideologia del «ritorno al territorio» per poi ignorarlo nelle difficili pratiche.

Per allietare la lettura del pezzo di commento, un po’ di musica!
Ispirata dalla citazione di William S. Burroughs “Language is a virus from outer space” (“la lingua è un virus alieno”) ecco una rara canzone (per così dire) di Laurie Anderson che pare non sia mai stata inclusa in un DVD, ma solo in un vecchio VHS e laserdisc.
Roba vintage dell’anno di Orwell.

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Per chi, invece, ama la musica italica, sotto una clip di Donna d’Onna (brano dedicato alle donne del paesino abruzzese distrutto dal terremoto), lanciato nel concertone Amiche per l’Abruzzo, scritto da Gianna Nannini e Isabella Santacroce. Cantano Elisa, Giorgia, Fiorella Mannoia, la stessa Nannini e Laura Pausini.
Bravissime.

La «giornata dell’indipendenza» che sabato scorso ha aperto il ciclo di manifestazioni contro il G8 è diventata una chiamata a raccolta delle tante resistenze che attraversano il Paese, ormai tutte prive (o quasi) di rappresentanza politica.

Diecimila persone sono partite in corteo in un’afosa periferia vicentina, hanno costeggiato l’aeroporto militarizzato, sono state bloccate su un ponte dalle cariche del battaglione Tuscania, si sono fermate per un po’ e poi hanno ripreso la loro marcia. Non si sono spaventate, sono «passate», lanciando così un messaggio di tranquilla forza.

Il mittente non è tanto il governo italiano – che forse non merita nemmeno questo – ma sono i grandi del mondo in arrivo a L’Aquila.
Tra essi Barack Obama, cui il presidio No Dal Molin ha inviato nei giorni scorsi una lettera rimasta per ora senza risposta.

Chissà se il presidente Usa vorrà ora spiegare come si conciliano i princìpi che enuncia con la costruzione di una base imposta a un’intera popolazione.
Il 4 luglio di Vicenza era iniziato già da qualche giorno.
Il Comitato No Dal Molin aveva esplicitato l’intenzione di «fare il massimo possibile», in altri termini di entrare nella base. Segnale raccolto dalle forze dell’ordine che fin dalla sera del 3 luglio hanno occupato l’intera zona: due minuti di sosta sulla strada comunale ai bordi dell’aeroporto e arrivava la volante dei carabinieri. Poi, dalla mattina di ieri, polizia e carabinieri hanno messo in stato d’assedio tutta la zona, blindando tutto il percorso del corteo e predisponendo un massiccio «filtro» su strade e autostrade. Al punto da bloccare automobili e pullman – in un caso fin dentro la festa padovana di Radio Sherwood – mettendo in discussione la libertà di movimento e rallentando il flusso dei manifestanti verso il concentramento di Rettorgole.
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Tutta la giornata si è svolta in questo clima d’intimidazione: il messaggio più esplicito era quello rappresentato da centinaia di uomini in tenuta antisommossa sul ciglio della strada, con il continuo rischio di «contatti» dagli esiti imprevedibili. Dietro lo striscione d’apertura – «No Dal Molin, yes we can» – centinaia di famiglie vicentine, tantissime donne e bambini, e poi le rappresentanze dei loro ormai storici alleati, i No-Tav della Val di Susa, i No-Mose veneziani, i No-Ponte siciliani, la delegazione dell’Abruzzo Social Forum. Ma, soprattutto, un lungo serpentone di donne e uomini con alle spalle tutte le battaglie pacifiste di questi anni.

Mescolate tra la folla, qualche bandiera di Legambiente, Prc, Sinistra e libertà, Pdci, Arci, Fiom. Un fluire disordinato e colorato, bianco e rosso, mentre al di là del recinto militare incombeva il blu scuro dei carabinieri.
Sono bastate poche centinaia di metri, il tempo di raggiungere la strada che passa davanti all’ingresso del Dal Molin, e i nodi sono venuti al pettine.

Gli organizzatori hanno chiesto a più riprese che i tantissimi militari e blindati schierati lungo il percorso venissero ritirati all’interno della base, come recitavano gli accordi con la questura. Richiesta respinta.
Così, su un piccolo ponte, un velo di scudi di plastica sostenuto da un centinaio di ragazzi del Presidio permanente ha tentato di spingere indietro i militari del Tuscania, allontanandoli dal corpo del corteo in arrivo. La carica è partita immediatamente, i caschi da motociclista hanno evitato il peggio alle teste dei manifestanti, un paio di lacrimogeni urticanti hanno reso la respirazione difficile un po’ a tutti. Il corteo si è bloccato, e mentre il ponte restava «in mano nemica», è iniziata un’assemblea presso il Presidio permanente, aspettando le prossime mosse dei militari.

Nel frattempo, qualche decina di metri più indietro, un piccolo ponte di barche ha permesso a una decina di pacifisti di attraversare il canale e piantare una bandiera arcobaleno a ridosso del recinto della base e di fronte a un gruppo di agitatissimi carabinieri.
Che non hanno gradito.
Incassata la carica, la manifestazione non si è dispersa: «Siamo venuti fin qui e il corteo lo vogliamo fare tutto», era la frase più ripetuta. E, constatato che i 10.000 di Vicenza non si erano fatti vincere dalla paura, i comandanti di piazza hanno deciso di far indietreggiare di qualche metro le loro truppe.

Per gli organizzatori del No Dal Molin quella era già una vittoria. Riposti i propositi di entrare in massa dentro la base per «riprendersi» la loro terra, visto che un velo di plastica e qualche casco poco possono di fronte ai blindati del Tuscania, la decisione è stata quella di concludere la manifestazione sul percorso concordato con la questura. Anche a costo di pagare un altro costo finale, nei pullman bloccati a lungo dalle forze dell’ordine. Giusto per lanciare un ulteriore messaggio di controllo.

A otto anni da Genova, un movimento più piccolo per dimensioni e che vive di tante vertenze locali o settoriali, che si sente molto distante dalla rappresentanza politica e pretende di praticare la «propria» democrazia, non poteva (probabilmente non voleva) fare di più.

Ora il testimone passa alle mobilitazione della prossima settimana, a partire dalla fiaccolata di domani notte, passando per i tanti messaggi che verranno lanciati ai «grandi» in Abruzzo e a Roma, fino alla manifestazione del 10 luglio a l’Aquila. Non tutti andranno ovunque e le forme della protesta contro il G8 saranno diverse e anche «divise».

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    Forse sarà troppo tardi, comunque vi rendo partecipi anche di questo appello di donne alle first ladies: “Non venite al G8 italiano”
    Siamo profondamente indignate, come donne impegnate nel mondo dell’università e della cultura, per il modo in cui il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, tratta le donne sulla scena pubblica e privata.
    Non ci riferiamo solo alle vicende relazionali del premier, che trascendono la sfera personale e assumono un significato pubblico, ma soprattutto alle modalità di reclutamento del personale politico e ai comportamenti e discorsi sessisti che delegittimano con perversa e ilare sistematicità la presenza femminile sulla scena sociale e istituzionale.
    Questi comportamenti, gravi sul piano morale, civile, culturale, minano la dignità delle donne e incidono negativamente sui percorsi di autonomia e affermazione femminili.
    http://temi.repubblica.it/micromega-appello/?action=vediappello&idappello=391093
    Il controllo che Berlusconi esercita sulla grande maggioranza dei media italiani, in spregio a ogni regola democratica, limita pesantemente le possibilità di esprimere dissenso e critica. Risulta difficile, quindi, far emergere l’insofferenza di tante donne che non si riconoscono nell’immagine femminile trasmessa dal premier e da chi gli sta intorno.
    Come cittadine italiane, europee e del mondo, rivolgiamo un appello alle first ladies dei paesi coinvolti nel prossimo G8 dell’Aquila perché disertino l’appuntamento italiano, per affermare con forza che la delegittimazione della donna in un paese offende e colpisce le donne di tutti i paesi.
    Chiara Volpato (Professore Ordinario – Università di Milano-Bicocca)
    Angelica Mucchi Faina (Professore Ordinario – Università di Perugia)
    Anne Maass (Professore Ordinario – Università di Padova)
    Marcella Ravenna (Professore Ordinario – Università di Ferrara)

  • Luana |

    Belle le clip in questo post: le donne per l’Abruzzo, che nemmeno le telecamere dei TG erano stata autorizzate a filmare, e il vecchio pezzo della Anderson unplugged.
    Se a qualcuno o qualcuna interessa, parlando di donne e di interventi “sul sociale”, a parte i manifestanti contro Obama che però lo scelgono anche come interlocutore, cito quanto ho letto oggi nelle dichiarazioni di Irene Pivetti: una donna che non stimo per nulla, già leghisto-cattolico-integralista per problemi suoi, poi evidentemente ripresasi.
    Per la prima volta sono d’accordo con lei su una questione, sull’attacco che sferra a un giornale inqualificabile come “Libero”. Cito le sue parole: “Di tutta la storia Lario-Berlusconi ciò che ho trovato più ributtante è la prima pagina di Libero (quella con Veronica a seno nudo, ndr), secondo me è una storia da radiazione dall’Albo. Una foto di una violenza bruta e inaccettabile nei confronti di qualunque donna, a prescindere da cosa può aver fatto.
    Purtroppo non solo quella prima pagina è esistita ma ne è seguito un silenzio vergognoso e assordante. Questo è il sintomo che la situazione è gravissima. Le varie Noemi sono delle svirgoline in confronto. Se è così ai massimi livelli, di che impunità gode un capo che non vuole assumere donne o che pizzica il sedere e non concede la maternità? In che tipo di serraglio ci siamo ridotto se quando arriva Gheddafi il ministro per le Pari Opportunità non trova di meglio che compiacerlo dandogli un’assemblea di sole donne?”
    Proprio vero, le donne italiane sono intronate, stanno autovalutandosi attraverso gli occhi dei maschi, non hanno identità collettiva. Questo per colpa in buona parte degli spettacoli che da 25 anni si vedono alla Fininvest prima e a Mediaaset dopo. TV dello stesso proprietario di “Libero”, che ha sempre voluto le donne seminude e rifatte, sua moglie compresa. Salvo poi sbatterla sul suo giornale in modo ricattatorio quando aveva osato alzare la voce.
    In questa fogna di Paese…
    Non finisco la frase. Ma vorrei fare riflettere: chi l’ha ridotto a una fogna?

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